Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, 25 febbraio 2011 n. 7540 In tema di rifiuto di atti di ufficio.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza resa il 27.6.2005 all’esito di giudizio ordinario il Tribunale di Reggio Calabria ha riconosciuto XXX colpevole del delitto di rifiuto di atti di ufficio, perché, incaricato -in qualità di ufficiale giudiziario dell’ufficio unico della Corte di Appello di Reggio Calabria- di eseguire per ragioni di giustizia "senza ritardo" un pignoramento mobiliare presso la società debitrice Sirio Antichi Sapori di Calabria di tale YYY su richiesta urgente del creditore esecutante New Express s.r.l., ometteva di procedere al pignoramento, redigendo il 22.5.2003 un verbale negativo, in cui affermava di "astenersi temporaneamente" dall’esecuzione pignoratizia sulla base delle asserzioni del debitore YYY di non aver ricevuto la notificazione dell’atto di precetto e di essere stata la società debitrice posta in stato di liquidazione. Per l’effetto, concessegli generiche circostanze attenuanti, il Tribunale ha condannato il XXX alla pena sospesa di sei mesi di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici per un pari periodo di tempo, altresì condannandolo al risarcimento del danno (da liquidarsi in separata sede civile) verso la costituita parte civile New Express s.r.l.
Il Tribunale ha valutato pienamente raggiunta la prova del contestato reato di rifiuto di un atto di ufficio (art. 328 co. 1 c.p.) alla stregua della irragionevolezza patente, cioè "indebita" (in quanto priva di un legittimo motivo) e confliggente con i compiti istituzionali dell’ufficiale giudiziario, delle cause di differimento dell’atto esecutivo addotte dal XXX. Cause da costui -per quanto di riflesso rilevante ai fini della sussistenza del dolo generico caratterizzante il reato- agevolmente percepibili (essendo "un ufficiale giudiziario di provata esperienza") nel loro valore meramente strumentale, siccome fondate su semplici dichiarazioni del debitore esecutato, prive di ogni riscontro documentale e comunque prospettanti situazioni da sottoporre eventualmente al vaglio del giudice dell’esecuzione senza margini di discrezionalità e men che mai di "supplenza" per l’ufficiale giudiziario. Ciò che investe innanzitutto la inesistente pretesa nullità o irregolarità della notificazione dell’atto di precetto, essendo emerso che il decreto ingiuntivo e il precetto, regolarmente diretti alla ditta debitrice, sono stati notificati al YYY nella sua qualità di presidente del consiglio di amministrazione della società. Così come, in secondo luogo, insussistente al momento dell’accesso del XXX va considerata l’addotta liquidazione della società debitrice, avvenuta soltanto in epoca successiva (il 30.5.2003).
2. Adita dall’impugnazione del XXX, la Corte di Appello di Reggio Calabria con l’epigrafata sentenza del 10.3.2009 ha confermato la sentenza di condanna di primo grado, giudicando infondati i rilievi critici dell’imputato sia con riguardo ad un suo preteso agire nell’interesse del creditore (che avrebbe comunque goduto di un ampio margine temporale per rinnovare la richiesta di pignoramento), sia con riguardo alla non configurabilità del rifiuto o della omissione dell’atto del suo ufficio, unicamente differito in via temporanea. Profilo, quest’ultimo, di cui i giudici di appello hanno evidenziato l’inconferenza in ragione della natura sostanziale del rifiuto dell’atto, che deve ritenersi integrato dal suo indebito differimento inopinatamente basato sulle mere ed interessate asserzioni del debitore, non verificate in alcun modo dall’ufficiale giudiziario segnatamente per quel che concerne l’addotto stato di liquidazione della società debitrice ("…l’inerzia del pubblico ufficiale assume valenza di rifiuto dell’atto"), ed altresì in ragione della connotazione di reato di pericolo della fattispecie di cui all’art. 328 co. 1 c.p., che si perfeziona con la sola omissione di un provvedimento di cui si sollecita la tempestiva adozione, incidente su beni di valore primario tutelati dall’ordinamento e nel caso di specie da compiersi per ragioni di giustizia e senza alcun ritardo.
3. Avverso la sentenza della Corte di Appello reggina, l’imputato XXX ha proposto personale ricorso per cassazione, con cui deduce unitario motivo di censura per violazione di legge e carenza e contraddittorietà della motivazione della sentenza di secondo grado.
Con il ricorso, riprendendosi sommariamente i contenuti dell’appello contro la decisione del Tribunale, si sostiene che il contegno del ricorrente non si è tradotto in un reale rifiuto dell’atto del suo ufficio, quando si osservi che l’accesso del XXX presso la sede del debitore esecutato è avvenuto tempestivamente una settimana dopo la richiesta del creditore procedente (sì da doversi escludere qualsiasi larvato intento di favorire il debitore) e che l’imputato si è limitato a procrastinare il pignoramento in attesa delle determinazioni del creditore a fronte delle circostanze riferite dal debitore, poi rivelatesi mendaci. La "temporanea astensione" dal pignoramento dell’ufficiale giudiziario non integra alcun rifiuto dell’atto di ufficio, potendosi al più imputare al medesimo una "condotta parzialmente omissiva ma non penalmente rilevante". Non vi è stata, dunque, da parte del ricorrente la manifestazione di una volontà negativa verso la richiesta del creditore.
Se è vero che il reato ascritto all’imputato è punibile a titolo di dolo generico, è pur vero che dottrina e giurisprudenza escludono penale rilevanza alla sola inerzia o ad un semplice non facere non sorretti dal dimostrato intento di non compiere in via definitiva l’atto di ufficio. Il XXX ha posto in essere non un rifiuto del pignoramento, ma la mera sospensione dell’attività di pignoramento già iniziata, per l’esecuzione della quale non era decorso il termine perentorio di legge di novanta giorni. Sicché la Corte di Appello ha tralasciato di operare "una concreta e ficcante verifica tesa alla netta individuazione di una volontà negativa" del XXX.
4. Il ricorso di XXX va dichiarato inammissibile per genericità e manifesta infondatezza dei delineati vizi di legittimità della sentenza impugnata.
In tutta evidenza sono destituiti di qualsiasi pregio i rilievi di erronea applicazione dell’art. 328 co. 1 c.p. e di carenza motivazionale della sentenza di appello, privi di specificità nella parte in cui replicano i motivi di gravame vagliati e disattesi dalla Corte territoriale con corretti argomenti giuridici, ai quali il ricorso non contrappone osservazioni critiche che valichino una mera assertività censoria.
Ben a ragione nel caso di specie entrambe le decisioni di merito hanno individuato nel singolare modo di procedere dell’ufficiale giudiziario XXX, tradottosi nella temporanea sospensione del pignoramento con il far proprie le anomale e irricevibili "opposizioni" del debitore esecutato, l’elemento materiale del reato di rifiuto di un doveroso atto del suo ufficio. Atto da compiersi, per definizione coesa alla sua natura, con modalità di assoluta urgenza, che il XXX per indebita scelta non ha in concreto eseguito. Non è revocabile in dubbio, infatti, che -come puntualizzano i giudici di secondo grado- il rifiuto di un atto di ufficio ex art. 328 co. 1 c.p. deve reputarsi avvenuto non solo a fronte di una richiesta o di un ordine che ne sanciscano la formale urgenza, ma altresì ogni qual volta si configuri un contesto di urgenza sostanziale, immanente nella natura stessa dell’atto da compiere, quale appunto un pignoramento esecutivo. Con la conseguenza che in simili casi la c.d. inerzia del pubblico ufficiale agente assume i caratteri del concreto rifiuto dell’atto di sua competenza (v. Cass. Sez. 6, 7.1.2010 n. 4995, P.G. in proc. Acquesta, rv. 246081). In tal modo producendo un danno, oltre che alla persona direttamente vulnerata nei suoi interessi dal contegno del pubblico ufficiale, al regolare e buon andamento della pubblica amministrazione. Nel caso di specie all’amministrazione giudiziaria in riferimento alle specifiche ed inderogabili modalità esecutive del pignoramento previste dal combinato disposto, tra gli altri, degli artt. 492 e 518 c.p.c.
In siffatta prospettiva le professioni di buona fede addotte dal ricorrente (che nell’appello avverso la decisione di primo grado giunge a definirsi "vittima" delle strumentali e callide dichiarazioni del debitore, che pure -venendo meno ai suoi doveri- egli si è astenuto dal controllare) si mostrano, oltre che implausibili sul piano della ricostruzione dell’elemento soggettivo del reato, affatto irrilevanti rispetto alla configurata natura di reato di pericolo del reato ascrittogli (Cass. Sez. 6, 19.9.2008 n. 38386, Pangrazi, rv. 241190). Profilo cui si connette, proprio in ragione dei peculiari e specifici compiti funzionali demandati all’ufficiale giudiziario nelle procedure esecutive pignoratizie da svolgersi presso il debitore, l’ovvia esclusione per il pubblico funzionario di ambiti di discrezionalità valutativa soprattutto -per quanto di interesse in relazione alla odierna regiudicanda- in tema di esecutività del titolo pignoratizio. Per il semplice motivo che la legge processuale civile riserva ad una apposita sede e alla iniziativa del debitore la risoluzione di tutte le questioni relative al diritto all’esecuzione e alla regolarità formale del titolo esecutivo (regime delle opposizioni: art. 615 c.p.c.), demandandone la risoluzione all’esclusivo apprezzamento del giudice dell’esecuzione.
In conseguenza della declaratoria di inammissibilità del ricorso il XXX deve essere condannato al pagamento delle spese del processo e al versamento di una somma alla cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in misura di euro 1.000,00 (mille).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 27 ottobre 2010
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 25 FEBBRAIO 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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