Cass. civ., sez. II 13-12-2005, n. 27405 OBBLIGAZIONI IN GENERE – ADEMPIMENTO – POTERI DELLA CASSAZIONE – Pluralità di debiti – Pagamento parziale – Mancata scelta del debitore – Facoltà del creditore di dichiarare l’imputazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 26 gennaio 1983 Maria D. dichiarò che con contratto preliminare del 15 marzo 1979 aveva promesso di comprare da Santi L., poi defunto, un appartamento di quattro vani ed accessori per il prezzo di 35.000.000 lire, di cui 7.000.000 da pagare alla firma del contratto, 6.500.000 al momento dell’ultimazione della struttura in cemento armato, 3.250.000 alla consegna dell’alloggio, mentre il restante 50% del prezzo sarebbe stato pagato o con accollo del mutuo o in contanti; aggiunse che ella aveva già pagato 7.000.000 al momento della firma del contratto, 6.500.000 il 20 giugno 1980,12.500.000 il 22 aprile 1982 e 4.000.000 il 16 settembre 1982, per complessivi 30.000.000 di lire, con residuo prezzo da pagare pari a 3.500.000; precisò che aveva formalmente invitato gli eredi del promettente venditore alla stipula dell’atto definitivo di vendita con impegno al contestuale versamento del prezzo residuo, ma gli stessi non avevano ottemperato all’invito; pertanto, col predetto atto, convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Caltagirone, Carmela D., Olga M. e Calogero M., eredi di Santi M., e chiese che la proprietà dell’appartamento le fosse trasferita con sentenza prevista dall’art. 2932 c.c. offrendo nel contempo il pagamento del prezzo residuo di 3.500.000 di lire.

I convenuti si costituirono in giudizio, contestando la domanda attorea e ne chiesero il rigetto; proposero domanda riconvenzionale chiedendo che il Tribunale, accertato l’inadempimento di Maria D. nel pagamento dell’intero prezzo, la condannasse a pagare in loro favore 3.500.000 lire quale residuo contanti, oltre alla somma di 16.750.000, pari alla metà del prezzo convenuto, quale accollo di mutuo.

Completata l’istruzione della causa il Tribunale, a conclusione del giudizio di primo grado, con sentenza in data 13 dicembre 1997, accolse la domanda proposta da Maria D. e rigetto quella riconvenzionale.

A seguito dell’appello proposto contro la sentenza da Carmela D., Olga M e Calogero M. il contraddittorio tra le parti si instaurò nuovamente davanti alla Corte di Appello di Catania, la quale, a conclusione del giudizio di secondo grado, con sentenza in data 21 marzo 2002, accolse il gravame e, in riforma della decisione del Tribunale, rigettò la domanda proposta da Maria D., e nessuna statuizione adottò in ordine alle domanda riconvenzionali spiegate in primo grado non essendo state le stesse riproposte in appello.

Contro la sentenza Maria D. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi d’impugnazione, poi illustrati con memoria.

La Olga M. e Calogero M. si sono costituiti con controricorso.

l’intimata Carmela D. non ha svolto attività difensiva.

All’udienza odierna, dopo la discussione, il difensore della ricorrente ha depositato osservazioni scritte sulle conclusioni del Pubblico Ministero.

Motivi della decisione

1) Vanno esaminate preliminarmente le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate nel loro controricorso da Olga M. e Calogero M.

A) La prima eccezione, secondo cui il ricorso sarebbe stato loro notificato il 61° giorno dalla notifica della sentenza impugnata, è infondata, risultando dagli atti che la sentenza fu notificata il 17 giugno 2002 e che il ricorso fu notificato il 1° ottobre 2002, cioè entro il termine di 60 giorni stabilito dall’art. 325 II comma c.p.c. calcolando nel suo decorso la sospensione dei termini processuali di cui all’art. 1 della legge 7 ottobre 1969 n° 742.

B) Non è un?eccezione, ma solo una contestazione di fatti attinenti al merito del ricorso, quella indicata sub 2) a pag. 8 del controricorso.

C) l’eccezione di inammissibilità enunciata sotto il n° 3) del controricorso è infondata, perché il ricorso contiene una esposizione sufficientemente completa dei fatti della causa a norma dell’art. 366 comma I n° 3 c.p.c.

D) l’eccezione di inammissibilità del ricorso determinata dalla mancata precisa indicazione delle violazioni di legge in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, dalla mancanza di specificità dei motivi, dall’omessa individuazione del capo di pronuncia impugnato è inammissibile perché generica, essendo riferita all’intero ricorso e non ai singoli e specifici motivi articolati dal ricorrente.

2) Il ricorso è, in conclusione, ammissibile.

3) Col primo motivo la ricorrente denunzia violazione degli artt. 2697, 2702, 2707, 2708, 2709, 2730, 2733 e 2734 c.c. difetto di motivazione su punti decisivi della controversia anche con riferimento all’art. 132 c.p.c. Afferma che la Corte d’Appello ha fondato il proprio convincimento che la soma di 12.500.000 da lei pagata il 22 aprile 1982 costituisse il corrispettivo per le modifiche interne dell’appartamento venduto e la pattuita revisione prezzi e solo in parte il prezzo della vendita, su un documento sottoscritto solo dal promettente venditore, dimenticando che la prova di un fatto favorevole ad una parte non può essere desunta, e in maniera esclusiva, dalla dichiarazione resa dalla parte stessa, soprattutto in presenza di reiterate contestazioni ex adverso; come da giurisprudenza di legittimità specificatamente richiamata.

4) Col secondo motivo la ricorrente denuncia difetto di motivazione in ordine al contenuto della dichiarazione datata 22 aprile 1982 firmata da Calogero M., il cui carattere equivoco non è stato rilevato dalla Corte d’Appello.

I due motivi, chiaramente connessi, possono essere esaminati congiuntamente e congiuntamente rigettati per infondatezza.

La Corte d’Appello ha affermato, alla luce dei documenti prodotti dalle parti in causa, che il 22 aprile 1982, allorché la M. aveva effettuato la consegna dell’appartamento oggetto del contratto preliminare alla Maria D., che ne aveva preso possesso, erano state redatte due scritture: il verbale di consegna, in cui le parti dichiaravano che l’esecuzione delle varianti (cioè i lavori di modifica rispetto alle previsioni del capitolato) rispondevano a quanto richiesto dalla Maria D., e una dichiarazione, sottoscritta dal solo M., in cui lo stesso attestava di aver ricevuto dalla Maria D., con riferimento al contratto preliminare in questione, la somma di 12.500.000 lire, la quale comprendeva il corrispettivo per le modifiche interne apportate all’appartamento, la revisione prezzi come da conteggi approvati, e quanto dalla stessa dovuto a titolo di residuo prezzo da pagare alla consegna.

Secondo la Corte d’Appello queste due scritture non erano mai state contestate dalla Maria D.; la quale sol il 12 gennaio 1983, cioè quasi un anno dopo, aveva inviato ai promettenti venditori una diffida in cui manifestava la volontà di stipulare l’atto definitivo di vendita offrendo di pagare la sola somma di 3.500.000 lire.

Dalle predette scritture pertanto si desumeva con certezza la prova che la Maria D., dopo aver commesso l’esecuzione delle modifiche dell’appartamento oggetto del preliminare, ne aveva accettato la consegna dichiarando che i lavori effettuati corrispondevano a quanto da lei richiesto, che la revisione prezzi corrispondeva ai conteggi approvati in precedenza e che solo una parte della somma di 12.500.000 era imputabile a quanto ella doveva ancora pagare in contanti a titolo di prezzo.

Ne deriva che Maria D., col versamento in questione, aveva estinto il debito per l’esecuzione delle migliorie e la revisione prezzi, ma era rimasta inadempiente all’obbligo di completare il pagamento del prezzo della vendita, e con l’atto stragiudiziale del 12 gennaio 1983 non aveva offerto per intero la prestazione ancora dovuta, contestando tardivamente e in modo del tutto indiretto il contenuto del documento del 22 aprile 1982; per cui non era possibile accogliere la sua domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c., domanda che, pertanto, andava rigettata.

Come appare evidente da quanto finora riassunto, la Corte d’Appello, con la sentenza impugnata, dopo avere accertato che il documento del 22 aprile 1982 incorporava sia la quietanza liberatoria sia la dichiarazione di imputazione, non è incorsa nelle denunziate violazioni di legge né in ordine al valore probatorio delle scritture né in ordine alla motivazione.

Per quanto riguarda il primo aspetto, l’art. 1193 comma I c.c. dispone che chi ha più debiti della medesima specie verso la stessa persona può dichiarare quando paga, quale debito intende soddisfare. Quando ? come nel caso di specie ? il debitore non si avvalga della facoltà riconosciutagli da questa norma, la scelta ? come si desume dall’art. 1195 c.c. ? spetta al creditore, il quale, nello stesso documento di quietanza, può dichiarare d’imputare il pagamento ad uno o più debiti determinati; e ciò significa che i criteri legali dettati dal II comma dell’art. 1193 c.c. hanno carattere suppletivo e sono applicabili solo quando il debitore non abbia effettuato l’imputazione e manchi l’imputazione effettuata dal creditore.

Dall’art. 1195 c.c. si desume, inoltre, che la dichiarazione d’imputazione del creditore deve essere accettata dal debitore.

Ciò posto, deve rilevarsi che quando, come nel caso di specie e nel solco d’una antica tradizione dell’istituto, la dichiarazione d’imputazione (negozio giuridico unilaterale con cui il creditore esercita la sua facoltà di scelta) è inserita nello stesso documento contenente la quietanza (dichiarazione di scienza con funzione di prova documentale e scopo liberatorio) la ricezione del documento da parte del debitore si riferisce solo alla quietanza in esso contenuta e soddisfa il suo interesse a conseguire e conservare la prova documentale dell’avvenuto pagamento, ma non presuppone un accordo sull’imputazione; la ricezione del documento operata dal creditore solo quando, da parte del debitore, la stessa non venga immediatamente o comunque prontamente contestata, la mancata tempestiva contestazione assume il valore dell’acquiescenza e conferisce al documento valore di prova certa dell’accettazione da parte del debitore dell’imputazione operata dal creditore.

Sulla base di tali certezze la Corte d’Appello ha correttamente deciso la questione in esame, aggiungendo che l’accettazione dell’imputazione non consentiva alla Maria D. un?imputazione diversa da quella operata dal creditore, come disposto dall’art. 1195 c.c., considerato che non era stata mai neppure dedotto il ricorso al dolo o alla sorpresa da parte del M.

Non v?è dubbio, infatti, che il debitore può disattendere l’imputazione operata dal creditore e sostituirla con una imputazione diversa, denunziando il dolo o la sorpresa messa in atto dal creditore stesso per procurarsi l’accettazione della sua scelta, e cioè proponendo un?azione di annullamento dell’accettazione per vizio della volontà o quanto meno operando una constatazione sollecita e diretta per far valere il dovere di correttezza e di leale esercizio dei diritti cui le parti devono ispirarsi nell’esecuzione dei contratti.

A differenza di quanto afferma la ricorrente, la motivazione posta dalla Corte d’Appello a sostegno della decisione è sufficiente e non contraddittoria anche in ordine al contenuto, giudicato assolutamente ?chiaro? del documento in questione, per cui anche sotto questo aspetto i primi due motivi di ricorso sono infondati e vanno pertanto rigettati.

5) Con il 3°, il 4°, il 5° ed il 6° motivo la ricorrente denunzia difetto di motivazione su vari punti della controversia: le opere aggiuntive erano state eseguite da lei a sue spese, gli importi emergenti dalla quietanza erano sproporzionati rispetto al costo delle opere eseguite, non vi era stata verifica da parte sua della revisione prezzi, il preliminare prevedeva quanto al pagamento del prezzo tre facoltà e non due, il riferimento all’accollo era inconferenrte ai fini della domanda ex art. 2932 c.c., la richiesta di prova testimoniale era stata rigettata.

I motivi indicati possono essere esaminati congiuntamente essendo connessi per l’identicità del vizio denunziato.

Tutti sono infondati alla luce della giurisprudenza di questa Corte Suprema, la quale ha più volte affermato che il giudice di merito è libero di formarsi il proprio convincimento utilizzando gli elementi probatori che ritiene rilevanti per la decisione, senza necessità di prendere in considerazione tutte le risultanze processuali e di confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che indichi gli elementi sui quali fonda il proprio giudizio, dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene specificatamente non menzionati, siano incompatibili con la decisione adottata; ne consegue, inoltre, che i vizi di motivazione che legittimano il sindacato del giudice di legittimità non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove contenuto nella sentenza impugnata rispetto a quello preteso dal ricorrente (da ultimo: Cass. 12 agosto 2004 n° 15675, Cass. 16 gennaio 2004 n° 584, Cass. 25 agosto 2003 n° 12467, Cass. 7 agosto 2003 n° 11918 e 11936, Cass. 14 febbraio 2003 n° 2222).

I motivi si risolvono, nel resto, in una indiretta richiesta d’un nuovo e più favorevole apprezzamento delle risultanze probatorie, richiesta inammissibile perché alla Corte di Cassazione non compete il potere di valutazione delle prove, riservato dalla legge al giudice di merito.

I motivi su indicati vanno pertanto anch?essi rigettati.

6) Con il settimo motivo la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 112 c.p.c.; afferma che la Corte d’Appello non si è pronunziata sulla domanda, avanzata in via subordinata ?al giudice d’appello?, di determinare le somme da lei dovute in dipendenza del contratto preliminare.

La domanda in questione, completamente diversa de quella di conferma della decisione di primo grado (che aveva accolto la domanda di esecuzione specifica del contatto preliminare ex art. 2932 c.c.), figura per la prima volta proposta al giudice di appello, come affermato dalla stessa ricorrente, e compare nelle conclusioni trascritte nell’epigrafe della sentenza di secondo grado. Essa pertanto è da considerarsi nuova in appello, per cui il suo omesso esame da parte della Corte di merito è del tutto ininfluente, dato che, se esaminata, detta domanda avrebbe dovuto certamente essere dichiarata inammissibile a norma dell’art. 345 c.p.c. nel testo anteriore alla legge di riforma, considerata anche l’assenza di statuizioni sulle domanda riconvenzionali degli appellanti, non riproposte in secondo grado.

Il ricorso va, in conclusione, rigettato nella sua interezza.

7) Ricorrono giusti motivi per compensare tra le parto le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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