Cass. civ., sez. V 07-11-2005, n. 21564 TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI – IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO- ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE – ATTRIBUZIONI E POTERI DEGLI UFFICI I.V.A. – ACCESSI, ISPEZIONI, VERIFICHE – MODALITA’ DI ESECUZIONE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Guardia di Finanza di Chioggia, nel corso di un accesso effettuato in data 3 febbraio 1993, a fini di verifica fiscale, nel domicilio di B.G.C. (accesso autorizzato in pari data dal Procuratore della Repubblica di Venezia), rinveniva della documentazione recante annotazioni relative ad importi corrisposti da terzi per lavori effettuati da un’impresa edile (la Edil Bosco) facente capo a B.L. – coniuge del B. – ed a pagamenti effettuati a favore dei dipendenti della stessa impresa.

All’esito, l’Ufficio Iva di Venezia notificava alla predetta B. tre avvisi di rettifica delle dichiarazioni Iva, relativi agli anni 1990, 1991 e 1992, recuperando, a fronte delle operazioni commerciali ritenute non fatturate, una maggiore Iva per complessive Lire 51.791.000, oltre sanzioni ed accessori.

I ricorsi della contribuente avverso tali atti impositivi, dopo essere stati riuniti, venivano rigettati dalla Commissione Tributaria di primo grado di Venezia con decisione n. 31/04/95.

L’appello della B. avverso tale decisione veniva accolto dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto con sentenza n. 45/25/99, depositata il 25 giugno 1999.

La Commissione Tributaria Regionale riteneva illegittimi gli avvisi di rettifica per illegittima acquisizione di elementi di prova, in quanto l’accesso al domicilio della B. era avvenuto in mancanza della necessaria autorizzazione del PM e quindi in violazione dell’art. 52 d.P.R. 633/1972; mentre la facoltà riconosciuta all’Ufficio dall’art. 55 d.P.R. cit. di procedere ad accertamento induttivo sulla base di notizie comunque raccolte presuppone pur sempre la legittima acquisizione di tali notizie.

Ricorrono congiuntamente per cassazione l’Amministrazione delle Finanze e l’Ufficio delle Entrate di Chioggia, con un articolato mezzo di doglianza.

La contribuente intimata non si è costituita.

Motivi della decisione

I ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 52 d.P.R. 633/1972 nonché motivazione insufficiente, contraddittoria ed illogica sui punti decisivi della controversia.

I Giudici di appello avrebbero per un verso riconosciuto legittimo l’accesso nel domicilio del B. in quanto autorizzato dal PM e, per altro verso, contraddittoriamente affermato l’assenza di tale autorizzazione per l’accesso nel domicilio della B., pur essendo del tutto pacifico che si trattava dell’unico domicilio di coniugi conviventi.

Inoltre, i detti Giudici non avrebbero considerato che gli avvisi di rettifica nei confronti della B. (basati sulla documentazione riconducibile alla impresa della B. stessa, rinvenuta nel corso dell’accesso domiciliare) erano del tutto legittimi poiché l’autorizzazione del PM necessita al fine di rimuovere il limite costituzionale alla inviolabilità del domicilio e non esplica invece alcun effetto in ordine al potere di accertamento tributario dell’Ufficio, successivo all’accesso domiciliare.

Le doglianze sono fondate.

Al riguardo – in materia d’Iva così come d’imposte sui redditi – deve senz’altro convenirsi che gli avvisi di rettifica e di accertamento motivati con riferimento a dati acquisiti dall’amministrazione finanziaria a seguito di accesso nell’abitazione del contribuente non autorizzato o illegittimamente autorizzato dal Procuratore della Repubblica sono invalidi ed insuscettibili di produrre effetti: non essendo consentito che attività compiute in dispregio del diritto alla inviolabilità del domicilio – garantito dall’art. 14, comma primo, della Costituzione – vengano poste a fondamento di atti impositivi, emessi a carico di coloro che tali illegittime attività abbiano dovuto subire (Cass. 15230/2001; Cass. 19690/2004).

Tuttavia, una volta che il provvedimento di autorizzazione all’accesso domiciliare sia stato emesso (nella specie, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Venezia, ai sensi dell’art. 52 d.P.R. 633/1972) allo scopo di acquisire, in tale domicilio, documentazione fiscale relativa ad un determinato soggetto, deve ritenersi consentito all’Autorità procedente di acquisire anche ulteriori documenti, di pertinenza di soggettivi diversi, pur se non menzionati nel provvedimento di autorizzazione all’accesso.

Ciò, in quanto la ratio ispiratrice dell’art. 52 cit. risiede, all’evidenza, nella esigenza di tutelare il diritto del soggetto nei cui confronti l’accesso viene richiesto (e poi autorizzato) e non certo quello di garantire una sorta di immunità dalle indagini in favore di terzi: siano essi conviventi o meno con l’interessato (Cass. 153/1996; Cass. 2775/2001).

Alla stregua dei rilievi che precedono, appare evidente l’erroneità della sentenza di secondo grado, per avere affermato l’illegittimità dell’avviso di accertamento sul (solo) rilievo della mancanza di autorizzazione all’accesso nel domicilio della B.: laddove, come si è prima posto in evidenza, l’accesso nel luogo di abitazione del B. (ove la documentazione fiscalmente rilevante, concernente l’impresa della B. stessa, è stata rinvenuta) era stato invece regolarmente autorizzato dal PM competente.

Il ricorso deve essere dunque accolto.

Conseguentemente, va cassata la sentenza impugnata: con rinvio – stante la necessità, ai fini del decidere, di ulteriori accertamenti in fatto, preclusi in questa fase, di legittimità – ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, la quale provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Veneto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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