Cass. pen., sez. V 07-12-2005 (03-06-2005), n. 44689 REATI CONTRO LA FEDE PUBBLICA – DELITTI – FALSITÀ IN ATTI – FALSITÀ IDEOLOGICA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 7 maggio 2002, il Tribunale di Genova dichiarava F.R. colpevole dei reati a lui ascritti (ai sensi degli artt. 110 e 81 c.p., artt. 476-482 c.p., art. 61 c.p., n. 2, e artt. 110 e 640 c.p., comma 1 e 2, n. 9) limitatamente al periodo di tempo indicato (giorni 6, 8 e 11 ottobre 1999) e, riqualificata la prima imputazione ai sensi degli artt. 479 e 483 c.p., lo condannava – con la continuazione e le attenuanti generiche – alla pena di mesi dieci di reclusione ed euro 500 di multa nonché al risarcimento dei danni materiali e morali in favore dell’A.S.L. Genova 3, costituitasi parte civile, da liquidarsi in separata sede, oltre consequenziali statuizioni.

I fatti oggetto di contestazione erano i seguenti.

Il F., dipendente della stessa ASL, era accusato di avere in più occasioni – e segnatamente nei giorni anzidetti – in concorso con G.L. che provvedeva alla materiale timbratura del cartellino per la rilevazione meccanica dell’orario di lavoro, formato un falso atto pubblico attestando falsamente la propria presenza in servizio. L’ulteriore addebito riguardava la truffa in danno della stessa ASL in quanto, con le anzidette falsità, induceva in errore la detta amministrazione, procurandosi un ingiusto profitto consistito nella percezione indebita dello stipendio senza aver prestato la corrispondente attività lavorativa, con l’aggravante di rivestire la qualifica di incaricato di pubblico servizio.

Pronunciando sul gravame proposto dall’imputato, la Corte di Appello di Genova, con la sentenza in epigrafe indicata, confermava l’impugnata decisione, con ulteriori consequenziali statuizioni.

Avverso l’anzidetta decisione il difensore del F. ha proposto ricorso per Cassazione, affidato alle ragioni di censura dedotte in parte motiva.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, parte ricorrente denuncia l’assenza di motivazione in ordine alla richiesta di rinnovazione del dibattimento, ritualmente formulata nei motivi di appello. L’istanza d’integrazione probatoria era intesa all’acquisizione di documenti relativi alle domande di straordinario da parte del F. ed era giustificata dall’assoluta rilevanza e decisività di quanto richiesto, posto che il dirigente sanitario dell’ASL dr. P.S., aveva dichiarato al dibattimento che lo straordinario deve essere preventivamente autorizzato per essere riconosciuto e che non gli risultava che il F. avesse chiesto l’autorizzazione al pagamento di straordinari in via preventiva. Tali circostanze sarebbero valse a dimostrare la mancanza di ogni interesse da parte dell’imputato all’anticipata timbratura di un cartellino che avrebbe registrato l’effettuazione di uno straordinario non retribuibile. Nessuna motivazione era stata resa al riguardo, né la stessa era enucleabile per implicito dalla valutazione degli elementi di prova già acquisiti. Peraltro, la rinnovata istruttoria si rendeva necessaria alla luce della deposizione della dipendente G., preposta al pagamento degli straordinari, la quale aveva dichiarato che, se aveva ammesso al pagamento lo straordinario a fine mese, era perché, evidentemente, così le era stato detto, ma non c’era nulla di scritto, tanto più che l’ammissione al pagamento dello straordinario era avvenuta quando l’imputato era stato già denunciato e sospeso dal servizio proprio per l’asserita impropria timbratura dei cartellini ed era impensabile che lo stesso avesse chiesto oralmente il pagamento degli straordinari risultanti da un cartellino già sequestrato (il 13 ottobre).

Il secondo motivo deduce illogicità, carenza ed illogicità della motivazione, sul rilievo che il giudice di appello non aveva reso una motivazione logica ed adeguata a sostegno della ricostruzione dei fatti prescelta, ma era incorso anche in evidente travisamento, attraverso una distorta lettura delle risultanze testimoniali, segnatamente quella del teste B., del teste R., e dei verbalizzanti, maresciallo A. e brigadiere P..

Il terzo motivo deduce erronea applicazione ed interpretazione dell’articolo 640 cpv c.p., sul riflesso che, nel caso di specie, non sussistevano i presupposti della ritenuta contestazione, specie con riferimento all’insussistente induzione in errore della parte offesa, alla luce della decisiva considerazione che lo straordinario era stato pagato dopo il sequestro del cartellino e dopo l’avvio delle indagini accertate sulle circostanze, note all’Amministrazione, che non fossero state effettuate le ore di straordinario. Il giudice di appello avrebbe potuto, al più, ritenere ipotizzabile il solo delitto di tentata truffa e rilevarne poi l’insussistenza in concreto, posto che, alla luce delle dichiarazioni del dirigente sanitario, le ore di straordinario, senza una preventiva richiesta, non erano remunerabili. Un’esatta configurazione giuridica della fattispecie e la valutazione di inidoneità alla commissione del reato degli atti compiuti si sarebbero inevitabilmente riverberati anche sul reato di falso, che avrebbe dovuto essere ritenuto innocuo.

Il quarto motivo deduce erronea applicazione dell’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 9, sul rilievo che, contraddittoriamente, il primo giudice, qualificando diversamente l’originario titolo di contestazione, aveva ritenuto che il F., dipendente ASL, fosse assimilabile al privato ed aveva poi ritenuto sussistente l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 9, che implica che l’imputato non sia considerato un mero dipendente assimilabile al privato, ma un incaricato di pubblico servizio.

Il quinto motivo denuncia l’omessa applicazione dell’art. 69 c.p., sul rilievo che, nel rapporto di bilanciamento delle generiche, non era stata considerata l’ipotesi del secondo comma dell’art. 640 c.p., che notoriamente, prevede non un’autonoma figura di reato, ma un’aggravante speciale del reato di truffa. Stante l’obbligatorietà del giudizio di comparazione, i giudici di merito avrebbero dovuto procedere al detto giudizio tra tutte le aggravanti contestate e le concesse attenuanti generiche e dare contezza delle ragioni per le quali, ritenute prevalenti le circostanze attenuanti sulle aggravanti, avevano ritenuto congrua, come pena base, una pena doppia della minima edittale in un caso, come quello di specie, nel quale, tra l’altro, sussisteva un danno di particolare tenuità.

2. – La prima censura è priva di fondamento in quanto la complessiva motivazione resa dal giudice di appello rende di per sé ragione dei motivi per i quali è stata disattesa la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Ed infatti, costituiva dato pacifico in processo che, indipendentemente da una formale, previa, autorizzazione, il F. era stato ammesso al pagamento degli straordinari sulla scorta di una falsa attestazione di orari di lavori compiuti, oltre alle normali ore lavorative, grazie alla fraudolenta timbratura del cartellino. Sostenere che, di norma, l’ammissione al pagamento deve essere preceduta da apposita autorizzazione non giova comunque alla linea difensiva dell’imputato, se è vero che dall’escussione della teste G. emergeva, comunque, che, anche indipendentemente da un’autorizzazione scritta di volta in volta, i dipendenti potevano essere ammessi al pagamento dello straordinario effettuato.

La seconda censura va disattesa, posto che attinge a questioni di merito. Peraltro, è priva di fondamento in quanto la valutazione delle risultanze di causa che traspare dalla motivazione del provvedimento impugnato risulta immune da vizi od incongruenze di sorta, avendo esaurientemente indicato gli elementi di prova (gli eseguiti accertamenti di p.g. e le dichiarazioni testimoniali in atti) e dato atto di avere correttamente apprezzato tali emergenze processuali. ÿ appena il caso di osservare, poi, che in questa sede non sono praticabili ricostruzioni alternative di una vicenda che il giudice di merito ha delineato in termini chiari e puntuali, sulla base della versione dei fatti emersa dalle acquisizioni probatorie.

Per quanto concerne le restanti censure, vale sicuramente il rilievo pregiudiziale della loro novità, che è causa di inammissibilità, posto che non risulta che le relative questioni siano state sollevate nei motivi di gravame. Ad ogni buon conto, nei limiti in cui le stesse doglianze afferiscano a profili di qualificazione giuridica del fatto rilevabili ex officio, si osserva che non è ravvisabile contraddizione alcuna nell’inquadramento giuridico della vicenda, con riferimento alla contestata aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 9 (aver commesso il fatto con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio?). Nessuna incongruenza è dato, infatti, riscontrare nel percorso logico-giuridico seguito dal giudice di merito che ha assimilato il dipendente di azienda sanitaria, come tale parte di un rapporto pubblico di servizio, ad un soggetto privato. Ed infatti, il dipendente in questione è, certamente, incaricato di pubblico servizio, ma, nell’atto di timbrare il cartellino di presenza, non pone in essere, in qualità di pubblico ufficiale, un falso in atto pubblico, incompatibile con l’aggravante in contestazione, giacché agisce come privato. E come privato è stato, correttamente, considerato dal giudice di primo grado, che ha riqualificato l’originaria imputazione, espressa ai sensi dell’art. 476-482 c.p., nei termini della diversa fattispecie penale prevista dagli artt. 483-479 c.p..

3. – Per tutto quanto precede, il ricorso deve essere rigettato, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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