Cass. pen., sez. I 06-12-2005 (23-11-2005), n. 44403 SICUREZZA PUBBLICA – STRANIERI – Provvedimento di espulsione – Procedimento amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Fatto

Con sentenza 11/03/2005 la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza 28/10/2003, con la quale il Tribunale in sede aveva condannato H. di nazionalità albanese, con le attenuanti generiche e la diminuente per il rito abbreviato, alla pena di mesi tre di arresto con il beneficio della sospensione condizionale della pena siccome dichiarato responsabile del reato previsto dall’art. 14 co. 5 ter D. Lgs. 286/1998 e succ. mod. perché, senza giustificato motivo, si tratteneva nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanamento impartitogli dal Questore di Roma in data 26/04/2003 e a lui notificato in pari data. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso il difensore, il quale, anche con memoria difensiva presentata successivamente, ne ha chiesto l’annullamento, deducendo: a) la violazione degli artt. 7 e 8 L. 241/1990 sul rilievo che non era stata data comunicazione all’interessato dell’avvio del procedimento amministrativo; b) la violazione dell’art. 13 comma 7 D. Lgs. 286/1998 e succ. mod. per la mancata traduzione della copia del decreto di espulsione nella lingua conosciuta dall’interessato; c) la carenza della motivazione del provvedimento di allontanamento dal territorio dello Stato impartito dal Questore.

Motivi della decisione

Il ricorso non merita accoglimento. Quanto al primo motivo, non vi è dubbio che l’obbligo da parte dell’autorità procedente di comunicare l’avvio di una fase conoscitiva e di indagine, previsto dall’art. 7 co. 1 L. 241/1990, che consente all’interessato di presentare memorie e documenti a propria difesa, ha carattere generale ed è, quindi, applicabile alla gran parte dei procedimenti amministrativi. Tuttavia va rilevato che il rispetto del giusto procedimento amministrativo, costituendo un criterio generale di orientamento cui la Pubblica Amministrazione si deve comunque adeguare, non può considerarsi un principio assistito in assoluto da garanzia di difesa (vedi a tal proposito sentenze nn. 57/1995 e 210/1995 della Corte Costituzionale in materia di applicazione dell’art. 7 L. 241/1990). Pertanto in presenza di procedimenti particolari – come quelli diretti alla espulsione di cittadini extracomunitari privi del permesso di soggiorno, che sono regolati da norme che assicurano comunque il rispetto del principio del giusto procedimento e che sono caratterizzati da esigenze di celerità della procedura – si deve escludere che sussista l’obbligo da parte dell’Autorità Amministrativa procedente di dare comunicazione all’interessato dell’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 L. 241/1990. Infatti nella materia in esame l’onere di dare comunicazione all’interessato dell’avvio del procedimento deve ritenersi escluso, in quanto l’attività interna svolta dall’Autorità Amministrativa ha natura prodromica e si concretizza direttamente con il provvedimento prefettizio, che è soggetto a reclamo a seguito del quale si instaura un procedimento di natura giurisdizionale, ove l’interessato potrà svolgere tutta l’attività necessaria alla propria difesa. Quanto al secondo motivo relativo alla mancata traduzione del decreto di espulsione nella lingua conosciuta dall’imputato, è sufficiente rilevare che proprio l’art. 13 comma 7 della L. 286/1998 e succ. mod. prevede, nel caso in cui non sia possibile la traduzione del decreto nella lingua conosciuta dallo straniero, che detto provvedimento sia tradotto in lingua inglese, francese o spagnola. Ciò è puntualmente avvenuto, tenuto conto che il decreto è stato tradotto in lingua inglese, ricorrendo l’impossibilità (di cui si da atto nel provvedimento) di reperire un interprete per la traduzione del documento nella lingua conosciuta dall’imputato. Pertanto nel caso di specie non è ravvisabile alcuna violazione della norma citata, tanto più che – come risulta dalla motivazione della sentenza di primo grado richiamata dalla sentenza impugnata – lo stesso ricorrente ha dimostrato di essere pienamente consapevole del contenuto e degli effetti dei provvedimenti di espulsione e di allontanamento a lui notificati. Quanto al terzo motivo, va rilevato che il Questore ha motivato il provvedimento sull’assunto che non è possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea per indisponibilità dei posti. Orbene dal tenore della motivazione appare evidente che nel caso di specie l’ordine di allontanamento del Questore non è frutto di una valutazione arbitraria della pubblica amministrazione, trattandosi invece di scelta necessitata dalla accertata impossibilità oggettiva di trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea per l’indisponibilità dei posti. Ne consegue che non vi era necessità di specificare ulteriormente le ragioni di tale scelta a fronte della accertata impossibilità di procedere alla esecuzione del decreto di espulsione secondo le prioritarie modalità stabilite dal primo comma dell’art. 14 legge citata (espulsione immediata con accompagnamento alla frontiera o trattenimento temporaneo dello straniero presso il centro di permanenza). Del tutto inammissibile deve ritenersi infine la censura relativa alla mancata o illogica valutazione del giustificato motivo addotto dall’imputato, atteso che sul punto la Corte di merito ha svolto una adeguata motivazione non suscettibile di censura in questa sede. Pertanto, non ravvisandosi vizi logico-giuridici della motivazione, il ricorso deve essere rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ex art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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