Corte Costituzionale, Sentenza n. 135 del 2004, In tema di edilizia residenziale pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1. — Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria ha sollevato, con ordinanza del 23 dicembre 2002, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1 (recte: dell’art. 6, comma 1, lettera d), dell’art. 8 e dell’art. 27, comma 2, lettera d), della legge della Regione Liguria 3 marzo 1994, n. 10 (Norme per l’edilizia residenziale pubblica), in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

Il giudice rimettente – dinanzi al quale è stato proposto ricorso avverso il decreto con cui l’Azienda regionale territoriale per l’edilizia aveva pronunciato la decadenza dall’assegnazione dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica nei confronti di soggetti risultati proprietari nell’ambito del territorio nazionale di immobili il cui valore locativo era superiore alla soglia stabilita dal predetto art. 6, comma 1, lettera d), della legge regionale n. 10 del 1994 – premette che tale ultima disposizione, richiamata dall’art. 27, comma 2, lettera d), della medesima legge regionale ai fini della pronuncia di decadenza, prevede, quale requisito per l’assegnazione dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica, che l’aspirante non sia titolare di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione “su uno o più alloggi, ubicati in qualsiasi località del territorio nazionale, il cui valore locativo complessivo, determinato ai sensi della legge n. 392 del 1978 e successive modificazioni ed integrazioni, sia pari al valore aggiornato o confermato dalla Giunta regionale ogni due anni per l’ambito territoriale cui si riferisce il bando di concorso”. Tale previsione viene censurata dal giudice a quo in quanto la disciplina delle locazioni è stata profondamente modificata dalla legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), la quale ha abrogato, tra l’altro, l’art. 12 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), che regolava la base di calcolo del valore locativo ai fini della determinazione dell’equo canone per le locazioni abitative, ed ha attribuito al libero accordo dei contraenti la determinazione del canone, “sicché deve ritenersi contrario al principio di ragionevolezza il mantenimento di un valore non idoneo a rappresentare il fabbisogno abitativo e che, comunque, non rispecchia più, nel quadro delle transazioni immobiliari, la realtà economico-sociale del Paese”.

2. — Secondo il Tar, l’incongruenza sarebbe tanto più palese se si considera che i valori relativi agli immobili, eventualmente posseduti dall’assegnatario, quali i redditi da fabbricati, concorrono alla determinazione del reddito imponibile complessivo del soggetto, che, ai sensi dell’art. 8 della legge regionale in esame, può costituire motivo di esclusione dall’assegnazione dell’alloggio, qualora risulti superiore, per due annualità consecutive, oltre quella di rilevamento, al limite di reddito fissato dal Consiglio regionale. Ad avviso del Tar, la Regione non potrebbe emanare norme che disciplinino, specificandolo, l’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, con previsione dell’esclusione di coloro i quali siano proprietari di beni immobili della stessa natura di quelli assegnati, se non predisponendo “criteri propri di valutazione, preferibilmente ancorati ad indici oggettivi, quali potrebbero considerarsi la superficie abitabile o il valore di mercato del bene determinato dagli uffici tecnici erariali”. Nel caso in esame il riferimento al reddito dell’immobile, commisurato al valore locativo, sarebbe, peraltro, stato eliminato con la delibera 13 marzo 1995 del CIPE, organo al quale spetta la fissazione dei criteri di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica.

Pertanto, il giudice rimettente ritiene che l’art. 27, comma 2, lettera d), della legge regionale n. 10 del 1994, il quale richiama il predetto art. 6 della medesima legge, si ponga in contrasto con l’art. 3 e con l’art. 97 della Costituzione, in linea peraltro con quanto deciso nelle sentenze n. 176 e n. 299 del 2000 della Corte costituzionale.
Considerato in diritto

1. — La questione di legittimità costituzionale sollevata con l’ordinanza in epigrafe concerne l’art. 6, comma 1, lettera d), l’art. 8 e l’art. 27, comma 2, lettera d), della legge della Regione Liguria 3 marzo 1994, n. 10 (Norme per l’edilizia residenziale pubblica), nella parte in cui prevedono, tra i requisiti per l’assegnazione – e per non incorrere nella decadenza – degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, la non titolarità di diritti reali di proprietà, usufrutto, uso e abitazione su uno o più alloggi, anche sfitti, ubicati in qualsiasi località, la cui quota di valore locativo complessivo, determinato ai sensi della legge 27 luglio 1978, n. 392, sia almeno pari al valore locativo di un alloggio adeguato, di medie condizioni abitative, situato nell’ambito territoriale cui si riferisce il bando di concorso.

Secondo il rimettente tali norme contrasterebbero con gli artt. 3 e 97 della Costituzione in quanto irragionevolmente fanno riferimento al valore locativo dell’immobile “non più idoneo a rappresentare il fabbisogno abitativo”, perché non legato ad indici oggettivi quali potrebbero considerarsi la superficie abitabile o il valore di mercato del bene e perché non più in grado di rispecchiare la realtà economico-sociale del Paese, essendo ancorato alle previsioni della legge n. 392 del 1978, in larga parte abrogata e comunque superata dalla diversa impostazione e disciplina della legge 9 dicembre 1998, n. 431.

2. — La questione è fondata.

La questione di legittimità in esame si incentra sostanzialmente sull’incongruità del criterio del valore locativo, calcolato ai sensi della legge n. 392 del 1978 quale parametro di valutazione del reddito effettivo di un immobile.

A questo proposito, nella giurisprudenza costituzionale su disposizioni regionali di contenuto pressoché identico a quelle ora sottoposte a scrutinio è ricorrente l’affermazione che non appaiono incongrue, nel quadro delle finalità della legislazione sull’edilizia residenziale pubblica miranti a favorire l’accesso all’abitazione a categorie di cittadini meno abbienti, tutte quelle norme dirette a precludere il godimento di tali alloggi a chi sia titolare di un bene immobiliare avente la stessa natura di quello al quale aspira, ovunque esso sia ubicato. Ma è anche ricorrente l’affermazione che appaiono incongrue quelle disposizioni, come appunto quelle censurate della legge della Regione Liguria n. 10 del 1994, le quali precludono al titolare di un bene immobiliare l’assegnazione – o ne determinano la decadenza – dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica sul presupposto della percezione di un reddito basato sul valore locativo dell’immobile stesso, determinato appunto ai sensi della citata legge n. 392 del 1978.

L’irragionevolezza di tale scelta legislativa risiede nel fatto che il valore locativo così configurato non può oggi costituire un adeguato parametro di valutazione del cespite immobiliare, di cui sia titolare l’interessato (sentenza n. 299 del 2000), dopo che l’abrogazione dell’art. 12 della citata legge n. 392, che stabiliva le diverse basi di calcolo del valore locativo, ai fini dell’equo canone per le locazioni abitative, ha sostanzialmente privato di significato i precedenti indici convenzionali e coefficienti correttivi di valutazione su cui appunto tale valore si basava. Il regime delle locazioni urbane introdotto dalla legge 9 dicembre 1998, n. 431 è infatti profondamente mutato nell’impostazione e nella disciplina rispetto a quello stabilito dalla ricordata legge n. 392 del 1978 (sentenza n. 176 del 2000).

Le norme regionali impugnate applicano dunque, sulla base di un rinvio recettizio alla legge n. 392 del 1978 (ordinanza n. 526 del 2002), un criterio per l’assegnazione – e, inversamente, per la decadenza – dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica, fondato non su un indice adeguato di valutazione del cespite immobiliare dell’interessato, quanto piuttosto, in modo del tutto irragionevole, sul presupposto di un tipo di reddito, basato sul valore locativo previsto dalla citata legge n. 392, il quale però non può più essere, per le ragioni dette, rappresentativo del reddito effettivo dell’immobile stesso. Risulta così evidente il carattere arbitrario e irrazionale della scelta del legislatore regionale ligure, tanto più se si considera che la successiva delibera del CIPE del 13 marzo 1995 ha eliminato, ai fini dell’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, qualsiasi riferimento al criterio del valore locativo, calcolato secondo la legge n. 392 del 1978, dell’immobile eventualmente posseduto dall’interessato.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 6, comma 1, lettera d), 8 e 27, comma 2, lettera d), della legge della Regione Liguria 3 marzo 1994, n. 10 (Norme per l’edilizia residenziale pubblica), limitatamente alle parti in cui individuano il reddito immobiliare, rilevante ai fini rispettivamente dell’assegnazione dell’alloggio e della dichiarazione di decadenza, commisurandolo al valore locativo complessivo determinato ai sensi della legge 27 luglio 1978, n. 392.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 aprile 2004.

Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2004.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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