Corte Costituzionale, Sentenza n. 247 del 2004, In tema di insindacabilità dei membri del parlamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1.–– Con ordinanza del 29 novembre 2001 la Corte di appello di Bologna, seconda sezione civile, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla delibera adottata il giorno 8 aprile 1999, con la quale – in difformità rispetto alla proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere – è stato dichiarato che i fatti per i quali Enzo Biagi aveva intrapreso azione risarcitoria contro il deputato Umberto Bossi riguardavano opinioni espresse da quest’ultimo nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari ed erano, quindi, insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

1.1–– Premette in fatto la Corte di appello che, con atto di citazione notificato il 9 ottobre 1996, Enzo Biagi aveva convenuto in giudizio Umberto Bossi e la Poligrafici editoriale s.p.a. chiedendone la condanna al risarcimento del danno arrecato al suo onore e alla sua reputazione con una intervista al deputato Bossi pubblicata sul quotidiano "Il Resto del Carlino" del giorno 11 agosto 1996. In particolare, l’attore lamentava che in merito alla asserzione del giornalista: "Secondo Enzo Biagi lei, invece, predica soprattutto l’egoismo" il parlamentare aveva detto: "Quel ladrone deve stare zitto. Ma quale egoismo? Questi vogliono fare la solidarietà rubando ai lavoratori dipendenti del Nord per tenere in piedi l’assistenzialismo al Sud. E’ un vero e proprio genocidio nei confronti del Nord. Porci razzisti, porci colonialisti, marmaglia romana. Io sono qui per eseguire la volontà della nazione padana, non me ne frega niente dell’Italia e degli italioti. Alla fine perderanno ed io li andrò a cercare uno per uno".

Il Tribunale di Bologna aveva accolto la domanda, sul presupposto ermeneutico secondo cui l’autorità giudiziaria è libera di valutare autonomamente se ricorra o meno una delle ipotesi di insindacabilità previste dall’art. 68, primo comma, della Costituzione in tutti i casi in cui la Camera di appartenenza del parlamentare non si sia già pronunciata al riguardo.

1.2–– Rileva la Corte di appello di Bologna che la Camera dei deputati, adottando la delibera di cui si è detto, ha fatto un uso non corretto del potere di decidere in ordine alla sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione ed ha così menomato le attribuzioni del potere giudiziario, ponendosi in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale "la prerogativa di insindacabilità non si estende a tutti i comportamenti di chi sia membro delle Camere, ma solo a quelli realmente funzionali all’esercizio delle attribuzioni proprie del potere legislativo e non, invece, a quelli che assumano la funzione politica quale semplice pretesto per attività sostanzialmente diverse" (v. sentenze n. 375 del 1997 e n. 379 del 1996). Nel caso di specie non è ravvisabile alcun collegamento "tra le espressioni contestate all’onorevole Bossi ed una attività di esplicazione, propaganda, diffusione o contestazione di principi politici", mentre "ciò che risulta di tutta evidenza è la serie di insulti e minacce rivolte al Biagi e ad altri, non meglio identificati, avversari politici".

Né può indurre ad un diverso risultato l’affermazione, contenuta nella delibera in oggetto, secondo cui l’onorevole Bossi ha espresso "dichiarazioni contenutisticamente fedeli al programma politico della Lega". Infatti, le espressioni che si sono riportate non rivestono alcun contenuto di critica politica, ma "costituiscono un mero pretesto per rivolgere al Biagi una serie di contumelie" nelle quali "non è possibile rintracciare una connessione con atti tipici della funzione, né risulta possibile individuare un intento divulgativo di una scelta o di una attività politico-parlamentare" (v. sentenza n. 289 del 1998).

Le dichiarazioni di cui si tratta sono, pertanto, del tutto estranee allo svolgimento della funzione pubblica e rientrano, invece, "nell’esercizio di mera attività politica", nel cui ambito i membri del Parlamento sono "sottoposti agli stessi limiti di ogni altro cittadino che voglia concorrere a determinare la politica nazionale mediante la libera manifestazione del pensiero (v. Cass., sent. 1° marzo 1982, n. 2039)", in quanto la prerogativa prevista dall’art. 68, primo comma, della Costituzione, essendo finalizzata a tutelare la funzione e non la persona del parlamentare, "copre esclusivamente l’attività istituzionale del deputato o del senatore".

Le suddette premesse inducono la Corte di appello di Bologna a promuovere il presente conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

2.–– Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con ordinanza di questa Corte n. 23 del 2003. La Corte di appello di Bologna ha provveduto a notificare in data 18 febbraio 2003 il ricorso e l’ordinanza di ammissibilità alla Camera dei deputati, ha ricevuto in restituzione tali atti dall’Ufficio unico notifiche presso la Corte di appello di Roma con la prova dell’avvenuta notifica il 18 marzo 2003 e ne ha effettuato il prescritto deposito il 28 marzo 2003.

3.–– Nel giudizio davanti alla Corte si è costituita la Camera dei deputati chiedendo, anche in una memoria depositata in prossimità dell’udienza, una dichiarazione di inammissibilità o in subordine di improcedibilità o di rigetto dell’"ordinanza introduttiva del presente giudizio", con conseguente riconoscimento della spettanza alla Camera del potere di dichiarare l’insindacabilità delle opinioni espresse dall’onorevole Bossi.

3.1.–– L’inammissibilità deriverebbe dal fatto che l’atto introduttivo del giudizio – che si autoqualifica "ordinanza" – non ha i requisiti prescritti per il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, neppure alla luce della sentenza di questa Corte n. 421 del 2002. Esso, infatti, è carente, sia nel dispositivo sia nella motivazione, di uno specifico petitum diretto ad ottenere la declaratoria della non spettanza del potere in contestazione e l’annullamento della delibera di insidacabilità, non contiene alcuna precisazione delle ragioni del conflitto (limitandosi a riportare in modo generico citazioni della giurisprudenza costituzionale senza riferirle puntualmente al caso concreto e senza fornire precise indicazioni, sulla base dell’attività ispettiva parlamentare, dell’assenza del nesso funzionale delle opinioni espresse extra moenia dall’onorevole Bossi con atti tipici del mandato parlamentare) e non indica in modo esauriente le norme costituzionali che regolano la materia, in quanto in esso non sono menzionati i parametri nei quali si radicherebbero le attribuzioni della ricorrente, ma viene esclusivamente citato l’art. 68 della Costituzione che è posto, invece, a presidio delle attribuzioni del confliggente potere.

3.2.–– Quanto all’irricevibilità, la Camera rileva che l’adozione della forma dell’ordinanza porrebbe l’autorità giudiziaria in una situazione di indebito privilegio rispetto a tutti gli altri soggetti che partecipano ai giudizi davanti a questa Corte quali disciplinati dalle norme integrative del 16 marzo 1956, in quanto ciò le consentirebbe di aggirare il disposto dell’art. 6 delle stesse norme integrative (applicabile ai giudizi per conflitti di attribuzione in base al richiamo del successivo art. 26), secondo cui ciascuna parte deve depositare in cancelleria i propri documenti "in tante copie in carta libera quanti sono i componenti della Corte e le parti".

3.3— Per quel che riguarda l’improcedibilità, la Camera rileva che non sussistono ragioni per modificare la giurisprudenza della Corte sul punto, in quanto il ritardo che si è verificato nel deposito del ricorso è comunque da ascrivere ad una inerzia della Corte di appello di Bologna che non si è debitamente attivata nel chiedere agli ufficiali giudiziari di fornirle tempestivamente la prova dell’eseguita notificazione.

3.4.–– Quanto al merito del conflitto, l’assunto fondamentale della difesa della Camera è che le dichiarazioni dell’onorevole Bossi di cui si discute devono ritenersi assistite dalla garanzia di insindacabilità, atteso che esse, per la parte più contestata concernente l’appellativo "ladrone", riproducono nella sostanza all’esterno opinioni rese (ancorché da altri parlamentari e, in qualche caso, successivamente) in atti tipici della funzione in merito agli elevati compensi percepiti dal dott. Biagi per le sue prestazioni professionali a beneficio della RAI, mentre, per la parte relativa al collegamento della valutazione negativa espressa nei confronti del dott. Biagi con la tematica dello statalismo e del meridionalismo, riflettono l’impegno costantemente manifestato dall’on. Bossi nella sua attività parlamentare contro lo "statalismo" e l’"assistenzialismo" in favore del Mezzogiorno (di cui si ritiene emblematico esempio l’intervento dello stesso onorevole alla seduta della Camera del 3 luglio 1992).

Come atti parlamentari nei quali sono state poste pesantemente in dubbio le qualità morali del dott. Biagi, principalmente per i compensi percepiti dalla RAI, la Camera richiama: l’interpellanza Camera n. 2/00292 del 3 novembre 1994 (on. Storace), l’interrogazione Senato n. 4/02951 del 24 gennaio 1995 (sen. Tabladini), l’interrogazione Camera n. 4/06925 del 31 gennaio 1995 (on. Biondi), l’interrogazione Camera n. 4/06571 del 17 gennaio 1995 (on. Lucchese) e l’interpellanza Senato n. 2/00180 del 21 dicembre 1996 (sen. Novi).

Al riguardo si precisa che: a) la diversità delle parole usate, rispettivamente nei suddetti atti e nelle dichiarazioni dell’on. Bossi, è del tutto ininfluente essendo "modesta e marginale"; b) anche per l’ultimo tra gli indicati atti parlamentari tipici (che è successivo alla pubblicazione dell’intervista di cui si tratta) non può non affermarsi la sussistenza del nesso funzionale in quanto l’atto tipico che sia intervenuto in un momento anche successivo, ma non disgiunto da una soluzione di continuità rispetto a quello delle dichiarazioni extra moenia, deve considerarsi sostanzialmente contestuale a tali dichiarazioni; c) l’utilizzabilità degli atti di altri parlamentari ai fini della ricostruzione del nesso funzionale non può essere posta in dubbio in quanto la garanzia costituzionale di cui all’art. 68 Cost. ha una funzione oggettiva di tutela delle istituzioni rappresentative e non dei singoli parlamentari, tanto più che, ragionando diversamente, l’eventuale sindacato della dichiarazione "esterna" si risolverebbe in un sindacato sulla dichiarazione "interna" e andrebbe a collidere con l’art. 67 Cost. oltre che con l’art. 68, primo comma, della Costituzione.

In conclusione, anche tenendo conto di quanto affermato nelle sentenze di questa Corte n. 10, n. 11, n. 320 e n. 321 del 2000, le opinioni espresse extra moenia dall’on. Bossi di cui si discute possono considerarsi una proiezione esterna di opinioni connesse non semplicemente alla sfera della politica, ma specificamente alla politica parlamentare e, come tali, sono idonee a far scattare la guarentigia dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Considerato in diritto

1.― Il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato ha ad oggetto la deliberazione con la quale la Camera dei deputati, nella seduta del giorno 8 aprile 1999 – in difformitΰ rispetto alla proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere – ha dichiarato che i fatti, per i quali è in corso innanzi alla Corte di appello di Bologna, seconda sezione civile, il giudizio per risarcimento danni promosso dal giornalista Enzo Biagi nei confronti del deputato Umberto Bossi, consistono in opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari e sono conseguentemente insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Secondo la Corte di appello ricorrente, la delibera impugnata lederebbe la propria sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, in quanto le dichiarazioni asseritamente offensive sarebbero state rese senza alcun collegamento con l’attività parlamentare.

2.― In via preliminare si rileva l’infondatezza delle eccezioni di irricevibilità e inammissibilità del conflitto sollevate dalla difesa della Camera dei deputati.

Infatti, secondo il costante orientamento di questa Corte, non incide sulla ritualità della proposizione del conflitto da parte del potere giudiziario la circostanza che l’atto di promovimento non abbia la forma del ricorso ma quella dell’ordinanza, qualora quest’ultima abbia i requisiti di cui all’articolo 26 delle norme integrative (v. sentenze n. 10 e n. 11 del 2000 nonché ordinanze n. 129 e n. 238 del 1999, n. 81 del 2000 e n. 23 del 2003).

Nel caso in esame, la Corte di appello ha compiutamente riferito i fatti e si è doluta della menomazione dei propri poteri prodotta dalla delibera impugnata e quindi della violazione dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione: "norma destinata a definire e limitare le rispettive sfere della prerogativa parlamentare e della giurisdizione" (sentenza n. 509 del 2002).

3.― E’, invece, fondata l’eccezione di improcedibilitΰ.

Questa Corte ha, infatti, più volte affermato la natura perentoria del termine per il deposito del ricorso e dell’ordinanza di ammissibilità emessa da questa Corte, stabilito dall’art. 26, terzo comma, delle norme integrative (v., ex plurimis, sentenze n. 449 del 1997, n. 203 del 1999 e n. 111 del 2003).

Nel caso in esame, poiché la notifica è stata eseguita il 18 febbraio 2003 ed il deposito è avvenuto a mezzo posta con plico spedito il 19 marzo 2003 e pervenuto il successivo 28 marzo, il termine di venti giorni dalla notifica è rimasto inosservato.

Nessun rilievo può avere la circostanza che gli atti da depositare siano stati restituiti alla Corte di appello richiedente la notifica in un momento in cui il termine per il deposito era già decorso.

Mentre, infatti, l’ufficiale giudiziario incaricato della notifica è tenuto ad eseguirla senza indugio e comunque entro il termine prefissato dall’autorità per gli atti da essa richiesti (art. 108, secondo comma, del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229) – dovere il cui inadempimento è sanzionato (art. 108, terzo comma, del citato d.P.R.) – nessuna norma impone all’ufficiale giudiziario l’obbligo di restituire gli atti al richiedente nel domicilio o nella sede di questo. E’ il notificante che deve diligentemente attivarsi, facendo in modo – per quanto egli può controllare – che il procedimento di notificazione si concluda, con il ritorno degli atti nella sua disponibilità, nel tempo utile per il rituale proseguimento del processo.

Né ha influenza, al fine della tempestività del deposito e della procedibilità del ricorso, che a promuovere il conflitto sia l’Autorità giudiziaria; le difficoltà che questa può incontrare sia nel seguire il processo con la propria organizzazione, sia nel munirsi di difesa tecnica, sono inconvenienti di mero fatto che non possono indurre a dare alle norme sul deposito, in sede di conflitto di attribuzione, un contenuto diverso a seconda che a proporre il conflitto sia il potere giudiziario o un altro potere dello Stato.

Non può, pertanto, procedersi all’esame del merito.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara improcedibile il giudizio sul conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dalla Corte di appello di Bologna, seconda sezione civile, nei confronti della Camera dei deputati con l’atto indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 luglio 2004.

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2004.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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