Corte Costituzionale, Sentenza n. 273 del 2004, In tema di rimborso spese di soggiorno per cure all’estero dei portatori di handicap

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 19 luglio 2001 e depositato presso la cancelleria di questa Corte il successivo 26 luglio, la Provincia autonoma di Trento ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione all’art. 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° dicembre 2000 (Atto di indirizzo e coordinamento concernente il rimborso delle spese di soggiorno per cure dei soggetti portatori di handicap in centri all’estero di elevata specializzazione), di cui chiede l’annullamento.

Premette la Provincia ricorrente di essere dotata, ai sensi dell’art. 9, numero 10), del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), di potestà legislativa in materia di igiene e sanità nonché, in forza dell’art. 16 del medesimo d.P.R., delle correlate potestà amministrative.

In detta materia rientrerebbe – secondo la medesima ricorrente – la disciplina del rimborso delle spese affrontate all’estero dai portatori di handicap per fruire delle prestazioni sanitarie di centri di altissima specializzazione, non erogabili dal Servizio sanitario nazionale in maniera adeguata o tempestiva.

Espone la parte ricorrente che la normativa statale in materia, costituita dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), prevede, all’art. 11, comma 1, che sia rimborsabile il soggiorno dell’assistito, e di un suo accompagnatore, in alberghi o strutture collegate con il centro estero di altissima specializzazione, qualora non sia previsto il ricovero per tutta la durata degli interventi autorizzati, e, al comma successivo, che sulla richiesta di rimborso è espresso un parere da una Commissione istituita presso il Ministero della sanità (le cui funzioni sono, in realtà, attualmente esercitate direttamente dalle Regioni e dalle Province autonome per effetto dell’art. 1 del decreto ministeriale 13 maggio 1993, recante “Modificazioni al decreto ministeriale 3 novembre 1989 concernente i criteri per la fruizione di prestazioni assistenziali presso centri di altissima specializzazione all’estero”) sulla base di criteri fissati con atto di indirizzo e coordinamento emanato ai sensi dell’art. 5, primo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale).

Tale ultima norma, a sua volta, prevede che la funzione di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative regionali in materia sanitaria sia esercitata dallo Stato attraverso atti che, se non aventi natura legislativa, sono adottati con deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del suo Presidente, d’intesa con il Ministro della sanità, sentita la Conferenza Stato-Regioni.

Nella specie, prosegue la ricorrente, l’atto di indirizzo e coordinamento è contenuto nel d.P.C.m. 1° dicembre 2000, oggetto di impugnazione, il quale, per quanto interessa, prevede, all’art. 3, che «le Regioni e le Province autonome» rimborsino le spese di cura all’estero attenendosi ai seguenti criteri: «a) un concorso pari al 100 per cento della spesa rimasta a carico, qualora trattasi di un nucleo familiare per il quale l’indicatore della situazione economica equivalente sia inferiore a 62 milioni; b) un concorso pari all’80 per cento della spesa rimasta a carico, qualora trattasi di un nucleo familiare per il quale l’indicatore della situazione economica equivalente sia inferiore a 100 milioni; c) un concorso pari al’80 per cento delle spese di soggiorno, […] qualora trattasi di un nucleo familiare per il quale l’indicatore della situazione economica equivalente sia superiore a 100 milioni».

2.– Tali dettagliate prescrizioni sono ritenute lesive delle prerogative costituzionali della Provincia ricorrente, la quale muove dalla premessa della inoperatività, nella specie, della clausola di salvaguardia, contenuta nell’art. 7 del d.P.C.m. in questione, secondo la quale «le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano provvedono alle finalità del presente atto di indirizzo e coordinamento nell’ambito delle proprie competenze secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti». Inoperatività desumibile dalla circostanza che, fra i destinatari dell’art. 3, sono espressamente indicate le Province autonome.

2.1.– Il citato art. 3 violerebbe in primo luogo l’art. 3, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), secondo il quale gli atti di indirizzo e coordinamento «vincolano la Regione e le Province autonome solo al conseguimento degli obbiettivi e risultati in essi stabiliti»: la disposizione oggetto del conflitto, conformemente alla giurisprudenza della Corte, non potrebbe infatti definirsi «di indirizzo e di coordinamento» stante la rigidità della disciplina in essa contenuta, così dettagliata da doversi considerare direttamente applicativa. Il che, aggiunge la ricorrente, costituirebbe violazione anche dell’art. 2 dello stesso decreto legislativo il quale prevede una separazione fra legislazione statale e provinciale, nel senso che la prima, nelle materie di competenza locale, non sarebbe immediatamente applicabile, creando solamente un vincolo di conformazione della legislazione provinciale ai principi in essa contenuti.

2.2.– Con il secondo motivo di ricorso, la Provincia di Trento lamenta che il d.P.C.m. del 1° dicembre 2000 sia stato adottato – in violazione dell’art. 3, comma 3, del decreto legislativo n. 266 del 1992 – senza l’acquisizione del prescritto parere di essa Provincia autonoma. Precisa al riguardo la ricorrente che, sebbene il verbale della seduta del 12 ottobre 2000 della Conferenza Stato-Regioni citi quale parere della Provincia autonoma una nota del precedente 17 aprile, in realtà essa si era espressa sullo schema di d.P.C.m., da ultimo, con nota dell’8 giugno 2000, contestandone la compatibilità statutaria e chiedendone la modifica.

La ricorrente rileva, a questo punto, che, seppure è vero che nell’adozione degli atti di indirizzo essa è chiamata a rendere solo un parere di conformità alle previsioni statutarie dell’atto sottoposto al suo esame e che tale parere può essere disatteso dall’organo che emana l’atto, sarebbe tuttavia lesivo delle sue prerogative sia il dare per acquisito un parere di conformità, reso in realtà in senso negativo, sia il disattenderne o, meglio, l’ignorarne il contenuto senza motivazione alcuna.

2.3.– Quanto al terzo motivo di ricorso, la Provincia autonoma osserva che, in forza di quanto stabilito dall’art. 5 della legge n. 833 del 1978, gli atti di indirizzo e coordinamento nella materia in questione sono emanati, su proposta del Presidente del Consiglio, d’intesa con il Ministro della sanità, sentita la Conferenza Stato-Regioni, nella forma del decreto del Presidente della Repubblica, secondo la regola generale di cui all’art. 1, comma 1, lettera ii), della legge 12 gennaio 1991 n. 13 (Determinazione degli atti amministrativi da adottarsi nella forma del decreto del Presidente della Repubblica).

Nel caso dell’atto impugnato, invece, il provvedimento è stato emanato nella forma del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo una prassi invalsa a decorrere dal 1997, ma che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 408 del 1998 – con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, nella parte in cui disponeva l’abrogazione dell’art. 2, comma 3, lettera d), della legge n. 400 del 1988 – appare illegittima.

L’adozione, quindi, dell’atto impugnato nella forma del d.P.C.m., alterando l’ordine delle competenze e “trasponendo” la deliberazione governativa collegiale in un atto del Presidente del Consiglio dei ministri, sottrarrebbe alla Provincia la garanzia, ritenuta di sicuro livello costituzionale, dell’intervento nel procedimento di emanazione dell’atto di un organo rappresentante l’unità nazionale ed in grado di formulare, al momento della emanazione, gli eventuali rilievi sulla legittimità dell’atto.

Peraltro, nel caso di specie, sarebbe riscontrabile un ulteriore vizio procedimentale, in quanto il provvedimento sarebbe stato emanato non su proposta del Presidente del Consiglio ma direttamente da questo; il legislatore della riforma sanitaria ha invece previsto che, in materia sanitaria, gli atti di indirizzo e coordinamento siano emanati su proposta del Presidente del Consiglio e non dell’amministrazione competente, proprio per mantenerne la funzione generale e sottrarli all’essere espressione dell’interesse dell’amministrazione direttamente coinvolta, titolare non di una potestà di proposta ma solo di una potestà d’intesa.

La dedotta illegittimità dell’atto si tradurrebbe, ad avviso della ricorrente, in una violazione delle sue prerogative costituzionali.

3.– Si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o comunque per l’infondatezza del ricorso.

Osserva la difesa erariale, quanto al primo motivo di ricorso, che, interpretando il d.P.C.m. impugnato alla luce di quanto disposto dall’art. 3, comma 2, del d.lgs n. 266 del 1992 – secondo cui gli atti di indirizzo e di coordinamento vincolano le Province autonome solo al conseguimento degli obbiettivi e dei risultati che in essi sono stabiliti – emergerebbe chiaramente che l’art. 7 del medesimo d.P.C.m., secondo il quale le Province di Trento e Bolzano provvedono alle finalità dell’atto di indirizzo «nell’ambito delle proprie competenze secondo quanto previsto nei rispettivi statuti», si riferisce a tutte le disposizioni contenute nel provvedimento, così limitando l’ambito dell’impugnato art. 3, che, perciò, non troverebbe applicazione riguardo alle dette Province autonome.

Sotto tale aspetto il ricorso sarebbe dunque inammissibile, in quanto investirebbe una disciplina riguardante le sole Regioni ordinarie.

Relativamente agli altri motivi di ricorso, l’Avvocatura osserva, in primo luogo, che ambedue attengono a profili di regolarità formale dell’atto che non potrebbero essere dedotti in sede di conflitto di attribuzione, potendo soltanto essere azionati di fronte al giudice amministrativo.

Non risponderebbe comunque al vero, ad avviso ancora dell’Avvocatura, che l’atto sia stato emanato in assenza del parere della Provincia ricorrente, regolarmente richiesto e reso, ancorché non richiamato nel testo del d.P.C.m. oggetto del conflitto, mentre, per quanto riguarda l’ultimo motivo di ricorso, assume la difesa erariale che la funzione di indirizzo e coordinamento, se non esercitata con atti legislativi, deve far capo all’organo collegiale di Governo, come chiarito dalla stessa Corte con la sentenza n. 408 del 1998.

4.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica ambedue le parti hanno depositato memorie illustrative.

La Provincia ricorrente riferisce che, successivamente alla proposizione del ricorso, è intervenuto l’Accordo 6 febbraio 2003 (Accordo tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, relativo alla definizione di alcune modalità applicative degli articoli 3, comma 1, 4, comma 1, 7, comma 2, dell’atto di indirizzo e coordinamento approvato con d.P.C.m. 1° dicembre 2000, per il rimborso delle spese di soggiorno per cure dei soggetti portatori di handicap in centri all’estero di elevata specializzazione) il quale, nel dichiarato intento di dettare modalità applicative dell’art. 3 del d.P.C.m. impugnato, stabilisce, all’art. 2, criteri di rimborso ritenuti sostitutivi di quelli dettati dal citato art. 3. Peraltro lo stesso art. 2 indica come destinatari delle disposizioni in esso contenute solo le Regioni e non anche le Province autonome, il che porta la ricorrente ad ipotizzare che la norma impugnata possa essere venuta meno; ciononostante, a suo avviso, non sarebbe venuto meno l’interesse al ricorso, sia in relazione alle possibili applicazioni del provvedimento già intervenute, sia in vista dell’interesse all’affermazione della illegittimità del modus operandi seguito dallo Stato.

Insiste pertanto nelle conclusioni già rassegnate, ritenendo il provvedimento oggetto del conflitto non suscettibile della interpretazione adeguatrice prospettata dalla controparte.

5.– Anche l’Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria illustrativa, sostanzialmente ribadendo le difese svolte in sede di costituzione.

Considerato in diritto

1.– La Provincia autonoma di Trento ha sollevato, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, conflitto di attribuzione in relazione all’art. 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° dicembre 2000 (Atto di indirizzo e coordinamento concernente il rimborso delle spese di soggiorno per cure dei soggetti portatori di handicap in centri all’estero di elevata specializzazione), chiedendone l’annullamento.

L’atto impugnato, con il quale sono dettati criteri dettagliati per il riconoscimento, nei confronti dei soggetti portatori di handicap che necessitano di cure all’estero, del concorso alle spese di soggiorno dell’assistito e dei loro eventuali accompagnatori, è ritenuto dalla ricorrente lesivo delle proprie prerogative, sia in quanto contrastante con l’art. 3, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), secondo il quale gli atti di indirizzo e coordinamento «vincolano la Regione e le Province autonome solo al conseguimento degli obbiettivi o risultati in essi stabiliti», sia in quanto adottato, senza alcuna motivazione, in contrasto col parere da essa reso, sia, infine, perché emanato nella forma del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri anziché in quella del decreto del Presidente della Repubblica, secondo la regola generale di cui all’art. 1, comma 1, lettera ii), della legge 12 gennaio 1991, n. 13 (Determinazione degli atti amministrativi da adottarsi nella forma del decreto del Presidente della Repubblica).

2.– Il ricorso è inammissibile.

La Provincia autonoma ricorrente muove dall’esplicita premessa che la cosiddetta clausola di salvaguardia, contenuta nel comma 3 dell’art. 7 del d.P.C.m., secondo la quale «le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano provvedono alle finalità del presente atto di indirizzo e coordinamento nell’ambito delle proprie competenze secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti», non sia riferibile all’impugnato art. 3 del medesimo d.P.C.m.

Siffatta opzione interpretativa, tuttavia, si basa esclusivamente sull’argomento, di carattere letterale, secondo cui il richiamato art. 3 indica anche le “Province autonome” fra i destinatari della disciplina in esso contenuta, trascurando in tal modo gli altri argomenti, di carattere sistematico, desumibili dal successivo art. 7, che fa salve le competenze statutarie delle Province autonome.

La “clausola di salvaguardia” risulterebbe, infatti, sostanzialmente vanificata se potesse essere oggetto di deroga proprio nella materia, certamente centrale, dei criteri per il concorso alle spese, tanto più che l’introduzione della suddetta clausola nell’articolato del d.P.C.m. 1° dicembre 2000 deriva proprio dal recepimento delle specifiche osservazioni formulate dalla Provincia autonoma di Trento in sede di parere sulla conformità statutaria.

A chiarire l’effettiva portata dell’atto di indirizzo e coordinamento di cui al d.P.C.m. 1° dicembre 2000 sta, d’altra parte, il fatto che, in sede di definizione delle modalità applicative dello stesso, attuata con l’Accordo del 6 febbraio 2003 (Accordo tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, relativo alla definizione di alcune modalità applicative degli articoli 3, comma 1, 4, comma 1, 7, comma 2, dell’atto di indirizzo e coordinamento approvato con d.P.C.m. 1° dicembre 2000, per il rimborso delle spese di soggiorno per cure dei soggetti portatori di handicap in centri all’estero di elevata specializzazione), è stata soppressa, all’art. 2, la menzione delle Province autonome tra i soggetti destinatari della disciplina sul concorso nelle spese, proprio al fine di risolvere i dubbi interpretativi originati dal testo del citato art. 3.

Deve, in conclusione, ritenersi che l’atto impugnato si applichi, nei confronti della Provincia autonoma di Trento, solo per quanto concerne l’obbiettivo in esso stabilito, rappresentato dalla partecipazione alle spese di soggiorno per cure affrontate all’estero dai portatori di handicap.

Escluso, dunque, che anche la disciplina analitica di cui all’art. 3 del citato d.P.C.m. sia riferibile alla Provincia ricorrente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso in quanto proposto avverso un atto privo di lesività.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione sollevato dalla Provincia autonoma di Trento nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2004.

Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2004.

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