Corte Costituzionale, Sentenza n. 285 del 2004

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1.— Con ordinanza pronunciata il 22 gennaio 2003, la Commissione tributaria provinciale di Torino – nel corso di un procedimento conseguente all’impugnazione di una cartella esattoriale, avente ad oggetto, per l’anno d’imposta 1994, il parziale recupero a tassazione degli interessi passivi corrisposti in ragione di un mutuo agrario di miglioramento garantito da ipoteca, stipulato nell’anno 1984, nella parte eccedente i redditi dei terreni dichiarati – ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53, 77 e 97, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 7, secondo periodo, primo inciso, del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 330 (Semplificazione di talune disposizioni in materia tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 27 luglio 1994, n. 473.

La disposizione suddetta è impugnata nella parte in cui, nello stabilire che "le altre disposizioni contenute nel comma 1 e quelle dei commi 2 e 6 si applicano a partire dal periodo d’imposta in corso alla data dell’8 dicembre 1993", avrebbe introdotto, retroattivamente, un limite alla detraibilità degli interessi passivi, pagati in dipendenza di un mutuo agrario stipulato prima del 31 dicembre 1989.

Ulteriore questione di costituzionalità, sollevata in riferimento agli artt. 3, 53 e 97, primo comma, della Costituzione, investe l’art. 1 della legge 27 luglio 1994, n. 473, nella parte in cui, nel disporre la conversione del già menzionato d.l. n. 330 del 1994, conserva validità agli atti e ai provvedimenti adottati, facendo inoltre salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti 6 dicembre 1993, n. 503, 4 febbraio 1994, n. 90, e 31 marzo 1994, n. 222 (tutti recanti il titolo: "Semplificazione di talune disposizioni in materia tributaria").

2.— In ordine alla prima questione il giudice a quo osserva quanto segue.

Il rimettente richiama la sentenza della Corte n. 229 del 1999, che ha affermato che il legislatore ordinario, nel rispetto della previsione dell’art. 25 della Costituzione, limitata alla legge penale, può emanare norme con efficacia retroattiva, a condizione però che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti. Ritiene, quindi, che la disposizione censurata sia irragionevole in quanto interviene, non solo su un periodo di imposta – anno 1994 – già trascorso per cinque mesi al momento della sua adozione, ma pure su un periodo d’imposta – anno 1993 – già concluso, contrastando così con l’art. 53 della Costituzione, poiché incide su una capacità contributiva passata.

La Commissione tributaria provinciale di Torino esclude, altresì, che possa trovare applicazione la sentenza della Corte n. 16 del 2002. Tale pronuncia ha ritenuto che il legislatore, disciplinando nel corso dell’anno finanziario l’imposizione tributaria per il medesimo anno, abbia fatto riferimento ad una capacità contributiva attuale e non passata.

La deducente, pur richiamando la sentenza della Corte n. 360 del 1996, dubita, altresì, della compatibilità della disposizione in esame con l’art. 77 della Costituzione, anche alla luce del principio di ragionevolezza, in quanto la circostanza che il d.l. n. 330 del 1994 sia stato adottato dopo una serie di decreti-legge (di analogo contenuto), non convertiti, renderebbe manifesta la mancanza dei requisiti della necessità e dell’urgenza che, in casi straordinari, legittimano il Governo ad emettere provvedimenti provvisori con forza di legge.

Rileva, quindi, come nessuna straordinaria urgenza di semplificazione sia ravvisabile in ordine alla eliminazione di uno specifico trattamento fiscale, per situazioni ad esaurimento.

Infine, la Commissione tributaria provinciale di Torino dubita della legittimità costituzionale della medesima disposizione con riguardo agli artt. 3 e 97, primo comma, della Costituzione. I principi di eguaglianza e di imparzialità sarebbero lesi dalla irragionevole assimilazione, con efficacia retroattiva, delle differenti posizioni dei contribuenti che abbiano stipulato un mutuo fondiario prima del 31 dicembre 1989, contando sulla totale detraibilità, e coloro che, conoscendo i limiti alla detraibilità degli interessi, detta scelta abbiano compiuto dopo tale data.

Con analoghe argomentazioni il rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge di conversione n. 473 del 1994, per violazione degli artt. 3, 53 e 97, primo comma, della Costituzione.

3.— Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

La difesa dello Stato, in ordine alla dedotta irragionevolezza della prevista retroattività, osserva come il periodo d’imposta relativo all’anno 1994 fosse ancora aperto, con la conseguenza che non sarebbe possibile configurare, a favore del contribuente, un’aspettativa giuridicamente tutelata al mantenimento del trattamento fiscale originario. L’Avvocatura generale dello Stato non ritiene fondata la censura mossa con riferimento all’art. 53 della Costituzione, anche in ragione della considerazione che le norme agevolative, avendo ad oggetto un "non-prelievo", non hanno attitudine a ledere il principio costituzionale del rispetto dell’attualità della capacità contributiva.

Non conferente ed immotivato appare il riferimento all’art. 97 della Costituzione.

Infine, in ordine alla denunziata violazione dell’art. 77 della Costituzione, la difesa dello Stato, richiamata la giurisprudenza della Corte (sentenze n. 29 e n. 16 del 2002, n. 398 del 1998), osserva come, in tanto la mancanza dei presupposti della decretazione d’urgenza può risolversi in vizio dell’atto, in quanto essa sia chiara e manifesta e che, in ogni caso, eventuali vizi attinenti ai presupposti suddetti devono ritenersi sanati, in linea di principio, dalla intervenuta conversione in legge.

Considerato in diritto

1.— La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, con ordinanza 22 gennaio 2003, concerne – innanzitutto – l’art. 3, comma 7, secondo periodo, primo inciso, del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 330 (Semplificazione di talune disposizioni in materia tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 27 luglio 1994, n. 473.

La norma è censurata nella parte in cui, nello stabilire che "le altre disposizioni contenute nel comma 1 e quelle dei commi 2 e 6 si applicano a partire dal periodo d’imposta in corso alla data dell’8 dicembre 1993", ha fatto sì che il nuovo regime di detraibilità – previsto per l’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) dall’art. 13-bis, comma 1, lettera a), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera e), del d.l. n. 330 del 1994 – trovi applicazione sin dal periodo d’imposta in corso alla data dell’8 dicembre 1993, indipendentemente dall’epoca della stipula del contratto di mutuo cui afferiscono gli interessi passivi, e quindi si applichi, retroattivamente, anche ai mutui agrari stipulati prima del 31 dicembre 1989.

La questione di legittimità costituzionale concerne, altresì, l’art. 1 della predetta legge n. 473 del 1994, nella parte in cui, nel disporre la conversione in legge del d.l. n. 330 del 1994, conserva validità agli atti e ai provvedimenti adottati, e fa, infine, salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei seguenti decreti-legge non convertiti: 6 dicembre 1993, n. 503, 4 febbraio 1994, n. 90, e 31 marzo 1994, n. 222 (tutti recanti il titolo "Semplificazione di talune disposizioni in materia tributaria").

Il rimettente dubita della legittimità costituzionale delle norme denunciate con riferimento, per la prima, agli artt. 3, 53, 77, 97, primo comma, della Costituzione, e per la seconda agli artt. 3, 53, 97, primo comma, della Costituzione.

2.― Prima di esaminare le singole questioni sollevate dall’ordinanza di rimessione, appare utile indicare l’evoluzione della disciplina delle agevolazioni fiscali previste, in ordine all’IRPEF, per gli interessi passivi corrisposti in dipendenza di un mutuo agrario.

Nell’anno 1984 – quando venne stipulato il contratto fonte dell’obbligazione accessoria avente ad oggetto il pagamento degli interessi passivi di cui al giudizio a quo – la disciplina delle relative agevolazioni fiscali, previste per l’IRPEF, era contenuta nell’art. 10, comma primo, lettera c), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche).

Tale articolo – nel testo sostituito dall’art. 5, primo comma, della legge 13 aprile 1977, n. 114 (Modificazioni alla disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche), e successivamente modificato dall’art. 1, primo comma, della legge 24 aprile 1980, n. 146 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 1980) – prevedeva la deducibilità integrale, dal reddito complessivo, degli interessi passivi pagati in dipendenza di prestiti o mutui agrari di ogni specie.

Detta disciplina è stata poi sostanzialmente trasfusa nell’art. 10 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.

Successivamente, l’art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90 (Disposizioni in materia di determinazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, di rimborsi dell’imposta sul valore aggiunto e di contenzioso tributario, nonché altre disposizioni urgenti), convertito, con modificazioni, nella legge 26 giugno 1990, n. 165, introduceva – innovando rispetto al sistema previgente – la deducibilità dei suddetti interessi passivi dal reddito complessivo, "nei limiti dei redditi dei terreni dichiarati". Detta limitazione, peraltro, per effetto dell’art. 14, comma 1, del medesimo decreto-legge, si applicava "agli interessi per prestiti e mutui agrari contratti dopo il 31 dicembre 1989", di tal che era irrilevante per la posizione del ricorrente nel giudizio a quo, titolare − come si è precisato − di un mutuo stipulato nell’anno 1984.

Ciò premesso, deve osservarsi come il regime dell’agevolazione fiscale in questione sia stato profondamente modificato con il d.l. 31 maggio 1994, n. 330, emanato dopo i tre decreti-legge non convertiti innanzi citati.

Tale decreto-legge, entrato in vigore il 1° giugno 1994, ha eliminato il regime della "deducibilità" dal reddito complessivo, agli effetti dell’IRPEF, degli interessi sui mutui agrari e – introducendo l’art. 13-bis nel d.P.R. n. 917 del 1986 – lo ha sostituito con quello della "detraibilità" dall’imposta lorda degli interessi in questione, nei limiti del 27 per cento del loro ammontare (aliquota ridotta, successivamente, prima al 22 per cento e quindi al 19 per cento, ma senza che tale modificazione abbia rilievo nel giudizio a quo).

Quanto alla decorrenza della suindicata modificazione di regime giuridico, lo stesso d.l. n. 330 del 1994, con la disposizione censurata dal rimettente, ha stabilito che la nuova normativa sulla "detraibilità" degli interessi passivi, pagati in dipendenza di un mutuo agrario, trovi applicazione "a partire dal periodo di imposta in corso alla data dell’8 dicembre 1993".

In tal modo, il nuovo regime giuridico della agevolazione in esame è divenuto identico per tutti i contribuenti, indipendentemente dalla circostanza che la data di stipula del contratto di mutuo agrario sia anteriore o successiva al 31 dicembre 1989.

3.— Così esposto il quadro normativo, si possono esaminare le specifiche censure sollevate.

Il rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 7, secondo periodo, primo inciso, del d.l. n. 330 del 1994, per violazione dell’art. 53 della Costituzione.

La questione non è fondata.

La disposizione censurata prevede, come si è precisato, che le norme contenute nel comma 1 del medesimo articolo – tra le quali vi è quella che ha aggiunto al d.P.R. n. 917 del 1986 l’art. 13-bis (il quale, tra l’altro, ha sottoposto al regime della "detraibilità" gli interessi passivi sui mutui agrari, "nei limiti dei redditi dei terreni dichiarati") – si applichino "a partire dal periodo di imposta in corso alla data dell’8 dicembre 1993".

Orbene, nel rimettere all’esame di questa Corte la citata disposizione, il giudice a quo non ha preso in considerazione affatto il mutamento di disciplina intervenuto con il passaggio dell’onere relativo al pagamento degli interessi passivi sui mutui agrari dal regime della "deducibilità" integrale dal reddito complessivo a quello della "detraibilità", sia pure ridotta, dall’imposta lorda. Il rimettente ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della disposizione stessa, limitandosi ad osservare che la norma denunciata, per il suo carattere asseritamente retroattivo, violerebbe l’art. 53 della Costituzione. La retroattività consisterebbe nell’avere previsto l’applicabilità del nuovo regime della "detraibilità" degli interessi passivi per l’anno 1993 e per l’anno 1994, quando per questo ultimo erano già decorsi (all’atto dell’entrata in vigore del decreto-legge in questione) cinque mesi, sicché vi sarebbe stato un assoggettamento a tassazione effettuato sulla base di una capacità contributiva relativa al passato.

4.— Relativamente all’anno fiscale 1994, non correttamente viene richiamato dal rimettente il tema della retroattività delle norme tributarie e il limite di questa rappresentato dalla necessaria coerenza con una capacità contributiva attuale e non pregressa. Nella specie, la norma censurata, nel prevedere una limitazione della facoltà per i contribuenti di portare in detrazione gli interessi sui mutui di miglioramento agrario, pur essendo entrata in vigore quando erano decorsi i primi cinque mesi dell’anno di riferimento fiscale, ha di fatto preso in considerazione una capacità contributiva attuale e non passata (sentenza n. 16 del 2002). L’evenienza della retroattività si sarebbe potuta verificare se la limitazione della detraibilità degli interessi passivi avesse avuto riguardo a rapporti non più espressivi di una capacità contributiva attuale.

D’altronde, il periodo d’imposta sul quale commisurare l’IRPEF è indubbiamente quello dell’intero anno solare nel quale si produce il reddito (art. 7 del d.P.R. n. 917 del 1986), per cui sarebbe stata illogica la sottoposizione dei primi cinque mesi dell’anno ad un determinato regime di tassazione diverso da quello applicabile per i sette mesi successivi. L’attualità della capacità contributiva prevista dall’art. 53 della Costituzione va, pertanto, esaminata con riferimento all’anno solare preso in considerazione nel suo complesso dalla norma, sicché neanche viene in rilievo, in senso proprio, un problema di retroattività della disposizione censurata dal rimettente.

5.— Per quanto attiene all’anno d’imposta 1993, sebbene detto periodo sia fuori contestazione nel giudizio a quo, è da osservare che, anche a voler prendere in considerazione la decorrenza del nuovo regime agevolativo dal periodo d’imposta in corso alla data dell’8 dicembre 1993, si perviene egualmente alle medesime conclusioni di cui innanzi in ordine alla inconfigurabilità della retroattività della disciplina censurata. Tale data, infatti, è quella dell’entrata in vigore del primo decreto-legge non convertito (d.l. 6 dicembre 1993, n. 503), i cui effetti e i correlati rapporti giuridici – al pari degli altri due decreti, anch’essi non convertiti, che hanno preceduto il d.l. n. 330 del 1994 che si pone in continuità con i precedenti decreti-legge – sono stati fatti espressamente salvi dalla legge n. 473 del 1994. Consegue da ciò che il nuovo regime agevolativo concernente gli interessi passivi in questione risulta, in definitiva, adottato nello stesso anno di riferimento fiscale preso in considerazione, vale a dire il 1993, sicché non può ritenersi sussistente alcuna sostanziale retroattività delle disposizioni attinenti alla detraibilità dall’imposta lorda dell’onere del pagamento degli interessi sui mutui agrari. Di qui l’inconfigurabilità di una imposizione che abbia fatto riferimento ad una capacità contributiva pregressa e non attuale.

A conforto di tale conclusione può essere utilmente richiamata la sentenza n. 143 del 1982, con la quale questa Corte ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23 del d.P.R. 13 aprile 1977, n. 114 (Modificazioni alla disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche), nella parte in cui estendeva la disciplina dell’art. 5, secondo comma, lettera c), alle dichiarazioni dei redditi da presentare nell’anno 1977, relative ai redditi percepiti nell’anno 1976.

Anche in quella sede i giudici a quibus avevano dubitato della legittimità costituzionale del citato art. 23 sotto il profilo della violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione.

Con tale sentenza questa Corte ha ritenuto che in quella fattispecie non fosse ravvisabile un deterioramento della capacità contributiva dei soggetti interessati, intervenuto tra il momento della nascita del rapporto tributario (anno 1976) e quello della successiva entrata in vigore della norma impugnata (anno 1977), osservando che la brevità del tempo trascorso tra i due momenti suddetti induceva ad escludere che si fosse potuta verificare una siffatta evenienza.

6.— Il giudice a quo ha, inoltre, sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 7, secondo periodo, primo inciso, del d.l. n. 330 del 1994 per violazione dell’art. 77 della Costituzione, sotto il profilo della insussistenza dei presupposti della necessità e dell’urgenza.

La questione non è fondata.

La giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 6 del 2004, n. 16 del 2002, n. 398 del 1998, n. 330 del 1996 e n. 29 del 1995) ha più volte affermato che il sindacato sull’esistenza dei presupposti della necessità e dell’urgenza, che legittimano il Governo ad emanare decreti-legge, può essere esercitato solo in caso di evidente mancanza dei presupposti stessi. Nella specie – a prescindere dalla valutazione degli effetti prodotti dalla legge n. 473 del 1994 di conversione del predetto decreto-legge – deve ritenersi non sussistente il denunciato vizio. Il rimettente, infatti, si è limitato ad affermare che la circostanza per la quale il d.l. n. 330 del 1994 "si pone a conclusione di una serie di decreti-legge non convertiti (…) dei quali ha riprodotto la disposizione che qui viene in rilievo" renderebbe "manifesta l’insussistenza, al 31 maggio 1994, della straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni concernenti la semplificazione di talune disposizioni in materia tributaria". Si tratta di una mera affermazione, non idonea, in quanto tale, a rendere "evidente" la mancanza dei presupposti per il ricorso alla decretazione d’urgenza da parte del Governo.

7.— Il giudice a quo ha poi sollevato questione di legittimità costituzionale della disposizione censurata, per la violazione del principio di eguaglianza e del principio di imparzialità della pubblica amministrazione (artt. 3 e 97, primo comma, della Costituzione), derivante "dalla irragionevole assimilazione, con efficacia retroattiva, a tutti gli effetti, delle differenti posizioni dei contribuenti che abbiano stipulato un mutuo fondiario prima del 31 dicembre 1989 (e che dunque a ciò si siano disposti consapevoli della totale detraibilità degli interessi pagati, sì da rendere percorribile la via dell’indebitamento anche per terreni di modesto reddito) e di quelli che, conoscendo ex ante i limiti di detraibilità degli interessi, tale scelta abbiano compiuto dopo il 31 dicembre 1989".

La questione non è fondata.

È, infatti, erroneo ritenere che un beneficio fiscale (nella specie, quello della totale deducibilità dal reddito complessivo degli interessi passivi pagati sui mutui in questione) previsto dalla pregressa disciplina normativa di settore (nella specie, dall’art. 10 del d.P.R. n. 917 del 1986) non possa giammai subire modificazioni in negativo per l’affidamento creato nei contribuenti; di tal che al legislatore sarebbe impedito di effettuare nuove valutazioni al fine di ripartire più equamente il carico fiscale.

La circostanza, dunque, che dal 1984 (anno nel corso del quale è stato stipulato il contratto di mutuo da parte del contribuente) al 1993 (anno dal quale è venuta meno l’integralità del beneficio) l’interessato abbia goduto della possibilità di sottrarre dal reddito complessivo l’onere degli interessi passivi sul mutuo stesso per il suo intero ammontare non comporta affatto che si sia consolidata in lui una posizione soggettiva di intangibilità, anche per l’avvenire, della situazione di vantaggio conseguita.

Né ad avvalorare la tesi della violazione dei principi di eguaglianza e di imparzialità può farsi richiamo all’esigenza del rispetto dell’aspettativa alla intangibilità del beneficio ricevuto, che la precedente normativa avrebbe creato nei contribuenti, atteso che nessuna aspettativa di tal genere può considerarsi oggetto di protezione dall’ordinamento. In realtà, il passaggio dell’onere in questione, dal regime della "deducibilità" dal reddito complessivo a quello della "detraibilità" dall’imposta lorda, ha sostanzialmente modificato il sistema di determinazione del carico fiscale con riferimento all’incidenza degli interessi passivi corrisposti sui mutui di miglioramento agrario. E rientrava nella piena discrezionalità del legislatore la modifica della previgente disciplina senza che i beneficiari di un pregresso regime agevolativo potessero vantare alcun diritto a mantenere indefinitamente il vantaggio precedentemente loro accordato dalla normativa.

8.— Le censure proposte nei confronti del d.l. n. 330 del 1994 sono rivolte anche alla legge 27 luglio 1994, n. 473, sia nella parte in cui ha convertito in legge il suddetto decreto-legge, sia in quella con la quale è stata conservata validità agli atti e ai provvedimenti adottati e sono stati fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge (non convertiti) n. 503 del 1993, n. 90 del 1994 e n. 222 del 1994.

Anche tali censure devono essere disattese per le stesse ragioni già esposte con riferimento alle disposizioni del d.l. n. 330 del 1994. L’ordinanza di rimessione, infatti, non contiene alcuno specifico rilievo riferito alle richiamate disposizioni della legge di conversione, oggetto d’autonoma valutazione, di tal che la questione sollevata, per relationem, nei confronti della legge di conversione, non può avere esito diverso da quella nei confronti del decreto-legge.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 7, secondo periodo, primo inciso, del decreto­legge 31 maggio 1994, n. 330 (Semplificazione di talune disposizioni in materia tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 27 luglio 1994, n. 473, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53, 77 e 97, primo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, con l’ordinanza in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della suddetta legge 27 luglio 1994, n. 473, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97, primo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2004.

Depositata in Cancelleria il 28 luglio 2004.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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