Corte Costituzionale, Sentenza n. 286 del 2004, In tema di potere dello Stato di fissare i canoni di concessione di uso di beni demaniali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1. ¾ Con ricorso notificato il 17 ottobre 2003 e depositato il successivo 25 ottobre (reg. ric. n. 76 del 2003), la Regione Campania ha impugnato l’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), in riferimento agli artt. 3, 9, 77, 114, 117, 118, 119 e 127 della Costituzione, oltre che per i profili concernenti il "condono edilizio", anche in relazione ai commi 21, 22 e 23, che disciplinano la rideterminazione dei canoni d’uso del demanio marittimo, senza peraltro specifiche motivazioni sul punto.

1.1. ¾ Nell’atto di costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso e comunque per l’infondatezza dello stesso, senza comunque far cenno alla disciplina in materia di determinazione dei canoni concessori del demanio marittimo.

2. ¾ Con successivo ricorso notificato il 22 gennaio 2004 e depositato il successivo 30 gennaio (reg. ric. n. 14 del 2004), la stessa Regione Campania ha impugnato anche la legge 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), nella parte in cui ha convertito in legge, con modificazioni, l’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, in riferimento agli artt. 3, 9, 32, 77, 97, 114, 117, 118, 119 e 127 della Costituzione.

2.1. ¾ Nell’atto di costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha rilevato che i commi 21, 22 e 23 del citato art. 32, pur menzionati nel ricorso, non hanno formato oggetto di doglianza da parte della Regione ricorrente, talché essi rimarrebbero fuori della materia del contendere.

3. ¾ Con ricorso notificato il 21 gennaio 2004 e depositato il successivo 28 gennaio (reg. ric. n. 9 del 2004), la Regione Puglia ha impugnato l’art. 32, commi 21 e 22, della legge 24 novembre 2003, n. 326 (recte: l’art. 32, commi 21 e 22, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, nel testo risultante dalla conversione, con modificazioni, operata dalla legge 24 novembre 2003, n. 326) per violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione.

La ricorrente rileva che l’art. 117 della Costituzione non include il demanio marittimo tra le materie attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato; inserisce la materia dei porti ed aeroporti civili, nonché il governo del territorio, tra quelle disciplinate dalla legislazione concorrente; non fa menzione del lido del mare, della spiaggia, delle rade e delle lagune, che sarebbero sottoposte alla potestà legislativa piena delle Regioni.

La Regione evidenzia inoltre che le funzioni amministrative sulle aree del demanio marittimo, connesse alla loro utilizzazione per finalità turistico-recettive, sono state delegate alle Regioni dapprima dall’art. 59 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382) e successivamente dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).

La Regione rileva infine che il disegno di legge costituzionale n. 2544/XIV/Senato, nel modificare l’art. 117, secondo comma, della Costituzione, intenderebbe ricondurre in modo espresso il demanio marittimo nell’ambito della competenza legislativa esclusiva dello Stato, il che farebbe pensare che, nella situazione attuale, detta competenza non potrebbe considerarsi statale.

Sulla base delle predette considerazioni, secondo la Regione, nella vigenza dell’attuale art. 117 della Costituzione, sarebbe evidente che la competenza legislativa in materia di demanio marittimo rientrerebbe nella sfera della legislazione esclusiva regionale o, al più, della legislazione concorrente ("governo del territorio").

La Regione conclude ritenendo che la prevista uniforme rivalutazione del trecento per cento dei canoni per le concessioni d’uso del demanio marittimo per finalità turistico-ricreative esorbiterebbe comunque dall’ambito della competenza legislativa statale. Ciò in quanto, anche ad ammettere che la materia ricada nell’ambito della legislazione concorrente, la predetta rivalutazione, per un verso, non potrebbe qualificarsi quale "principio fondamentale" e, per altro verso, non sarebbe stata oggetto di congiunta valutazione da parte dello Stato e delle Regioni.

In conseguenza di ciò, le censurate disposizioni sottrarrebbero illegittimamente alla Regione la possibilità di determinare, attraverso lo strumento legislativo, "un’autonoma risorsa finanziaria, comunque attratta nella sfera regionale attraverso il dominio legislativo della materia".

3.1. ¾ Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile, in quanto tardivo, dal momento che la Regione Puglia avrebbe dovuto impugnare i commi 21 e 22 dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, e non la legge di conversione n. 326 del 2003.

Altra eccezione di inammissibilità è formulata per il fatto che la questione di legittimità costituzionale sarebbe rimasta priva di oggetto, in quanto riferita al comma 22 dell’art. 32, che è stato sostituito dall’art. 2, comma 53, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2004). Ulteriore eccezione di inammissibilità riguarda poi la censura riferita all’art. 119 della Costituzione, per difetto di motivazione.

Quanto al merito, la difesa erariale ritiene che il ricorso non sia fondato, poiché, per un verso, il demanio marittimo appartiene allo Stato e a quest’ultimo spetterebbe la competenza esclusiva a determinare i relativi canoni, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettere e) e g), della Costituzione, e per altro verso, le ripercussioni economiche della normativa censurata sul settore turistico rimarrebbero sul terreno del mero fatto e non sarebbero idonee a giustificare spostamenti di competenze legislative.

4. ¾ Con due ricorsi in via principale, notificati il 23 gennaio 2004 e il 24 febbraio 2004, depositati i successivi 29 gennaio (reg. ric. n. 13 del 2004) e 4 marzo (reg. ric. n. 33 del 2004), la Regione Emilia-Romagna ha impugnato l’art. 32, commi 21 e 22, della legge n. 326 del 2003 (recte: l’art. 32, commi 21 e 22, del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo risultante dalla conversione, con modificazioni, operata dalla legge n. 326 del 2003), nonché l’art. 2, comma 53, della legge n. 350 del 2003, che ha sostituito il citato art. 32, comma 22, in riferimento all’art. 117 della Costituzione, al principio di leale collaborazione, al principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione, al principio di certezza del diritto e al generale canone di ragionevolezza delle leggi.

In particolare, la Regione Emilia-Romagna evidenzia che l’art. 2, comma 53, della legge n. 350 del 2003, modificando il comma 22 del citato art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, ha previsto che l’aumento dei canoni per le concessioni d’uso del demanio marittimo per finalità turistico-ricreative venga stabilito con un decreto interministeriale, da emanarsi entro il 30 giugno 2004, il cui obiettivo finanziario è quello di assicurare "maggiori entrate non inferiori a 140 milioni di euro, a decorrere dal 1° gennaio 2004". Lo stesso art. 2, comma 53, della legge n. 350 del 2003 ha previsto, poi, che, decorso detto termine per l’emanazione del decreto, scatti automaticamente la quadruplicazione del canone.

La ricorrente non contesta il diritto dominicale dello Stato di fissare un canone per l’utilizzo dei propri beni demaniali, bensì la misura, il metodo e la forma con cui l’aumento viene deciso, ritenendo che le disposizioni censurate comportino la lesione delle proprie attribuzioni regionali in materia di turismo.

Quanto alla misura, la Regione rileva che la quadruplicazione del canone relativo a concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative provocherebbe effetti negativi per le imprese balneari, creerebbe una disparità di trattamento tra i concessionari di beni demaniali e non terrebbe conto del livello dei precedenti canoni. In proposito, la ricorrente osserva che detti canoni erano stati fissati con il decreto ministeriale 5 agosto 1998, n. 342 (Regolamento recante norme per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative), per cui, in considerazione del contenuto andamento dell’inflazione, essi non possono considerarsi anacronistici rispetto all’attuale realtà economico-finanziaria; tanto più che l’art. 4 (recte: 04) del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 1993, n. 494, prevede che "i canoni annui relativi alle concessioni demaniali marittime sono aggiornati annualmente, con decreto del Ministro della marina mercantile, sulla base della media degli indici determinati dall’ISTAT".

Secondo la prospettazione regionale, il predetto aumento violerebbe i criteri di ragionevolezza, congruità e giustizia, e contrasterebbe con la ratio dell’art. 1, comma 2, del citato decreto-legge n. 400 del 1993, il cui fine sarebbe quello di incentivare gli investimenti nelle aree demaniali a vocazione turistica.

La disciplina denunciata comprometterebbe poi l’azione di promozione, di programmazione e di sviluppo in materia turistica esercitata dalla Regione stessa e renderebbe impossibile l’aggiornamento dei diritti di imposta regionali, attualmente disciplinati dalla legge della Regione Emilia-Romagna 31 maggio 2002, n. 9 (Disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo e di zone di mare territoriale), il cui fine è quello di finanziare le funzioni amministrative in materia turistica in larga parte delegate agli enti locali.

Quanto al metodo, la Regione lamenta che la disciplina denunciata non sancirebbe l’obbligo di sentire la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.

Quanto alla forma, la Regione pone infine in evidenza la scarsa chiarezza della formulazione dei due commi denunciati.

4.1. ¾ Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili, il primo (reg. ric. n. 13 del 2004) per tardività, perché rivolto avverso la legge di conversione e non avverso il decreto-legge, ed entrambi i ricorsi perché conterrebbero considerazioni di "merito" non rilevanti nel giudizio di costituzionalità. Nel merito, la difesa erariale ritiene che i ricorsi non siano fondati, perché il demanio marittimo appartiene allo Stato e a quest’ultimo spetta la competenza esclusiva a fissare i relativi canoni di concessione. Determinante, d’altra parte, sarebbe la circostanza che spetta allo Stato la competenza in materia di sistema tributario e contabile, nonché in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettere e) e g), della Costituzione.

L’Avvocatura generale dello Stato conclude ritenendo che il criterio della leale cooperazione tra Stato e Regioni non potrebbe comunque comportare "surrettizie spoliazioni" a carico del demanio statale, né pregiudicare la "governabilità" del sistema.

5. ¾ Nell’imminenza dell’udienza le parti hanno presentato memorie difensive.

5.1. ¾ La Regione Puglia, in relazione alle controdeduzioni formulate dall’Avvocatura generale dello Stato nell’atto di costituzione, sostiene che l’eccezione di tardività del ricorso sollevata dalla difesa erariale non potrebbe essere accolta.

Dovrebbe, infatti, ritenersi, secondo quanto afferma la giurisprudenza costituzionale, che, nonostante il deposito del ricorso oltre il termine dalla data di pubblicazione del decreto-legge, le censure apportate a quest’ultimo si trasferiscano alle corrispondenti disposizioni della legge di conversione.

La Regione ritiene inoltre che la sostituzione dell’art. 32, comma 22, del decreto-legge n. 269 del 2003 con l’art. 2, comma 53, della legge n. 350 del 2003 non determini la inammissibilità del ricorso, trattandosi di sostituzione meramente formale.

Nel merito, la ricorrente, pur ammettendo che i beni del demanio marittimo, per espressa disposizione di legge (art. 822 cod. civ.), sono beni di proprietà statale, rivendica comunque la facoltà di concedere in uso detti beni e di determinare l’entità del canone di concessione, essendo essa titolare tanto di funzioni amministrative in materia (art. 59 del d.P.R. n. 616 del 1977 e art. 105 del d.lgs. n. 112 del 1998), quanto di funzioni legislative, riservate alla competenza residuale regionale ovvero a quella concorrente.

La Regione Puglia sottolinea poi che la norma impugnata, nel riservare allo Stato l’imposizione e la determinazione del canone di concessione per i beni del demanio marittimo, risulterebbe in contrasto con l’art. 119 della Costituzione, perché sarebbe lesiva del principio di autonomia di entrata e di spesa degli enti territoriali ed impedirebbe la stessa copertura finanziaria concernente l’esercizio delle funzioni amministrative esercitate dalla Regione per delega statale.

5.2. ¾ La difesa erariale, nel confermare le conclusioni rappresentate nell’atto di costituzione, pone in evidenza, per un verso, che la competenza statale in materia troverebbe fondamento nell’art. 117, secondo comma, lettera l) ("ordinamento civile") e lettera s) ("tutela dell’ambiente" e "dell’ecosistema"), della Costituzione e, per altro verso, che non potrebbe sottrarsi allo Stato la potestà di far leva sul reddito dei propri beni demaniali e patrimoniali per manovre di finanza pubblica e di bilancio.

L’Avvocatura generale dello Stato rileva infine che le impugnate disposizioni sarebbero state rese necessarie proprio dall’inerzia delle Regioni nell’applicazione della normativa previgente; talché non sarebbe fondata la censura concernente la lesione del principio di leale collaborazione, atteso che detto principio presupporrebbe invece una sinergia attiva tra Stato e Regioni, che nella specie non si sarebbe realizzata.

5.3. ¾ La Regione Emilia-Romagna, in replica all’atto di costituzione dell’Avvocatura generale dello Stato, ritiene, come la Regione Puglia, non accoglibile l’eccezione di tardività del ricorso, perché rivolto nei confronti della legge di conversione n. 326 del 2003 e non invece del decreto-legge n. 269 del 2003.

Nel merito, la ricorrente conferma le censure già svolte nei ricorsi.

5.4. ¾ Per parte sua l’Avvocatura generale dello Stato ribadisce le proprie conclusioni di inammissibilità ovvero di infondatezza dei ricorsi.

A questo ultimo riguardo, la difesa erariale pone in risalto, quanto alla misura, l’irrisorio livello dei canoni fin qui praticati a fronte della elevata redditività delle aree demaniali in concessione, facendo presente che il fondamento giuridico dei canoni è dominicale e non tributario.

Quanto al metodo, la difesa erariale sostiene che la partecipazione regionale in via amministrativa al procedimento di determinazione dei canoni è stata sin qui prevista dalla stessa legislazione statale, sicché non sarebbe configurabile, al riguardo, un "diritto quesito" delle Regioni a conservare momenti di partecipazione all’esercizio di funzioni statali.

Considerato in diritto

1. ¾ Con ricorso notificato il 17 ottobre 2003 e depositato il successivo 25 ottobre (reg. ric. n. 76 del 2003), la Regione Campania ha impugnato l’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), in riferimento agli artt. 3, 9, 77, 114, 117, 118, 119 e 127 della Costituzione, oltre che per i profili concernenti il "condono edilizio", anche in relazione ai commi 21, 22 e 23, che disciplinano la rideterminazione dei canoni d’uso del demanio marittimo, senza peraltro specifiche motivazioni sul punto.

1.1. ¾ Con successivo ricorso notificato il 22 gennaio 2004 e depositato il 30 gennaio 2004 (reg. ric. n. 14 del 2004), la stessa Regione Campania ha impugnato anche la legge 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), nella parte in cui ha convertito in legge, con modificazioni, l’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, in riferimento agli artt. 3, 9, 32, 77, 97, 114, 117, 118, 119 e 127 della Costituzione.

1.2. ¾ Con ricorso notificato il 21 gennaio 2004 e depositato il successivo 28 gennaio (reg. ric. n. 9 del 2004), la Regione Puglia ha impugnato l’art. 32, commi 21 e 22, della legge n. 326 del 2003 (recte: l’art. 32, commi 21 e 22, del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo risultante dalla conversione, con modificazioni, operata dalla legge n. 326 del 2003), in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, in quanto la materia da esso disciplinata rientrerebbe nella potestà legislativa residuale della Regione (materia del "turismo").

La ricorrente, peraltro, ritiene che, anche qualora dette disposizioni rientrassero nell’ambito della legislazione concorrente ("governo del territorio"), non di meno sarebbero lesive della propria competenza, in quanto stabiliscono norme di dettaglio e non "principi fondamentali" della materia.

Inoltre, la ricorrente rileva che la disciplina censurata non sarebbe frutto di un’intesa tra Stato e Regione.

In conclusione, secondo la Regione Puglia, la normativa statale impugnata sottrarrebbe illegittimamente alla Regione stessa la possibilità di determinare, attraverso lo strumento legislativo, "un’autonoma risorsa finanziaria, comunque attratta nella sfera regionale attraverso il dominio legislativo della materia".

1.3. ¾ La Regione Emilia-Romagna, con due ricorsi in via principale, di analogo tenore, notificati il 23 gennaio 2004 e il 24 febbraio 2004, depositati i successivi 29 gennaio (reg. ric. n. 13 del 2004) e 4 marzo (reg. ric. n. 33 del 2004), ha impugnato l’art. 32, commi 21 e 22, della legge n. 326 del 2003 (recte: l’art. 32, commi 21 e 22, del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo risultante dalla conversione, con modificazioni, operata dalla legge n. 326 del 2003), nonché l’art. 2, comma 53, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2004), che ha sostituito l’art. 32, comma 22, del citato decreto-legge n. 269 del 2003, sostenendo che la predetta normativa sarebbe lesiva dell’art. 117 della Costituzione (materia del "turismo"), del principio di leale collaborazione, del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione, del principio di certezza del diritto, nonché del generale canone di ragionevolezza delle leggi.

La Regione ricorrente pone in evidenza che l’esorbitante aumento del canone di concessione (quadruplicazione del canone stesso) di beni del demanio marittimo per finalità turistico-ricreative determinerebbe un’ingiustificata discriminazione tra gli imprenditori turistici e le altre categorie di imprenditori che hanno in uso beni demaniali per finalità non turistiche, comprimerebbe le risorse degli imprenditori turistici, impedendo loro di intraprendere gli investimenti necessari per restare competitivi e comprometterebbe l’azione di promozione, di programmazione e di sviluppo in materia turistica propria della Regione, rendendo impossibile l’aggiornamento dei propri diritti di imposta, attualmente disciplinati dalla legge della Regione Emilia-Romagna 31 maggio 2002, n. 9 (Disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo e di zone di mare territoriale), attraverso i quali vengono finanziate le funzioni amministrative in materia turistica, in larga parte delegate agli enti locali.

Infine, il censurato aumento del canone sarebbe stato previsto senza sottoporlo all’esame della Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

2. ¾ Data la sostanziale identità delle censure prospettate, i cinque ricorsi possono essere riuniti per essere trattati congiuntamente e decisi con unica sentenza.

3. ¾ Prima di esaminare le eccezioni avanzate in via preliminare dalla difesa erariale, vanno dichiarati inammissibili i ricorsi della Regione Campania, in quanto il richiamo dei parametri costituzionali non è accompagnato da alcuna motivazione.

3.1 ¾ Quanto al ricorso della Regione Puglia, occorre inoltre rilevare che non c’è piena corrispondenza tra detto ricorso e la delibera di impugnazione adottata dalla Giunta regionale.

Infatti, mentre il ricorso impugna i commi 21 e 22 dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, la deliberazione della Giunta fa riferimento all’art. 2, comma 53, della legge n. 350 del 2003, con il quale è stato sostituito il comma 22 dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003.

Da ciò consegue che la deliberazione della Giunta della Regione Puglia non è idonea a fondare il ricorso regionale con riferimento al comma 21 del citato art. 32, in quanto in essa non menzionato.

Deve invece rilevarsi che rientra nella previsione della deliberazione della Giunta regionale l’impugnazione del comma 22 dello stesso articolo 32, poiché l’art. 2, comma 53, della legge n. 350 del 2003 riproduce esattamente il predetto comma 22, talché l’impugnazione di quest’ultimo può senz’altro ritenersi sorretta dalla deliberazione di Giunta in questione.

3.2. – Quanto alle eccezioni sollevate in via preliminare, va osservato quanto segue.

3.3. ¾ Deve anzitutto essere disattesa l’eccezione di tardività del ricorso, sollevata dalla difesa erariale, nel presupposto che la Regione Puglia avrebbe dovuto impugnare l’art. 32, commi 21 e 22, del decreto-legge n. 269 del 2003 e non la legge di conversione n. 326 del 2003.

Al riguardo, deve essere ricordato che secondo il costante indirizzo di questa Corte (sentenza n. 25 del 1996) non è tardivo il ricorso proposto in termini contro la legge di conversione, la quale riproduca la disciplina del decreto-legge.

3.4. ¾ Va parimenti disattesa l’eccezione, avanzata dall’Avvocatura generale dello Stato, di mancanza di oggetto, riferita alla questione proposta dalla Regione Puglia in relazione al comma 22.

Infatti, se è vero che l’art. 2, comma 53, della legge n. 350 del 2003 ha sostituito la disposizione censurata nel ricorso, è altrettanto vero che ne ha sostanzialmente riprodotto il contenuto, sicché, in forza del principio di effettività della tutela delle parti nei giudizi in via d’azione, la questione deve ritenersi trasferita sulla nuova norma (sentenze n. 533 del 2002, n. 63 del 2000 e ordinanza n. 137 del 2004).

3.5. ¾ Merita invece accoglimento l’eccezione di inammissibilità, mossa dalla difesa erariale relativamente alla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Regione Puglia, in riferimento all’art. 119 della Costituzione, avente ad oggetto l’art. 32, commi 21 e 22, del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003.

In effetti, in ordine alle censure di costituzionalità riferite all’art. 119 della Costituzione, il ricorso difetta di qualsiasi sostegno argomentativo.

Né può ritenersi che tale vizio possa essere sanato dalla memoria presentata nell’imminenza dell’udienza, la quale, diversamente dal ricorso, si sofferma nel motivare il lamentato vizio di legittimità costituzionale.

Infatti, come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 384 del 1999), il ricorso non solo deve identificare esattamente la questione nei suoi termini normativi, ma, parallelamente a quanto l’art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) richiede per l’atto introduttivo delle questioni incidentali, esso deve altresì contenere una seppur sintetica argomentazione di merito, a sostegno della richiesta declaratoria d’incostituzionalità della legge.

3.6. ¾ L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce infine la tardività dell’impugnazione per quanto riguarda il primo dei ricorsi della Regione Emilia-Romagna (reg. ric. n. 13 del 2004), in quanto la ricorrente avrebbe dovuto impugnare l’art. 32, commi 21 e 22, del decreto-legge n. 269 del 2003 e non la legge di conversione n. 326 del 2003. In proposito va ripetuto quanto già detto riguardo al ricorso della Regione Puglia, e cioè che non può considerarsi tardivo il ricorso proposto contro la legge di conversione, la quale riproduca il contenuto del decreto-legge.

3.7. ¾ Sono poi da esaminare alcune questioni di legittimità costituzionale avanzate dalla Regione Emilia-Romagna.

3.8. ¾ Innanzitutto, va dichiarata la inammissibilità della censura riferita all’art. 3 della Costituzione per l’ingiustificata discriminazione tra gli imprenditori che usano i beni demaniali per finalità turistiche e quelli che usano gli stessi beni demaniali per altre finalità (art. 32, commi 21 e 22, del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003).

E’ infatti evidente che, in considerazione del tenore della predetta censura, incentrata esclusivamente sulla disparità di trattamento che deriverebbe dalle norme impugnate per gli imprenditori turistici rispetto agli altri imprenditori, difetta l’interesse della Regione, in quanto tale violazione non comporta un’incisione, diretta o indiretta, delle competenze attribuite dalla Costituzione alla Regione stessa (cfr. sentenze n. 4 del 2004 e n. 337 del 2001).

3.9. ¾ Parimenti inammissibile è la censura di irragionevolezza (art. 3 della Costituzione) della norma che prevede l’elevazione del trecento per cento dei canoni delle concessioni d’uso dei beni del demanio marittimo, senza tener conto del diverso valore turistico delle varie aree.

Infatti, a parte la considerazione che le norme, come si vedrà in seguito, tengono conto del diverso valore turistico delle aree, anche in questo caso non sono in gioco le attribuzioni costituzionali della Regione Emilia-Romagna, bensì, unicamente, gli interessi dei concessionari.

3.10. ¾ Va poi esaminata la prospettazione riferita all’art. 117 della Costituzione. Ad avviso della ricorrente, la rideterminazione del canone comporterebbe pregiudizio all’azione regionale di programmazione e di sviluppo in materia turistica, rendendo impossibile l’aggiornamento dei diritti d’imposta regionali sulle concessioni statali dei beni del demanio, in quanto l’esorbitante aumento del canone di concessione comprimerebbe le risorse degli imprenditori turistici.

La questione è inammissibile, poiché si tratta di censura di mero fatto e non riguarda una presunta lesività della norma.

3.11. ¾ Va infine dichiarata inammissibile la censura di scarsa chiarezza della normativa impugnata, in quanto la difficoltà di interpretazione del testo normativo nella specie non sussiste.

4. ¾ Restano la questione sollevata dalla Regione Puglia in ordine al potere dello Stato di determinare i canoni delle concessioni d’uso dei beni demaniali e la questione, sollevata dalla Regione Puglia e dalla Regione Emilia-Romagna, in ordine al mancato rispetto del principio della leale collaborazione.

Prima di trattare il merito di tali questioni, è opportuno far cenno alla disciplina che regola la materia, e cioè ai commi 21, 22 e 23 dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003.

Il comma 21 prevede che "con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono rideterminati i canoni annui di cui all’articolo 03 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494".

L’articolo 03, al comma 1, si occupa dei canoni di concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative, precisando che il decreto ministeriale (ora interministeriale) che li determina deve essere emanato "sentita la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano".

Il successivo comma 22 del medesimo art. 32, così come modificato dall’art. 2, comma 53, della legge n. 350 del 2003, dispone, relativamente a dette concessioni, che "con decreto interministeriale, da emanare entro il 30 giugno 2004, sono assicurate maggiori entrate non inferiori a 140 milioni di euro, a decorrere dal 1° gennaio 2004".

In caso di mancata adozione del decreto entro il predetto termine del 30 giugno 2004, "i canoni per la concessione d’uso sono rideterminati, con effetto dal 1° gennaio 2004", nella misura prevista dalle tabelle allegate al decreto ministeriale 5 agosto 1998, n. 342 (Regolamento recante norme per la rideterminazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative), "rivalutate del trecento per cento".

Tali tabelle tengono conto dei criteri di classificazione in base alla diversa valenza turistica delle aree, stabiliti con lo stesso decreto ministeriale 5 agosto 1998, n. 342.

Strettamente connesso con il predetto comma 22 è il successivo comma 23 dello stesso art. 32, secondo il quale "resta fermo quanto previsto dall’articolo 6 del citato decreto del Ministro di cui al comma 22, relativo alla classificazione delle aree da parte delle regioni, in base alla valenza turistica delle stesse". Il riferimento all’art. 6 del decreto ministeriale 5 agosto 1998, n. 342, pone in evidenza il ruolo che è stato riservato alle Regioni per la classificazione delle aree secondo la loro valenza turistica. Detto art. 6 precisa infatti che "le regioni individuano le aree del proprio territorio da classificare nelle categorie A, B e C, effettuati gli accertamenti (…) dei requisiti di alta, normale e minore valenza turistica".

Vengono così previste due diverse modalità di determinazione dei canoni, l’una aperta alla partecipazione regionale (classificazione delle aree da parte delle Regioni ed obbligo di sentire la Conferenza Stato-Regioni), l’altra connotata dall’unilateralità della determinazione per legge.

5. ¾ Le questioni non sono fondate.

5.1. ¾ Per quanto riguarda la questione concernente il potere dello Stato di determinare il canone, è da dire che questo potere non è contestato dalla Regione Emilia-Romagna, secondo la quale può ben riconoscersi allo Stato "il diritto dominicale di fissare un canone per l’utilizzo dei suoi beni demaniali"; esso è invece disconosciuto dalla Regione Puglia, la quale rivendica a sé tale diritto, sostenendo che le è stata sottratta "la possibilità di operare, in via legislativa, sulla determinazione di un’autonoma risorsa finanziaria, comunque attratta nella sfera regionale attraverso il dominio legislativo della materia".

E’ evidente l’errore di prospettiva di tale ultima interpretazione, che confonde la proprietà del bene con il potere di disciplinare l’uso del bene stesso.

Infatti, essendo lo Stato ente proprietario dei beni demaniali in questione, non è dubbio che a questo spetti la fissazione e la riscossione dei relativi canoni.

A conferma di ciò è da ricordare peraltro che questa Corte, a proposito della spettanza della potestà di imposizione e riscossione del canone per la concessione di aree del demanio marittimo, ha sancito che determinante è la titolarità del bene e non invece la titolarità di funzioni legislative e amministrative intestate alle Regioni in ordine all’utilizzazione dei beni stessi (sentenze n. 150 del 2003, n. 343 del 1995 e n. 326 del 1989).

5.2. ¾ Anche la questione proposta, sia dalla Regione Puglia, sia dalla Regione Emilia-Romagna, circa il mancato rispetto del principio della leale collaborazione non merita accoglimento.

Infatti, come sopra chiarito, il procedimento di determinazione dei canoni d’uso per le concessioni dei beni in questione prevede espressamente il coinvolgimento diretto delle Regioni, le quali, come si è ripetuto, sono chiamate a classificare le aree del demanio marittimo in ragione della diversa valenza turistica delle stesse e debbono essere sentite attraverso lo strumento della Conferenza Stato-Regioni, mentre, d’altro canto, la legge fissa unilateralmente l’ammontare dei canoni solo per il caso di mancata adozione del decreto interministeriale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale di altre disposizioni del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), della legge 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici) e della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2004), proposte con i ricorsi in epigrafe, qui non espressamente esaminate;

riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 21, 22 e 23, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 9, 77, 114, 117, 118, 119 e 127 della Costituzione, dalla Regione Campania, con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 76 del 2003);

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), nel testo risultante dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 9, 32, 77, 97, 114, 117, 118, 119 e 127 della Costituzione, dalla Regione Campania, con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 14 del 2004);

3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 21, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, nel testo risultante dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326, sollevata, in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Puglia, con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 9 del 2004);

4) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 22, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, nel testo risultante dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326, sollevata, in riferimento all’art. 119 della Costituzione, dalla Regione Puglia, con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 9 del 2004);

5) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 21 e 22, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, nel testo risultante dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326, nonché dell’art. 2, comma 53, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2004), sollevata, in riferimento all’art. 117 della Costituzione, al principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione, al principio di certezza del diritto e al generale canone di ragionevolezza delle leggi, dalla Regione Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe (reg. ric. n. 13 e n. 33 del 2004);

6) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 22, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, nel testo risultante dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), sollevata, in riferimento all’art. 117 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Puglia, con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 9 del 2004);

7) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 21 e 22, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, nel testo risultante dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326, sollevata, in riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Regione Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe (reg. ric. n. 13 e n. 33 del 2004).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2004.

Depositata in Cancelleria il 28 luglio 2004.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *