Corte Costituzionale, Sentenza n. 25 del 2003 FRODI IN COMMERCIO Bevande SANITA’ E SANITARI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Ritenuto in fatto

1. ¾ Nel corso di un giudizio di opposizione ad una ordinanza-ingiunzione avente ad oggetto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’articolo 358 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie), irrogata a seguito della inosservanza dell’art. 1 della legge 3 aprile 1961, n. 286 (Disciplina delle bevande analcoliche vendute con denominazioni di fantasia), il quale dispone che le bevande analcoliche vendute con denominazioni di fantasia, il cui gusto ed aroma fondamentale deriva dal loro contenuto di essenze di agrumi, o di paste aromatizzanti di agrumi, non possono essere colorate se non contengono anche succo di agrumi in misura non inferiore al 12 per cento, il Tribunale di Milano ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 del decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 196 (Attuazione della direttiva 97/12/CE che modifica e aggiorna la direttiva 64/432/CEE relativa ai problemi di polizia sanitaria in materia di scambi intracomunitari di animali delle specie bovina e suina), nella parte in cui, aumentando i limiti delle sanzioni previste dal citato art. 358, estende una sanzione amministrativa destinata alla violazione di norme comunitarie anche a norme di natura e portata esclusivamente nazionale.

In attuazione della delega prevista nell’art. 8 della legge 24 aprile 1998, n. 128 [Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dalla appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. (Legge comunitaria 1995-1997)], il quale autorizzava il Governo ad emanare entro due anni, fatte salve le norme penali vigenti, «disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di direttive delle Comunità europee attuate in via regolamentare o amministrativa ai sensi della legge 22 febbraio 1994, n. 146, della legge 6 febbraio 1996, n. 52, nonché della presente legge e per le violazioni di regolamenti comunitari vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge», la disposizione oggetto di censura ha modificato l’articolo 358 del testo unico delle leggi sanitarie (TULS) elevando la sanzione amministrativa pecuniaria originariamente prevista (“fino a lire quattrocentomila”) e portandola “da lire tremilioni e lire diciottomilioni, salvo che il fatto costituisca reato”. Secondo il giudice a quo, in base alla delega il Governo era autorizzato a sanzionare le violazioni di sole norme di fonte comunitaria, non anche di norme interne, qual è, nella specie, l’art. 1 della legge n. 286 del 1961, la cui inosservanza ha determinato l’applicazione delle sanzioni previste dal citato art. 358, oggetto di opposizione nel giudizio principale. L’art. 16 del d.lgs. n. 196 del 1999 avrebbe pertanto finito per estendere una sanzione destinata alla violazione di norme comunitarie anche a norme di matrice esclusivamente nazionale, e per tale profilo sarebbe viziato per eccesso di delega.

2. ¾ Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque manifestamente infondata.

Con una successiva memoria, la difesa erariale, chiarito che la disposizione censurata delegava il Governo a sanzionare le violazioni di direttive cui dava attuazione e di regolamenti e direttive precedenti, sostiene che i requisiti posti nell’art. 76 della Costituzione per l’esercizio della delega legislativa sarebbero stati rispettati, essendo stati esattamente determinati i principî e criteri direttivi e definiti l’oggetto e il tempo entro il quale la delega doveva essere esercitata. Di talché, argomenta l’Avvocatura, «non essendo menzionato alcun divieto ed essendo una norma posteriore e di pari grado nel sistema gerarchico delle fonti», la delega ben poteva essere attuata mediante un decreto legislativo «che prevede la modifica di una sanzione, per la commissione di uno stesso fatto, compresa in un articolo di una legge precedente, anche a rilevanza esclusivamente nazionale, senza oltrepassare il confine della delega concessa». Sarebbe infatti contraddittorio, secondo la difesa del Presidente del Consiglio, ritenere che nell’ordinamento nazionale possano coesistere due norme, una di recepimento di diritto comunitario e l’altra già presente nell’ordinamento, che comminino sanzioni diverse per uno stesso fatto. Dovrebbe infine considerarsi, ad ulteriore dimostrazione della infondatezza della questione sollevata, che l’art. 2, comma 1, lettera c), della legge di delega n. 128 del 1998 prevedeva, al fine di assicurare l’osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, la possibilità di stabilire sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi.

Considerato in diritto

1. ¾ Il Tribunale di Milano dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 16 del decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 196 (Attuazione della direttiva 97/12/CE che modifica e aggiorna la direttiva 64/432/CEE relativa ai problemi di polizia sanitaria in materia di scambi intracomunitari di animali delle specie bovina e suina), sull’assunto che esso, nell’aumentare i limiti delle sanzioni previste dall’art. 358 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie), non distinguerebbe fra norme di fonte nazionale e norme di fonte comunitaria, eccedendo con ciò i limiti della delega posta dall’art. 8 della legge 24 aprile 1998, n. 128 [Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dalla appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. (Legge comunitaria 1995-1997)], il quale autorizzava il Governo ad emanare disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le sole violazioni di fonti comunitarie.

2. ¾ La questione, nei termini in cui è posta, non è fondata.

Il remittente muove dalla premessa che dagli articoli 1 e 8 della legge 24 aprile 1998, n. 128, sarebbe desumibile il conferimento di una delega al Governo a introdurre e modificare sanzioni pecuniarie per le violazioni di regolamenti o direttive comunitarie, ma non anche l’autorizzazione a modificare la legislazione a carattere esclusivamente nazionale, nella quale sarebbe da includere la legge 3 aprile 1961, n. 286 (Disciplina delle bevande analcoliche vendute con denominazione di fantasia). L’aver scelto di sanzionare precetti di derivazione comunitaria attraverso la modifica dell’art. 358 del testo unico delle leggi sanitarie (TULS), cui ha provveduto l’art. 16 del d.lgs. 22 maggio 1999, n. 196, avrebbe avuto come effetto anche l’aggravamento delle sanzioni irrogabili per la violazione degli autonomi precetti della legge nazionale. Di qui la richiesta che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale del predetto articolo 16, nella parte in cui estende alla violazione di norme di portata esclusivamente interna una previsione sanzionatoria destinata alle sole violazioni di norme di matrice comunitaria.

Il Tribunale di Milano sollecita, in altre parole, una sentenza di accoglimento parziale, in conseguenza della quale il trattamento sanzionatorio per la violazione dei divieti afferenti alla materia delle bevande analcoliche, fino ad oggi unitariamente raccolto nell’art. 358 del TULS, verrebbe scisso in previsioni diverse, a seconda dell’origine “comunitaria” o meramente nazionale dell’infrazione.

Una simile soluzione tuttavia contrasta con la ratio che ha ispirato la legge di delegazione, nella quale è evidente il proposito di addivenire ad un sistema sanzionatorio complessivo in cui le norme comunitarie, secondo la dizione dell’art. 8 della legge n. 128 del 1998, si integrassero in maniera piena nell’ordinamento nazionale; proposito che costituiva ulteriore esplicitazione di un’istanza che, d’altronde, già animava il legislatore delegante fin dalla elaborazione dei criteri e principî direttivi generali ai quali si sarebbe dovuto attenere il legislatore delegato, cui era posto dall’art. 2, comma 1, lettera a), il vincolo di “evitare disarmonie con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare”. Pertanto, la pretesa avanzata dal remittente che con una sentenza di questa Corte si giunga ad una disarticolazione del sistema sanzionatorio in materia di bevande analcoliche è priva di fondamento, posto che tale sistema deve essere, secondo la scelta del legislatore delegante, pienamente integrato con le disposizioni vigenti nell’ordinamento interno.

3. ¾ La visione unitaria del sistema delle sanzioni interne, alla quale si è attenuta la legge di delegazione, risponde del resto a esigenze di chiarezza e di immediata e precisa conoscibilità delle conseguenze che le violazioni delle norme sulla composizione delle bevande comportano. La soluzione prospettata dal remittente genererebbe una tale confusione nel settore che gli operatori, le autorità amministrative addette alla vigilanza e in definitiva la stessa autorità giudiziaria incontrerebbero difficoltà non lievi nel discernere, tra le sanzioni che afferiscono a una pluralità indefinita di precetti, quelle che traggono origine dall’attuazione di una direttiva o di un regolamento comunitario da altre, le quali siano il frutto di un’autonoma determinazione del legislatore nazionale. Senza dire che possono ben darsi ipotesi nelle quali la normativa interna ha autonomamente intrapreso linee di maggior garanzia per la salute pubblica e per i consumatori. E’ il caso dell’art. 1 della legge n. 286 del 1961, il quale ha fissato la percentuale minima di succo che consente l’uso dei coloranti nella preparazione delle bevande analcoliche con denominazione di fantasia; disposizione questa certo non coincidente, come rileva lo stesso remittente, ma quantomeno complementare rispetto a quella, attuativa della normativa comunitaria, di cui al decreto ministeriale 27 febbraio 1996, n. 209 (Regolamento concernente la disciplina degli additivi alimentari consentiti nella preparazione e per la conservazione delle sostanze alimentari in attuazione delle direttive n. 94/34/CE, n. 94/35/CE, n. 94/36/CE, n. 95/2/CE e n. 95/31/CE). Questo, infatti, adottato ai sensi della legge 6 febbraio 1996, n. 52, il cui articolo 31 ha abrogato alcune disposizioni del d.P.R. 19 maggio 1958, n. 719 (Regolamento per la disciplina igienica della produzione e del commercio delle acque gassate e delle bevande analcoliche gassate e non gassate confezionate in recipienti chiusi), ha esteso la disciplina di derivazione comunitaria dei coloranti anche alle bevande analcoliche, senza però curarsi di stabilire per esse alcun limite minimo di succo di frutta, diversamente dalla disciplina nazionale che, per gli agrumi, lo ha posto quale condizione indefettibile per l’impiego di coloranti.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 16 del decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 196 (Attuazione della direttiva 97/12/CE che modifica e aggiorna la direttiva 64/432/CEE relativa ai problemi di polizia sanitaria in materia di scambi intracomunitari di animali delle specie bovina e suina), sollevata, in riferimento all’articolo 76 della Costituzione, dal Tribunale di Milano, con l’ordinanza in epigrafe indicata.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 2003.

Depositata in Cancelleria il 4 febbraio 2003.

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