Corte Costituzionale, Sentenza n. 148 del 2003, In tema di governo del territorio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1.– Il Giudice istruttore del Tribunale di Bari, nel corso di cause civili riunite, aventi ad oggetto il risarcimento dei danni per illegittima occupazione di un immobile, ha sollevato, in riferimento all’art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 37, quinto comma, della legge della Regione Puglia 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio) e dell’art. 17, comma 2, della legge della Regione Puglia 27 luglio 2001, n. 20 (Norme generali di governo e uso del territorio).

Tali norme prescrivono l’obbligo di osservare le previsioni dello strumento esecutivo pur dopo la scadenza del medesimo.

Con sentenza parziale il giudice a quo ha accolto i primi due capi della domanda proposta dagli interessati con un primo atto di citazione, consistente nel mancato godimento dell’immobile illegittimamente occupato per il periodo in cui l’occupazione stessa si era protratta e nella perdurante impossibilità di proficua utilizzazione dello stesso, nonché la seconda domanda, con la quale era stata dedotta la illegittimità della nuova procedura ablatoria, con conseguente risarcimento del danno, residuando solo il terzo capo della prima domanda relativa alla illegittima diminuzione di valore correlata alla destinazione urbanistica, al cui riconoscimento è di ostacolo la normativa denunciata.

Il giudice a quo osserva che la domanda è fondata sulla dedotta reiterazione di un vincolo urbanistico, che permane, pur essendo passata in giudicato la sentenza del Tribunale di Bari, che ha accertato la scadenza del PEEP (Piano per l’edilizia economica e popolare). Infatti, per effetto delle norme denunciate, sull’area per cui è causa continuerebbe a permanere l’obbligo di osservare le stesse previsioni del Piano, con l’aggravante che, venendo meno gli effetti, ai fini espropriativi, della dichiarazione di pubblica utilità (ultima parte del quinto comma dell’art. 37), il privato verrebbe a subire un vincolo a tempo indeterminato, senza, cioè, neanche la prospettiva dell’indennizzo conseguente all’esproprio.

Ad avviso del giudice rimettente, i vincoli in questione presentano le caratteristiche dello schema “ablatorio-espropriativo”, poiché gli stessi comportano uno svuotamento di rilevante entità della proprietà; superano la durata legislativamente determinata; superano, sotto il profilo qualitativo, per la loro incidenza sul contenuto del diritto, la normale tollerabilità.

In relazione alla rilevanza della questione, il giudice a quo, dopo aver affermato la propria giurisdizione in relazione al periodo in cui è stata proposta l’azione – antecedente all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 80 del 1998 e del d.P.R. n. 327 del 2001– osserva che la domanda risarcitoria, alla luce della disposizione del quinto comma dell’art. 37 della legge regionale n. 56 del 1980 o anche con riferimento alla più recente normativa introdotta dall’art. 17, secondo comma, della legge regionale n. 20 del 2001, non potrebbe che essere rigettata, poiché, per effetto di tali disposizioni, si determinerebbe, per i suoli già sottoposti a vincoli previsti dallo strumento urbanistico attuativo, un automatico assoggettamento a tempo indeterminato e senza previsione di indennizzo.

Esclude, il giudice a quo, che il vincolo di destinazione a verde attrezzato dell’area di cui si discute possa costituire un vincolo urbanistico “conformativo”, la cui efficacia permane a tempo indeterminato, come ritiene un orientamento restrittivo della giurisprudenza amministrativa.

Il giudice rimettente richiama, inoltre, l’orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo e, sulla considerazione che la Corte europea è, in forza dell’art. 6 del Trattato U.E. parte integrante del diritto comunitario e che i diritti da essa riconosciuti sono stati espressamente riaffermati nel Preambolo, V capoverso, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, afferma che potrebbe anche ritenersi vincolato a disapplicare le norme interne confliggenti con il diritto comunitario, in conformità, peraltro, al costante orientamento della giurisprudenza costituzionale. Tuttavia, considerando che i diritti riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte europea sono solo inseriti nel Preambolo della Carta di Nizza e non fanno parte integrante dei Trattati, lo stesso giudice non può ritenersi vincolato ad essi e, quindi, ritiene di sollevare giudizio incidentale di legittimità costituzionale.

2.– Si è costituito in giudizio il Comune di Bari che ha concluso per la infondatezza della questione, sottolineando che la previsione di piano rappresenterebbe solo un vincolo preordinato all’espropriazione di natura procedimentale, la cui decadenza non farebbe venire meno la destinazione urbanistica dell’area, che conserverebbe la sua efficacia conformativa. Questa destinazione urbanistica rimarrebbe ferma senza alcun obbligo di indennizzo, attenendo alla efficacia conformativa la scadenza del PEEP, mentre la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità, che aveva radicato il carattere espropriativo, farebbe venire meno il vincolo espropriativo e non la destinazione, permettendo sia all’Amministrazione sia ai privati di realizzare le indicazioni di piano.

Considerato in diritto

1.– La questione di legittimità costituzionale, sottoposta in via incidentale all’esame della Corte, riguarda l’art. 37, quinto comma, della legge della Regione Puglia 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio) e l’art. 17, comma 2, della legge della Regione Puglia 27 luglio 2001, n. 20 (Norme generali di governo e uso del territorio).

Il Tribunale di Bari, con ordinanza 22 maggio 2002, ha denunciato la violazione dell’art. l’art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, poiché le predette norme regionali imporrebbero, dopo la scadenza dei termini previsti per l’attuazione dei piani attuativi, la protrazione automatica di vincoli di natura espropriativa e di inedificabilità, trasformati a tempo indeterminato e senza previsione di indennizzo.

2.– Il giudice a quo, con una esauriente motivazione, ampiamente plausibile, ritiene che il permanere della destinazione a verde pubblico attrezzato, e strade pubbliche comporti una proroga dell’efficacia di vincolo avente natura sostanzialmente espropriativa con la conseguenza della rilevanza della questione per la decisione del profilo della domanda attinente al risarcimento sotto il profilo del permanere del vincolo di destinazione urbanistica, aggravato dalla caducazione della originaria speciale procedura espropriativa.

Infatti l’utilizzazione della destinazione urbanistica potrebbe avvenire solo attraverso un’ opera pubblica, la quale comporta la destinazione a verde pubblico attrezzato e strade pubbliche (ricorrendo alla procedura ordinaria di espropriazione essendo decaduta la dichiarazione di pubblica utilità derivante dalla inclusione in PEEP), senza che il privato possa sostituirsi alla amministrazione pubblica, non essendovi previsione di realizzabilità "attraverso l’iniziativa privata in regime di economia di mercato”.

3.– Giova, altresì, sottolineare che non può avere rilievo nella presente questione il d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità) ed in particolare l’art. 38 (con disciplina dell’indennità in caso di reiterazione di vincoli del genere di quelli per cui si discute), in quanto le disposizioni del t.u. sono destinate ad entrare in vigore a decorrere dal 30 giugno 2003: art. 59 del t.u., come prorogato dall’art. 5 del decreto-legge 23 novembre 2001, n. 411 (Proroghe e differimento di termini), convertito con modificazioni dall’art. 1 della legge 31 dicembre 2001, n. 463, ulteriormente differito dall’art. 3 del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 122 (Disposizioni concernenti proroghe in materia di sfratti, di edilizia e di espropriazione) e da ultimo modificato dall’art. 1, lettera s), del decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 302 (Modifiche ed integrazioni al d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, recante testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità).

D’altro canto il tenore delle disposizioni denunciate non consente di applicare direttamente i principi già esistenti nell’ordinamento e di fare riferimento al quadro normativo delle leggi statali in materia di proroga di vincoli urbanistici espropriativi ed indennizzabilità, come risultanti dalla sentenza di questa Corte n. 179 del 1999, anche indipendentemente dalla entrata in vigore dell’intervento legislativo statale contenuto nel citato t.u. sulle espropriazioni.

4.– La questione è fondata nei limiti appresso precisati.

Occorre preliminarmente precisare che il problema della temporaneità e della conseguente indennizzabilità della protrazione dei vincoli urbanistici si può porre solo nei confronti dei vincoli anzidetti in quanto preordinati all’espropriazione o sostanzialmente ablativi. Restano, di conseguenza, fuori dai problemi enunciati di costituzionalità tutti gli altri vincoli attinenti a destinazioni non coinvolgenti l’esecuzione di opere pubbliche, ma rimessi alla iniziativa (anche concorrente) dei singoli proprietari (come il verde condominiale e gli accessi privati pedonali), trattandosi di vincoli meramente conformativi.

L’iter interpretativo della garanzia costituzionale in materia di espropriazione ha portato a riconoscere il principio secondo cui, per gli anzidetti vincoli (urbanistici) espropriativi, la reiterazione (o la proroga) comporta – oltre la temporaneità – necessariamente un indennizzo, diretto al ristoro del pregiudizio causato dal protrarsi della durata (sentenze n. 411 del 2001; n. 179 del 1999).

L’obbligo specifico di indennizzo deve sorgere una volta superato il primo periodo di ordinaria durata temporanea del vincolo (nella specie 10 anni, secondo la legge regionale denunciata, trattandosi di piano di edilizia popolare), da considerarsi come periodo di franchigia da ogni indennizzo, quale determinato dal legislatore entro limiti non irragionevoli, riconducibili alla normale sopportabilità del peso gravante in modo particolare sul singolo (sentenza n. 179 del 1999).

Deve essere, di conseguenza, tenuto distinto – rispetto alla pretesa indennitaria – il profilo della ammissibilità e legittimità sia della reiterazione degli anzidetti vincoli in via amministrativa, sia della ammissibilità sul piano costituzionale, entro i limiti della non irragionevolezza, di proroghe o di protrazioni di durata in via legislativa o di differenziazioni di durata per taluni vincoli (sentenze n. 411 del 2001; n. 179 del 1999).

Pertanto deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale non dell’intero complesso normativo denunciato, che consente la protrazione dei vincoli derivanti dalle previsioni degli strumenti esecutivi, ma solo in quanto, per la generale indicazione di persistente ulteriore efficacia dell’obbligo di osservare le previsioni non attuate dello strumento di pianificazione urbanistica, si riferisce anche a vincoli scaduti preordinati all’espropriazione o sostanzialmente espropriativi senza previsione di durata e di indennizzo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 37, quinto comma, della legge della Regione Puglia 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio) e dell’art. 17, comma 2, della legge della Regione Puglia 27 luglio 2001, n. 20 (Norme generali di governo e uso del territorio), nella parte in cui si riferiscono a vincoli scaduti, preordinati all’espropriazione o sostanzialmente espropriativi, senza previsione di durata e di indennizzo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2003.

Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2003.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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