Corte Costituzionale, Sentenza n. 364 del 2003, In tema di sportello unico per gli impianti produttivi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto
1.1. – Con ricorso notificato il 10 aprile 2001 e depositato nella cancelleria della Corte costituzionale nella stessa data, la Regione V. ha sollevato conflitto di attribuzioni nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri (r.confl. n. 13 del 2001), chiedendo la dichiarazione di non spettanza allo Stato del potere di disciplinare con regolamento i procedimenti amministrativi afferenti alla struttura denominata "sportello unico per le attività produttive", e, conseguentemente, l’annullamento del d.P.R. 7 dicembre 2000, n. 440 (Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 20 ottobre 1998, n. 447, in materia di sportelli unici per gli impianti produttivi), con particolare riferimento all’art. 1, comma 1, lettere a, c, e, g, k, r, s, t, u, per violazione degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione.
Le disposizioni ritenute interferenti con le competenze della Regione sono le seguenti:
• la lettera a dell’art. 1, la quale ridefinisce il campo di applicazione del regolamento di cui al d.P.R. n. 447 del 1998, affermando che gli "impianti" presi in considerazione sono quelli "relativi a tutte le attività di produzione di beni e servizi, ivi incluse le attività agricole, commerciali e artigiane, le attività turistiche ed alberghiere …". Non vi sarebbe dunque materia regionale, "propria" o "delegata", che rimanga esclusa dalla disciplina governativa;
• la lettera c dell’art. 1, là dove si stabilisce che il procedimento è unico, nel senso che sono soppresse (e/o trasformate) tutte le funzioni amministrative in precedenza attribuite ai diversi enti: la struttura unica adotta "il provvedimento conclusivo del procedimento", ed adotta anche direttamente "gli atti istruttori e i pareri tecnici, comunque denominati dalle normative vigenti", mentre le altre amministrazioni intervengono nel procedimento solo in via eventuale (se la struttura unica ritiene di avvalersene), e solo per la adozione di atti, che sono "trasformati" in "atti istruttori" e in "pareri tecnici" (come confermerebbero le innovazioni della lettera e, della lettera g, che parla di funzioni di "amministrazione consultiva", nonché della lettera k, la quale, con riferimento alle varianti urbanistiche eventualmente occorrenti per la realizzazione degli impianti, esclude la necessità dell’approvazione della Regione);
• le lettere r e s dell’art. 1, le quali, con riferimento al "procedimento mediante autocertificazione", assegnano le funzioni di "accertamento" delle autocertificazioni, e, più in generale, tutte le funzioni di "controllo", alla "struttura" comunale: spetta ad essa, quindi, la verifica della conformità di quanto dichiarato dall’interessato con le norme relative alla prevenzione degli incendi, alla sicurezza degli impianti, alle emissioni inquinanti in atmosfera, alle emissioni nei corpi idrici, ecc. (sinteticamente: con tutte le norme considerate nel comma 2 dell’art. 7 del d.P.R. n. 447 del 1998). Ad avviso della ricorrente, solo se la struttura comunale riterrà di avvalersene, altre amministrazioni pubbliche potranno svolgere queste verifiche; tant’è vero che il comma 3 dell’art. 7, che pure continua a fare riferimento alla permanenza della funzione di controllo, viene modificato nel senso che gli enti diversi dal Comune non sono più "competenti", ma solo "interessati". Nella stessa direzione si muoverebbe anche la lettera t del decreto impugnato, che interviene sulla "procedura di collaudo": i tecnici che vi prendono parte non sono più quelli dipendenti "dalle amministrazioni competenti ai sensi della normativa vigente", ma quelli della struttura comunale, "la quale a tal fine può avvalersi del personale dipendente da altre amministrazioni";
• infine, la lettera u dell’art. 1. Tale norma sostituisce l’art. 10 del d.P.R. n. 447 del 1998, il quale, nella versione originaria, faceva salve "le disposizioni che prevedono a carico dell’interessato il pagamento di spese o diritti in relazione ai procedimenti disciplinati dal presente regolamento". Ora la competenza a riscuotere tali importi viene attribuita alla "struttura responsabile del procedimento"; la misura di essi viene dimezzata nel caso del "procedimento per autocertificazione"; la stessa percezione delle somme – da parte della Regione e di enti diversi dal Comune – diventa meramente eventuale, essendo prevista solo per il caso in cui la amministrazione abbia svolto attività istruttoria (ciò che dipenderebbe dalla struttura procedente): si introdurrebbe surrettiziamente una "sanzione" a carico della Regione (e degli altri enti), in quanto si prevede che, se non sono rispettati i termini fissati dallo stesso regolamento, le spese e i diritti (che pure vengono riscossi), non sono riversati ai soggetti ai quali essi spetterebbero secondo la normativa vigente.
Ad avviso della Regione, il d.P.R. n. 440 del 2000 interferirebbe con le competenze regionali, tanto di normazione, quanto di amministrazione. Il regolamento si sostituirebbe alle fonti pregresse, sia statali che regionali, ridisciplinando compiti e funzioni, in materie proprie della Regione, o ad essa conferite. Inoltre, nessuna disposizione del d.P.R. n. 440 del 2000 escluderebbe che esso vincoli anche per il futuro la normazione regionale.
La Regione ricorrente lamenta la violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost. a causa dell’imposizione di limiti alla Regione con norme di natura regolamentare.
Un’altra ragione, subordinata, di violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost. deriverebbe dal fatto che l’imposizione di limiti alla Regione sarebbe avvenuta con norme adottate in violazione delle prescritte regole procedimentali. Difatti l’art. 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59, sulla cui base deve ritenersi adottato il regolamento impugnato (così come il d.P.R. n. 447 del 1998, che esso modifica), stabilisce – attraverso il rinvio alle "modalità" del comma 3 del medesimo articolo – che nel procedimento normativo intervenga il parere delle competenti Commissioni parlamentari. Dal preambolo del regolamento n. 440 del 2000 non risulterebbe, però, che il Governo abbia provveduto ad acquisire il necessario parere, né risulterebbe l’inutile decorso del termine di trenta giorni, assegnato alle Commissioni per pronunciarsi (evenienza alla quale l’ultimo periodo del citato comma 3 subordina la possibilità di emanare comunque il regolamento).
Un altro motivo di doglianza concerne la violazione delle funzioni legislative ed amministrative attribuite alla Regione dagli artt. 117 e 118 della Costituzione. All’interno di materie affidate alla competenza legislativa concorrente della Regione, il regolamento n. 440 del 2000 ritaglierebbe un settore "trasversale", individuato dal riferimento agli "impianti produttivi", "relativi a tutte le attività di produzione di beni e servizi", ed attribuirebbe al Comune il potere unico di autorizzare l’"impianto", "degradando" tutte le funzioni amministrative "interferenti" (salvo, forse, quelle attinenti alla valutazione d’impatto ambientale) a funzioni consultive ed istruttorie, le quali hanno una natura ben diversa da quelle di amministrazione "attiva". In tal modo, sostiene la ricorrente, verrebbero irrimediabilmente lese le funzioni legislative ed amministrative costituzionalmente spettanti alla Regione.
Il regolamento in questione – in particolare la lettera a dell’art. 1 – lederebbe le attribuzioni regionali anche perché, in violazione dell’art. 20, comma 8, della legge n. 59 del 1997, in relazione ai numeri 26, 42, 43 e 50 dell’allegato l alla medesima, estenderebbe lo sportello unico agli impianti relativi alle attività agricole, artigiane, turistiche o alberghiere.
Ad avviso della ricorrente, il d.P.R. n. 440 del 2000 sostanzialmente delegificherebbe l’autonomia costituzionale delle Regioni. In particolare, mentre le disposizioni del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), lette alla luce della legge di delega nel suo insieme, sarebbero da intendere nel senso che il conferimento ai Comuni si deve sostanziare non in un effettivo spostamento della titolarità delle funzioni quando esse attengono ad impianti produttivi, ma nella unitaria convergenza procedimentale (e formalizzazione provvedimentale conclusiva) nel Comune di tutte le funzioni coinvolte, ferma restandone la titolarità in capo ai soggetti cui ordinariamente è demandata la cura dei relativi interessi, il decreto impugnato, invece, sposterebbe in capo ai minori enti locali competenze "sostanziali" di cura di interessi afferenti alle materie regionali.
Infine, la Regione denuncia la violazione dell’art. 119 Cost. con riferimento alla lettera u dell’art. 1 del d.P.R. n. 440 del 2000. Le leggi regionali che stabiliscono in materia di spese e diritti, e che concorrono a dare concretezza alla "autonomia finanziaria" della Regione, sarebbero sostituite dal regolamento, il quale modificherebbe anche i presupposti di imposizione di quelle prestazioni, e ciò al di fuori di una qualunque norma di rango legislativo, necessaria ai sensi dell’art. 119 della Costituzione.
1.2. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo perché il ricorso sia rigettato in quanto inammissibile e comunque infondato nel merito.
La difesa erariale esclude che con il regolamento del 2000 sia stata mutata la natura dell’esercizio del potere delle amministrazioni diverse che intervengono nell’ambito dell’unico procedimento, tramutando in valore istruttorio un concorso attivo che, in precedenza, sarebbe stato invece a rilevanza esterna. Una tale scelta sarebbe stata compiuta già con lo stesso d.lgs. n. 112 del 1998 (che la Regione avrebbe dovuto quindi direttamente censurare), rispetto al quale il regolamento n. 440 del 2000 null’altro farebbe che esprimere "una disciplina secondaria a tratto maggiormente definito e non certamente innovativo".
Neppure sarebbe condivisibile la pretesa inadeguatezza della fonte regolamentare governativa ad incidere su materie affidate, per riparto costituzionale, alle cure proprie della potestà legislativa regionale. La fonte secondaria statale muove in ambiti di materia differenti da quelli che possono essere occupati dalla disciplina legislativa di produzione regionale; in secondo luogo, ove pure si individuassero profili della disciplina regolamentare invasivi di spazi propri della fonte regionale, non vi sarebbe dubbio alcuno che, al subentrare di una disciplina di produzione regionale, quella di fonte secondaria statale risulterebbe senz’altro recessiva quanto alle regole poste nei riguardi delle amministrazioni subregionali e dei privati, nei loro rapporti con queste amministrazioni.
Per quanto, infine, attiene all’iter procedimentale seguito per l’adozione del regolamento impugnato, l’Avvocatura osserva che lo schema di provvedimento è stato sottoposto all’esame della Conferenza unificata nella seduta del 1° luglio 1999; che lo schema di regolamento, in quanto incidente su materia già delegificata e destinato esclusivamente ad apportare modifiche al regolamento n. 447 del 1998, non richiedeva l’esame delle Commissioni parlamentari, tenuto conto di quanto previsto dall’art. 17, comma 1, della legge n. 400 del 1988 e di quanto deliberato dalla I Commissione del Senato nella seduta del 19 giugno 1996, secondo cui un nuovo parere delle Commissioni parlamentari non sarebbe richiesto allorquando si tratti di ipotesi di modificazione di regolamenti di semplificazione. In ogni caso, la mancanza di parere delle Commissioni parlamentari non potrebbe costituire motivo di censura, in quanto questo eventuale adempimento procedimentale non tutelerebbe prerogative regionali e nessuna tutela, a questo riguardo, sarebbe azionabile con lo strumento del ricorso per conflitto di attribuzioni.
2.1. – Anche la Regione L., con ricorso notificato il 6 aprile 2001 e depositato nella cancelleria di questa Corte il 19 aprile 2001, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri a seguito dell’emanazione del d.P.R. n. 440 del 2000 (r.confl. n. 14 del 2001). La Regione chiede alla Corte di dichiarare che non spettava allo Stato, e per esso, al Governo: riconformare, tramite regolamento governativo, procedure e competenze afferenti lo "sportello unico per le imprese" nelle materie assegnate alla sfera di competenze regionali costituzionalmente garantite; prevedere, all’art. 1, comma 1, lettere c e g, del d.P.R. n. 440 del 2000, che il Comune possa adottare direttamente, nelle suddette materie, tutti gli atti occorrenti alla procedura di sportello unico per gli impianti produttivi, rendendo meramente eventuale l’intervento delle altre amministrazioni, nonché degradare ad atti endoprocedimentali gli atti eventualmente adottabili da tali amministrazioni; ancora, adottare il d.P.R. n. 440 del 2000 in difformità dall’accordo sancito in sede di Conferenza unificata il 1° luglio 1999, nonché in assenza del prescritto parere delle Commissioni della Camera dei deputati e del Senato. La Regione, chiede, conseguentemente, che la Corte annulli l’impugnato d.P.R. n. 440 del 2000.
La Regione denuncia la violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost. in relazione all’art. 1, comma 1, lettera c, del d.P.R. n. 440 del 2000 (nella parte in cui sostituisce l’art. 4, comma 1, del d.P.R. n. 447 del 1998), nonché all’art. 1, comma 1, lettera g (che modifica l’art. 4, comma 5, del medesimo d.P.R. n. 447).
Secondo la ricorrente, mentre il testo previgente dell’art. 4 del d.P.R. n. 447 del 1998 – nel caso in cui il procedimento unico si svolgesse mediante ricorso alla conferenza di servizi – disponeva che il Comune, una volta ricevuta la domanda del soggetto interessato, invitasse ogni amministrazione competente a far pervenire gli atti autorizzatori o di consenso comunque denominati entro il prescritto termine, il nuovo testo prevede che il Comune possa adottare direttamente gli atti permissivi occorrenti. Solo nel caso in cui il Comune non decida di provvedere direttamente, esso richiede alle amministrazioni di settore (o ad altre, di cui sceglie di avvalersi) quelli che oggi vengono chiamati "atti istruttori" o "pareri tecnici". Ma in tal modo verrebbe attribuita ai Comuni la possibilità di scegliere se provvedere autonomamente ad adottare tutti gli atti occorrenti al procedimento autorizzatorio, in luogo delle competenti amministrazioni di settore, come individuate dalla normativa regionale, anche attuativa del d.lgs. n. 112 del 1998. Ed invero, la formulazione della norma impugnata sembrerebbe implicare da parte della struttura competente in materia di sportello unico l’esercizio di un potere discrezionale suscettibile di alterare la distribuzione di competenze tra enti locali già effettuata dalla Regione tanto con proprie leggi attuative del decreto legislativo n. 112 del 1998 (e – segnatamente – con la legge regionale 24 marzo 1999, n. 9, in materia di sportello unico), quanto l’ulteriore normativa regionale di settore nelle materie di cui all’art. 117 Cost.
L’impugnato d.P.R. n. 440 del 2000 inciderebbe in materie riservate alla competenza regionale, allorquando muta il valore sostanziale degli atti permissivi imputabili alle varie amministrazioni che intervengono nel procedimento, degradandone la natura, che non è più provvedimentale ("atti autorizzatori" o "di consenso"), ma diventa endoprocedimentale ("atti istruttori" o "pareri tecnici").
Altro profilo di censura riguarda la fonte adottata per l’emanazione dell’atto impugnato: il regolamento sarebbe intrinsecamente inidoneo ad incidere sulle materie riconosciute e garantite alla Regione ex art. 117 Cost., come ribadito dalla legge 23 agosto 1988, n. 400 (art. 17, lettera b), che demanda a tale fonte l’"attuazione e l’integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale".
La Regione censura altresì la violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni in relazione alle modalità di formazione del regolamento impugnato, sia perché adottato in contrasto con le previsioni dell’accordo raggiunto nella seduta del 1° luglio 1999 della Conferenza unificata avente ad oggetto "Criteri applicativi della normativa di cui al titolo II, capo IV, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 e del d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447", sia perché adottato senza la preventiva acquisizione del parere delle Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, al contrario di quanto era avvenuto per il d.P.R. n. 447 del 1998.
2.2. – Nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha chiesto che il ricorso sia rigettato perché inammissibile o comunque infondato nel merito, sulla base di argomentazioni identiche a quelle contenute nell’atto di costituzione relativo al giudizio per conflitto promosso dalla Regione V..
3. – In data 23 aprile 2003 la Regione L. ha depositato atto di rinuncia al ricorso, previamente notificato all’Avvocatura generale dello Stato ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri, dichiarando di non aver più interesse alla definizione del conflitto di attribuzione da essa promosso ed iscritto al registro conflitti n. 14 del 2001. Nella deliberazione della Giunta regionale della L. di data 4 aprile 2003, allegata all’atto di rinuncia, si precisa che il venir meno dell’interesse è da ricollegare alla sentenza di questa Corte n. 376 del 2002, che avrebbe fornito un’interpretazione delle norme in materia di "sportello unico" la quale riconoscerebbe pienamente la salvezza delle competenze regionali rivendicate in questa sede.
La rinuncia della Regione L. è stata accettata dal Consiglio dei ministri nella seduta del 2 maggio 2003.
4.1. – In prossimità dell’udienza, l’Avvocatura ha depositato una memoria illustrativa.
Nel premettere che la Regione V. non ha censurato il contesto normativo di fonte primaria, dal quale deriva la disciplina regolamentare, né il precedente d.P.R. n. 447 del 1998, che il regolamento impugnato va a modificare, l’Avvocatura osserva che, ai sensi dell’art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1998, ogni Comune esercita, singolarmente o in forma associata, anche con altri enti locali, le funzioni di cui all’art. 23, assicurando che un’unica struttura (quella presso la quale deve essere attivato lo sportello unico per le attività produttive, di cui tratta il comma 2 dello stesso art. 24) sia responsabile dell’intero procedimento. Ne emerge la doverosa unicità non tanto e non solo del "luogo" amministrativo cui l’imprenditore privato può rivolgersi per le proprie esigenze strumentali all’avvio dell’attività produttiva, quanto piuttosto del procedimento (cui corrisponde un’unicità provvedimentale) che deve governare la cura dei differenti interessi pubblici che (per quanto rimangano in titolarità separate ed autonome, tuttavia) concorrono nel quadro valutativo pubblico cui si correla l’attività produttiva di volta in volta in considerazione. Ne deriva che, in materia di attività produttive, unico deve essere l’interlocutore amministrativo dell’imprenditore (lo sportello unico, appunto), quale soluzione del problema, altrimenti irresolubile, del coordinamento dei poteri pubblici cui l’imprenditore deve necessariamente rivolgersi per l’avvio delle sue attività, e del conseguente abbattimento dei tempi di esercizio di tali poteri.
La conclusione che se ne trae è che proprio nella fonte primaria risiederebbe la soluzione innovativa tale per cui i diversi e concorrenti interessi pubblici, che si attivano sulla base dell’istanza del privato imprenditore, si amalgamano nel quadro di un unico procedimento amministrativo, nel quale i diversi provvedimenti amministrativi (che in passato esprimevano la cura di ciascun singolo interesse pubblico), già dotati di autonoma rilevanza esterna, diventano ora meri atti endoprocedimentali, a rilevanza eminentemente istruttoria.
Queste considerazioni troverebbero conferma nell’art. 25, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1998. L’intento del legislatore delegato – si sostiene – non è stato quello di ledere prerogative regionali, quanto, piuttosto, quello di congegnare un "luogo" amministrativo unico, in cui differenti poteri pubblici, nella titolarità di amministrazioni pubbliche diverse, sia statali (si fa l’esempio delle competenze in materia di sicurezza) che regionali (si citano le competenze in materia di sanità) e comunali (come le competenze in materia di urbanistica), possano incontrarsi in chiave procedimentale ed ivi confluire allo scopo di esprimersi unitariamente al fine dell’adozione, nei riguardi del soggetto privato interessato, di un provvedimento amministrativo unico.
4.2. – Anche la Regione V. ha depositato una memoria illustrativa.
In primo luogo, la Regione sottolinea il carattere fortemente innovativo del d.P.R. n. 440 del 2000, tanto rispetto al precedente regolamento del 1998, quanto con riferimento alle norme sullo "sportello unico" contenute nel decreto n. 112 del 1998.
In ordine all’eccezione dell’Avvocatura, secondo cui la denunciata invasione non sarebbe stata operata dal regolamento oggetto di conflitto, giacché il d.P.R. del 2000 non farebbe altro che "specificare" una scelta legislativa riconducibile agli artt. 23 e ss. del d.lgs. n. 112 del 1998, non impugnati, sul punto, dalla Regione V., la ricorrente ritiene l’obiezione frutto di un equivoco, di una errata interpretazione del d.lgs. n. 112 del 1998, e di una dimenticanza.
Di un equivoco, giacché la Regione non si duole del fatto che le norme regolamentari abbiano tolto rilievo autonomo ai "provvedimenti" nei quali si sostanzia (o si potrebbe sostanziare, sulla base della legislazione) la cura degli interessi pubblici toccati dagli impianti produttivi, e abbiano invece inserito gli atti di cura degli interessi all’interno di un unico "procedimento"; ma censura lo spostamento della titolarità delle funzioni amministrative coinvolte in capo ai Comuni, con "scardinamento" dell’assetto delle competenze risultanti dalla legge n. 59 del 1997, dai conseguenti decreti legislativi e dalla legislazione regionale di attuazione.
Di un’errata interpretazione del d.lgs. n. 112 del 1998, perché le disposizioni degli artt. 23 e ss. andrebbero lette nel contesto dell’intero decreto legislativo e della legge di delega: l’attribuzione ai Comuni delle funzioni amministrative concernenti la realizzazione di impianti produttivi andrebbe riferita al procedimento nel quale confluiscono i diversi atti di esercizio dei poteri pubblici preordinati alla cura degli interessi toccati dagli impianti stessi.
Di una dimenticanza, giacché la Regione V. presentò ricorso in via principale proprio contro quelle norme del decreto legislativo in materia di sportello unico che direttamente andavano ad invadere la propria sfera di attribuzione, ottenendo, su questo punto, una decisione di accoglimento. Infatti, con riferimento alla disposizione dell’art. 25, comma 2, del decreto n. 112 – il quale prevedeva un’interferenza con i poteri della Regione in materia urbanistica, disponendo che ove il progetto di insediamento dell’attività produttiva contrastasse con le previsioni di uno strumento urbanistico, fosse possibile il ricorso ad una conferenza di servizi, la cui determinazione (se vi era accordo sulla variazione dello strumento) costituiva proposta di variante, sulla quale si pronunciava definitivamente il consiglio comunale – la Corte costituzionale, con sentenza n. 206 del 2001, ha reputato che l’esclusione della necessità di un’approvazione regionale concretasse una lesione delle attribuzioni regionali in materia urbanistica. La ricorrente ritiene significativo che, nella citata sentenza n. 206 del 2001, la Corte costituzionale non abbia mancato di rilevare – per lo stesso motivo, consistente nella sottrazione alla Regione del potere decisorio in ordine allo strumento urbanistico – come "non appropriata" l’integrazione al regolamento in materia di sportello unico per le imprese recata proprio dall’art. 1, comma 1, lett. k, del d.P.R. 440, oggetto del presente giudizio, là dove dispone, per l’ipotesi di pronuncia definitiva del consiglio comunale sulla proposta di variante dello strumento urbanistico, che "non è richiesta l’approvazione della Regione, le cui attribuzioni sono fatte salve dall’art. 14, comma 3-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241".
Premesso che il regolamento impugnato si deve intendere adottato sulla base dell’art. 20 della legge n. 59 del 1997, la Regione V. esclude che la lesione delle competenze regionali sia da ricondurre a quest’ultima disposizione. Infatti, proprio in relazione al citato art. 20, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 408 del 1998, ha argomentato che esso non può assumere un significato "che riguardi o comprenda l’attitudine di future norme regolamentari statali a disciplinare materie di competenza regionale". Vero è che successivamente, in apparente contrasto con questa decisione interpretativa della Corte, il Parlamento, con l’art. 1, comma 4, lett. a, della legge 24 novembre 2000, n. 340, ha novellato il comma 2 dell’art. 20, il quale ora dispone che "nelle materie di cui all’articolo 117, primo comma, della Costituzione, i regolamenti di delegificazione trovano applicazione solo fino a quando la Regione non provveda a disciplinare autonomamente la materia medesima"; ma anche tale previsione sarebbe stata oggetto di un’interpretazione "adeguatrice" della Corte costituzionale, che ha chiarito, con la sentenza n. 376 del 2002, come la delegificazione sia solo "lo strumento adottato dal legislatore statale per realizzare l’obiettivo della semplificazione dei procedimenti nell’ambito di ciò che era già disciplinato dalle leggi statali precedentemente in vigore (…). La sostituzione, in parte qua, con norme regolamentari riguarda esclusivamente le preesistenti disposizioni di leggi statali (…): e dunque (…) le disposizioni di leggi statali che già operavano nelle materie di competenza regionale". Nella sentenza n. 376 del 2002 – prosegue la ricorrente – la Corte ha quindi escluso che i regolamenti statali di delegificazione, adottati ai sensi dell’art. 20 della legge 59 del 1997, abbiano l’attitudine ad abrogare o ad invalidare le leggi regionali vigenti, potendo solamente sostituirsi a preesistenti norme statali di dettaglio cedevoli; è questa, ad avviso della Corte, "l’unica lettura della norma (…) che si rivela coerente con il sistema e con i presupposti costituzionali".
Così interpretato, allora, l’art. 20 della legge n. 59 del 1997 non si presterebbe, secondo la Regione, ad offrire copertura ad un regolamento che interferirebbe con procedimenti amministrativi già disciplinati da leggi regionali.
Né, contrariamente a quanto eccepito dall’Avvocatura, si potrebbe far dipendere l’inammissibilità del conflitto dalla mancata impugnazione, da parte della Regione, del regolamento del 1998, ora modificato dal d.P.R. n. 440 del 2000; e ciò sia perché nessuna preclusione relativa all’impugnabilità di un regolamento può sorgere, secondo la giurisprudenza della Corte, dalla omessa proposizione di ricorso per conflitto di attribuzione contro un precedente regolamento, del quale il secondo confermi il contenuto normativo, sia perché, comunque, il d.P.R. n. 440 modifica sostanzialmente il d.P.R. n. 447, come del resto ammette il Governo nella relazione che accompagna il provvedimento.
La Regione non condivide neppure l’osservazione dell’Avvocatura, secondo cui il regolamento impugnato si muoverebbe in ambiti di materia differenti rispetto a quelli che possono essere occupati dalla disciplina legislativa regionale, perché regolerebbe funzioni e procedimenti amministrativi disciplinati (ed in quanto disciplinati) da leggi statali. In realtà – si sostiene – il d.P.R. n. 440 del 2000 non conoscerebbe una tale limitazione, e pretenderebbe invece di assorbire nel procedimento unificato anche i procedimenti amministrativi disciplinati da leggi regionali.
In ordine al motivo di illegittimità derivante dalla mancata acquisizione dei pareri delle Commissioni parlamentari, la Regione esclude l’ipotesi che detti pareri non fossero giuridicamente necessari, in quanto il regolamento sarebbe intervenuto in materia già delegificata dal precedente d.P.R. n. 447 del 1998.
La prassi parlamentare non solo non deporrebbe a favore della tesi dell’Avvocatura, ma darebbe sostegno alla contraria opinione, sostenuta dalla Regione. A prescindere dalla prassi, e da un punto di vista generale, la ricorrente osserva che la Costituzione non affida al Governo un potere regolamentare proprio, e che esiste soltanto un potere che all’Esecutivo è affidato dalla legge in relazione ad oggetti determinati. In una forma di governo parlamentare tendenzialmente monistica il potere normativo è riservato al Parlamento, ed il Governo ne dispone soltanto ove gli sia conferito; ma l’enucleazione di una indistinta materia di competenza regolamentare, coincidente con lo "spazio" già regolato da norme secondarie, contrasterebbe con l’idea dell’attribuzione determinata.
Da un punto di vista sostanziale, poi, non vi sarebbe alcuna ragione per limitare la previsione del parere delle Commissioni parlamentari al primo atto di esercizio della potestà regolamentare, ed è invece da presumere che l’attività consultiva vada esercitata in relazione ad ogni successiva attivazione della medesima potestà, in quanto al controllo delle Camere su atti del Governo non dovrebbe mai, in un sistema parlamentare, essere riconosciuto carattere eccezionale.
Secondo la Regione, il vizio procedimentale può essere rilevato anche con lo strumento del conflitto di attribuzione, giacché la previsione del parere parlamentare rappresenterebbe una almeno parziale compensazione dell’incidenza dei regolamenti statali nelle materie regionali e, pertanto, l’omessa adozione del parere configurerebbe una violazione delle attribuzioni della Regione.
5. – Ricevuta comunicazione di pendenza del procedimento, la Regione V. ha depositato istanza di trattazione del ricorso (ai sensi e per gli effetti dell’art. 9, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131), ritualmente notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e all’Avvocatura generale dello Stato.
Considerato in diritto
1. – La Regione V. (r. confl. n. 13 del 2001) e la Regione L. (r. confl. n. 14 del 2001) hanno sollevato conflitto di attribuzioni in relazione al d.P.R. 7 dicembre 2000, n. 440 (Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 20 ottobre 1998, n. 447, in materia di sportelli unici per gli impianti produttivi).
La Regione V. sostiene, in sintesi, che le disposizioni del regolamento impugnato – con l’estendere l’applicabilità della disciplina in questione agli impianti produttivi in senso ampio, comprensivi di quelli agricoli, commerciali, turistici e alberghieri; con la trasformazione da necessario e deliberativo ad eventuale ed istruttorio del ruolo delle amministrazioni diverse dal Comune; con l’assegnazione alla struttura comunale di tutte le funzioni di controllo; con la previsione che al collaudo degli impianti provvedano i tecnici della struttura unica comunale, e che tale struttura sia competente a riscuotere il pagamento delle spese e dei diritti in relazione al procedimento, nonché a distribuire le relative somme fra le altre amministrazioni che abbiano svolto attività istruttorie – violino, in primo luogo, gli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione (nel testo anteriore alla riforma di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001), in quanto un regolamento governativo, come è l’atto impugnato, non potrebbe contenere norme miranti a limitare o vincolare la competenza delle Regioni nelle materie ad esse attribuite; violino, in secondo luogo, le medesime norme costituzionali sotto il profilo della mancata acquisizione da parte del Governo del parere delle competenti Commissioni parlamentari, prescritto dall’art. 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59, sulla cui base sarebbe stato emanato il regolamento impugnato; ledano, in terzo luogo, le competenze regionali di cui agli artt. 117 e 118 della Costituzione, in quanto si riferiscono a tutti gli impianti produttivi, anche relativi a materie di competenza regionale, e in quanto degraderebbero le funzioni degli enti diversi dal Comune a compiti meramente consultivi e istruttori; contrastino, in quarto luogo, con le stesse norme legislative disciplinanti la materia, e precisamente con l’art. 20, comma 8, della legge n. 59 del 1997, che avrebbe legittimato i regolamenti di delegificazione solo in materia di impianti e attività industriali, e non autorizzerebbe il trasferimento, con regolamenti, di nuove funzioni dalle Regioni agli enti locali in materie di competenza regionale; nonché con gli articoli da 23 a 27 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, da intendersi nel senso che il conferimento di funzioni ai Comuni dovrebbe limitarsi alla "unitaria convergenza procedimentale", ferma restando la titolarità delle rispettive funzioni in capo agli enti cui esse sono ordinariamente demandate. Infine, sarebbero violate le competenze legislative e amministrative attribuite alle Regioni ai sensi degli articoli 117, secondo comma (potestà legislativa delegata), e 118, secondo comma (funzioni amministrative delegate) della Costituzione, per quanto riguarda impianti e attività incidenti su materie diverse da quelle proprie delle Regioni; e sarebbe altresì violato l’art. 119 della Costituzione, in quanto il regolamento pretenderebbe di sostituire le leggi regionali in materia di spese e di prestazioni imposte, che concorrono a concretare l’autonomia finanziaria delle Regioni, e ciò senza base in norme di rango legislativo.
A sua volta la Regione L. (r. confl. n. 14 del 2001) lamenta che il regolamento impugnato, là dove modifica l’art. 4, commi 1 e 5, del d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447, conferendo al Comune il potere discrezionale di provvedere direttamente ovvero di chiedere alle amministrazioni di settore quelli che vengono chiamati "atti istruttori" o "pareri tecnici", invada le competenze regionali, vuoi ponendo nel nulla la distribuzione di competenze operata dalla Regione con proprie leggi in attuazione del d.lgs. n. 112 del 1998, vuoi mutando il valore sostanziale degli atti del procedimento intervenienti in materie regionali, degradandoli da provvedimenti ad atti istruttori o pareri tecnici, dunque ad atti endoprocedimentali. In ogni caso il regolamento non potrebbe incidere sulle materie regionali. Inoltre, secondo la ricorrente, sarebbe violato il principio di leale collaborazione in quanto non sarebbe stato rispettato l’accordo sancito nella Conferenza unificata sui criteri applicativi della normativa in materia, e non sarebbe stato acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, previsto dall’art. 20 della legge n. 59 del 1997.
2. – I due giudizi, aventi lo stesso oggetto, devono essere riuniti per essere decisi con unica pronunzia; e, trattandosi di ricorsi proposti prima dell’entrata in vigore della riforma del titolo V della seconda parte della Costituzione, recata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, in riferimento quindi ai parametri all’epoca vigenti, nella decisione si deve avere riguardo esclusivamente a questi ultimi (cfr. sentenze n. 13 e n. 39 del 2003).
3. – La Regione L. ha successivamente rinunciato al ricorso, con atto notificato al resistente Presidente del Consiglio dei ministri e depositato il 23 aprile 2003: la deliberazione della Giunta regionale, allegata all’atto di rinuncia, dà atto che l’interesse della Regione al ricorso è venuto meno a seguito della sentenza di questa Corte n. 376 del 2002, la quale, nell’interpretare le norme legislative in materia di "sportello unico", avrebbe riconosciuto le competenze regionali rivendicate con il ricorso per conflitto.
La rinuncia è stata accettata con delibera del Consiglio dei ministri in data 2 maggio 2003.
Pertanto, per quanto riguarda il ricorso della Regione L., il relativo giudizio deve essere dichiarato estinto per rinunzia.
4. – Il ricorso della Regione V. è inammissibile.
4.1. – Il cosiddetto sportello unico per gli impianti produttivi è stato introdotto e disciplinato per la prima volta dagli articoli da 23 a 27 del d.lgs. n. 112 del 1998, attribuendo ai Comuni le funzioni amministrative concernenti la realizzazione, l’ampliamento e la localizzazione di impianti produttivi (art. 23, comma 1). I Comuni, singoli o associati, esercitano tali funzioni assicurando che un’unica struttura sia responsabile dell’intero procedimento (art. 24, comma 1). Unico è il procedimento di autorizzazione dell’insediamento produttivo, previa istruttoria che ha ad oggetto, in particolare, i profili urbanistici, sanitari, della tutela ambientale e della sicurezza (art. 25, comma 1). Lo "sportello unico" è istituito presso la struttura unica per garantire agli interessati l’accesso all’archivio informatico dei dati e delle informazioni (art. 24, comma 2). È demandata a regolamenti "di delegificazione" e di semplificazione dei procedimenti amministrativi, emanati ai sensi dell’art. 20, comma 8, della legge n. 59 del 1997, la disciplina del procedimento (art. 25, comma 2).
Successivamente la legge 24 novembre 2000, n. 340 ha introdotto nel d.lgs. n. 112 del 1998 un articolo 27-bis, che prevede l’adozione delle misure organizzative necessarie per lo snellimento delle attività istruttorie destinate a confluire nel procedimento unico, al fine di assicurare il coordinamento dei termini di queste con i termini di cui al regolamento.
Su tale art. 27-bis (dopo che la sentenza n. 206 del 2001 ha dichiarato parzialmente illegittimo l’art. 25 del decreto legislativo n. 112 del 1998, nella parte in cui prevedeva una pronuncia definitiva del consiglio comunale sulle proposte di variante dello strumento urbanistico anche quando vi fosse il dissenso della Regione) è intervenuta la sentenza di questa Corte n. 376 del 2002, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Regione L., che lamentava, con censure non molto diverse da quelle mosse nel presente giudizio, una surrettizia "degradazione" delle funzioni degli enti diversi dal Comune da deliberanti e necessarie a istruttorie ed eventuali.
La Corte ha osservato in quell’occasione (par. 8 del Considerato in diritto) che le competenze in materia sono configurate negli articoli da 23 a 27 del d.lgs. n. 112 del 1998, prevedendo "un iter procedimentale unico in cui confluiscono e si coordinano gli atti e gli adempimenti, facenti capo a diverse competenze, richiesti dalle norme in vigore perché l’insediamento produttivo possa legittimamente essere realizzato", in tal senso trasformando quelli che erano in precedenza "autonomi provvedimenti" in "atti istruttori" al fine "dell’adozione dell’unico provvedimento conclusivo, titolo per la realizzazione dell’intervento richiesto", senza che ciò significhi il venir meno delle "distinte competenze" e delle "distinte responsabilità delle amministrazioni deputate alla cura degli interessi pubblici coinvolti".
4.2. – In questo quadro legislativo nazionale, tuttora immutato, è intervenuto il regolamento impugnato, che apporta alcune modifiche ed integrazioni al regolamento emanato con il d.P.R. n. 447 del 1998. Quest’ultimo, come si è detto, è un regolamento di "delegificazione", destinato a disciplinare il procedimento previsto dagli articoli da 23 a 27-bis del d.lgs. n. 112 del 1998.
Sulla natura e sui caratteri di tali regolamenti si è espressa in generale questa Corte nella già citata sentenza n. 376 del 2002, chiarendone, alla luce del testo costituzionale antecedente alla novella di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001, la portata e i limiti nelle ipotesi in cui essi vengano ad interferire in materie di competenza regionale. In particolare, si è affermato (par. 6 del Considerato in diritto) che la delegificazione "riguarda (…) e può riguardare – oltre a disposizioni di leggi statali regolanti oggetti a qualsiasi titolo attribuiti alla competenza dello Stato – solo disposizioni di leggi statali che, nelle materie regionali, già avessero carattere di norme di dettaglio cedevoli la cui efficacia si esplicava nell’assenza di legislazione regionale"; e che "l’emanazione dei regolamenti statali di delegificazione, riguardanti eventualmente ambiti materiali di competenza regionale, non ha alcun effetto abrogativo né invalidante sulle leggi regionali in vigore (…), né produce effetti di vincolo per i legislatori regionali".
4.3. – Alla luce di tali considerazioni, è palese che i regolamenti di delegificazione emanati prima della entrata in vigore del nuovo titolo V della parte II della Costituzione non si presentano, in linea di principio, come idonei a produrre lesioni delle competenze regionali. Ma se è così, anche ai regolamenti emanati, sempre prima dell’entrata in vigore della riforma costituzionale, per modificare norme dei preesistenti regolamenti di delegificazione – come il regolamento qui impugnato –, non può che riconoscersi la stessa limitata portata e lo stesso carattere. Anch’essi dunque, in linea di principio, non incidono sulla legislazione regionale tuttora applicabile, in quanto rispettosa dei principi fondamentali recati dalla legislazione statale, e non vincolano i legislatori regionali.
L’atto impugnato si rivela pertanto, a prescindere dal suo contenuto, inidoneo a ledere le competenze delle Regioni: a tale carenza di lesività consegue la inammissibilità del conflitto.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
a. dichiara estinto il processo instaurato con il ricorso della Regione L. (r. confl. n. 14 del 2001) indicato in epigrafe;
b. dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione proposto dalla Regione V. con il ricorso indicato in epigrafe (r. confl. n. 13 del 2001).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 2003.
Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2003.

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