Corte Costituzionale, Sentenza n. 379 del 2003 PARLAMENTO Conflitto di attribuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 30 gennaio 2001 e depositato il successivo 12 febbR. o, nell’ambito di un procedimento civile per risarcimento del danno da diffamazione promosso dal dott. S. B. e dalla signora A. G. nei confronti del deputato D. G., il Tribunale di Roma ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati a seguito della delibera adottata dall’assemblea nella seduta del 25 marzo 1999 (doc. IV – quater, n. 67), secondo cui le dichiarazioni per le quali è in corso il procedimento concernono opinioni espresse dal membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, con conseguente insindacabilità a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il 10 novembre 1998, si legge nel ricorso, l’onorevole G. aveva presentato alla Presidenza della Camera dei deputati un’interrogazione a risposta scritta del seguente tenore rivolta ai Ministri delle comunicazioni e del tesoro: "Per sapere se risponde a verità che la società E., che fornisce servizi alla TV di Stato, abbia alle sue dipendenze la signora A. G., attuale moglie del dott. S. B., consigliere di amministrazione della R. T., o se la signora A. G. intrattenga ad altro titolo un rapporto di lavoro o di consulenza con la TV di Stato; (…) perplessità di natura deontologica sorgono in merito alla consulenza tra la società E. e la R. , in quanto il dott. B. è membro del consiglio di amministrazione della R. T.. Se infine risponde a verità che alcune strutture della R. siano state sollecitate ad accendere collaborazioni o consulenze con la società E.. L’interrogante chiede di sapere se sponsorizzare direttamente o indirettamente società collegate al gruppo familiare rientra nei compiti istituzionali di un membro del consiglio di amministrazione della TV di Stato: se i contratti stipulati dalla società E. con la R. sono stati esaminati dal consiglio di amministrazione della TV di Stato e quali osservazioni siano state eventualmente formulate dal collegio dei sindaci".

Nel giudizio civile gli attori si dolevano che nella medesima data, prima che vi fosse stata la pronuncia sull’ammissibilità dell’interrogazione, l’onorevole G. avesse disposto la diffusione di un comunicato stampa nel quale dava notizia della sua iniziativa, caricata di affermazioni diffamatorie, quali "Consulenze a familiari, concubine e amici"; "silenzio su un caso sospetto di consulenze R. a familiari di manager della TV di Stato"; "la moglie del consigliere B. sarebbe alle dipendenze o consulente della soc. E. che collabora con la TV di Stato"; "malignità, ma anche circostanze quantomeno sospette"; "ecco la R. dell’Ulivo sempre pronta a gratificare parenti ed amici. Dell’Ulivo s’intende". Malgrado la smentita diffusa dal dott. B. nella giornata del 10 novembre (con la precisazione che la signora G. aveva interrotto ogni rapporto con la soc. E. prima ancora che il marito assumesse la carica di consigliere), il giorno successivo il quotidiano Roma aveva riportato la notizia dell’interrogazione parlamentare, riferendo anche delle accuse mosse al dott. B..

Il Tribunale, dopo aver ricordato che l’interrogazione dell’onorevole G. veniva dichiarata non ammissibile ex articolo 139-bis del regolamento della Camera, esulando la materia da quelle affidate alla competenza e alle responsabilità proprie del Governo nei confronti del Parlamento, osserva che l’Assemblea, nella seduta del 25 marzo 1999, ha affermato, in ordine ai fatti oggetto del giudizio civile, la sussistenza della prerogativa parlamentare di cui all’articolo 68, primo comma, della Costituzione, su conforme proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere. Ciò sul rilievo, come si legge nella relazione della Giunta, che le affermazioni dell’onorevole G. costituirebbero esse stesse, indipendentemente dalla pregressa presentazione di un atto ispettivo, un’attività di critica, di ispezione e di denuncia che di per sé può ricomprendersi tra quelle proprie del parlamentare, mentre sulla particolare gravità dell’offesa sarebbe prevalente la considerazione del fatto che le dichiarazioni del deputato "si inseriscono in un contesto prettamente politico ed hanno per contenuto notizie e valutazioni di preminente interesse politico".

Ad avviso del Tribunale, la Camera avrebbe esercitato illegittimamente il proprio potere, giacché la prerogativa dell’insindacabilità non copre tutte le opinioni espresse dal parlamentare nello svolgimento della sua attività politica, ma soltanto quelle legate da nesso funzionale con le attività svolte nella sua qualità di membro della Camera.

In proposito il ricorrente, ricostruiti la finalità ed il contenuto della prerogativa dell’insindacabilità, richiama la giurisprudenza di questa Corte, per affermare che la garanzia costituzionale non si estenderebbe a tutti i comportamenti di chi sia membro delle Camere, ma solo a quelli funzionali all’esercizio delle attribuzioni proprie del Parlamento. Oggetto di protezione non sarebbe l’attività politica in genere del parlamentare ampiamente considerata, né il contesto politico, ma l’esercizio della funzione parlamentare e delle attività consequenziali e presupposte, funzioni che devono esprimersi in ambito e modi giuridicamente definiti. Non basterebbe, secondo il Tribunale, il semplice collegamento di argomento o di contesto tra attività parlamentare e dichiarazione, ma occorrerebbe l’identificabilità della dichiarazione stessa quale espressione di attività parlamentare.

La delibera dell’Assemblea da cui è sorto il conflitto, ad avviso del ricorrente, si collocherebbe, per la sua stessa motivazione, in insanabile contrasto con tali principi, il cui rispetto è condizione per il valido esercizio del potere parlamentare di dichiarare l’insindacabilità. La non pertinenza della domanda di interrogazione alla funzione ispettiva parlamentare e l’indebita diffusione del testo collocherebbero l’iniziativa dell’onorevole G. in un ambito improprio, «in quanto viziata sotto il profilo funzionale». Pertanto, le opinioni espresse dal deputato nella presente vicenda sarebbero manifestazione di pensiero riconducibile solo all’esercizio di attività politica in genere, come tale non protetta.

2.– Il conflitto è stato dichiarato ammissibile da questa Corte con ordinanza n. 312 del 2001, ritualmente notificata con l’atto introduttivo alla Camera dei deputati, e il ricorso è stato successivamente depositato, nei termini assegnati, con la prova dell’avvenuta notifica.

3.– Si è costituita la Camera dei deputati, chiedendo che la Corte dichiari il conflitto irricevibile ovvero inammissibile e, in subordine, dichiari spettante alla Camera dei deputati il potere di affermare l’insindacabilità delle opinioni espresse dall’onorevole G. per le quali pende il giudizio civile da cui è sorto il conflitto.

Dopo aver ricostruito i fatti dai quali prende origine il giudizio, la difesa della Camera eccepisce, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso, per la omessa "indicazione delle norme costituzionali che regolano la materia", così come prescritto dall’art. 26 delle Norme integrative. A giudizio della resistente, infatti, nel caso di specie sarebbe mancante anche la più circoscritta prospettazione della violazione dell’art. 68 della Costituzione. L’eccezione non potrebbe essere superata neanche osservando che una citazione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione compare comunque nel corpo dell’atto introduttivo, là dove il giudice riporta le motivazioni che sorreggono la delibera dell’organo parlamentare, poiché non sarebbe sostenibile "che l’atto introduttivo del giudizio per conflitto sia persino sollevato dall’onere di fornire una autonoma e specifica indicazione del (solo) art. 68, primo comma, della Costituzione, e che una simile presa di posizione non potrebbe essere surrogata nemmeno da un tentativo di indicazione per relationem, ma dalla assolutamente casuale comparsa di tale disposizione costituzionale in qualunque modo ed a qualunque scopo essa avvenga".

Nel merito, i rilievi mossi dal Tribunale ricorrente nei confronti della delibera di insindacabilità sarebbero infondati. Anzitutto, secondo la difesa della resistente, per implicita ma inequivoca ammissione dello stesso ricorrente, guardando al contenuto sostanziale delle dichiarazioni esterne risulterebbe incontestabile che tra esse e la pregressa interrogazione parlamentare intercorra un rapporto di pressoché perfetta identità, il che esimerebbe da ogni ulteriore onere probatorio sul punto. La garanzia parlamentare sarebbe dunque applicabile al caso di specie.

Un così stringente nesso di collegamento tra la dichiarazione esterna e l’atto ispettivo non potrebbe essere infranto, e addirittura cancellato, dalla pronunzia di inammissibilità intervenuta (solo successivamente alla effettuazione del comunicato stampa) a carico dell’atto ispettivo ai sensi dell’art. 139-bis del regolamento della Camera. Antecedentemente alla pronunzia di inammissibilità, infatti, il nesso di funzionalità tra la dichiarazione esterna e l’attività parlamentare si sarebbe già instaurato, e, ciò che più conta, avrebbe conosciuto nella concretezza dei rapporti tra rappresentanti ed opinione pubblica la sua piena e definitiva realizzazione. Si sarebbe dunque già determinata l’attivazione della garanzia della insindacabilità, e le vicende interne all’ordinamento parlamentare che abbiano interessato ex post l’atto ispettivo non potrebbero essere assunte dal giudice allo scopo di disconoscere un effetto qualificatorio già determinatosi nella dimensione squisitamente costituzionale e con riferimento ad opinioni situate all’esterno dei confini parlamentari. La questione generale riguardante l’opportunità che i parlamentari procedano alla divulgazione del contenuto degli atti ispettivi presentati prima della certezza sul punto della loro ammissibilità resterebbe comunque circoscritta all’interno dell’ordinamento parlamentare, ed alle misure eventualmente da esso previste all’uopo.

In ogni caso, secondo la difesa della Camera, sarebbe fuori misura la tesi secondo cui l’operatività della garanzia costituzionale della insindacabilità delle opinioni esterne, sotto il profilo della loro correlazione con l’attività parlamentare, sia postulabile esclusivamente in presenza di atti che abbiano superato positivamente il vaglio di ammissibilità. La funzione precipua della valutazione prevista dall’art. 139-bis del regolamento della Camera andrebbe infatti inquadrata alla luce della ricostruzione prevalente che considera tutte le attività ispettive quali attribuzioni dell’organo collegiale, ma subordinate, nel caso delle interrogazioni e delle interpellanze, all’iniziativa del singolo membro del collegio medesimo. Così inquadrata, detta funzione risulterebbe volta a verificare l’idoneità della iniziativa ispettiva assunta dal singolo parlamentare a sollecitare l’esercizio della attribuzione collegiale, convertendosi dunque da manifestazione tipica della esigenza individuale di conoscenza in attività rogatoria dell’organo complessivamente inteso. Ne risulterebbe che in un caso come quello di specie, di controllo negativo per la estraneità della materia all’ambito del rapporto fiduciario con il Governo, non verrebbe negata la identificabilità dell’atto di iniziativa come tale e come esercizio di funzione spettante al singolo parlamentare, nonostante che l’atto sia inidoneo a guadagnare la visibilità collegiale a cui aspirava.

La resistente conclude ricordando come l’attenzione critica nei confronti dell’attività gestionale della R. espressa nell’atto di cui si tratta non rappresenterebbe un accadimento isolato, come è comprovato dall’impegno complessivo posto in essere dallo stesso deputato G. su tali temi. A dimostrazione di ciò, vengono richiamati alcuni interventi sul punto svolti dal parlamentare e contenuti in diversi atti ispettivi situati fra il 1996 e il 2000, prodotti nel giudizio davanti alla Corte. Osserva quindi che non potrebbe assumere alcun rilievo ostativo alla operatività della garanzia della insindacabilità il fatto che la Camera non abbia valorizzato la valenza probatoria di tali atti ovvero non li abbia riferiti in termini circostanziati allo scopo di asseverare il rapporto di collegamento tra impegno politico esterno ed attività interne alla sede parlamentare. Nei recenti sviluppi della giurisprudenza costituzionale, infatti, il giudizio sul conflitto tra poteri si configurerebbe quale scrutinio sulla effettiva sussistenza dei presupposti di operatività dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, e non già sulla mera esistenza o sufficienza della motivazione della Camera.

4.– All’esito della discussione del conflitto, questa Corte, con ordinanza istruttoria del 10 luglio 2002, rilevato che l’interrogazione dalla quale, secondo le parti, traggono origine le dichiarazioni per le quali si procede ed il provvedimento del Presidente della Camera che l’aveva dichiarata inammissibile non risultavano agli atti del giudizio, non essendo stati prodotti, invitava la Camera a produrre tanto l’interrogazione presentata il 10 novembre 1998 che il provvedimento della Presidenza che ne aveva valutato la non ammissibilità.

Con comunicazione del 26 settembre 2002 il Presidente della Camera riteneva di non poter accedere all’invito formulato da questa Corte, sul rilievo che l’atto ispettivo in discorso, essendo stato dichiarato non ammissibile e non essendo quindi stato pubblicato negli "Atti parlamentari", non era qualificabile come interrogazione, bensì come una manifestazione di opinione del deputato interessato nell’esercizio di una facoltà prevista dall’ordinamento parlamentare. Precisava comunque che il contenuto dei documenti richiesti era correttamente riportato nella relazione della Giunta per le autorizzazioni che aveva costituito l’atto parlamentare con il quale era stata introdotta la discussione in Assemblea che aveva condotto alla deliberazione di insindacabilità in questione.

5.– In prossimità dell’udienza ha depositato memoria la Camera dei deputati, insistendo perché il ricorso sia respinto in quanto inammissibile, improcedibile o comunque infondato.

Dopo aver precisato che il contenuto dell’interrogazione dell’onorevole G., divulgata dal parlamentare prima che fosse dichiarata inammissibile, e richiesta alla Camera con ordinanza di questa Corte, era "correttamente riportato nella relazione della Giunta per le autorizzazioni che ha costituito l’atto parlamentare con il quale è stata introdotta la discussione in Assemblea che ha condotto alla deliberazione di insindacabilità in questione", la memoria si sofferma sull’idoneità della dichiarazione del Presidente dell’organo parlamentare ad attestare che il contenuto dell’interrogazione inammissibile è esattamente quello di cui alla relazione della Giunta.

Osserva in proposito che, secondo i principi dell’ordinamento processuale, ai documenti scritti con i quali la pubblica amministrazione fornisce all’organo giudicante le informazioni "relative agli atti o documenti dell’amministrazione stessa" viene riconosciuta una piena valenza certificatoria, valendo dette informazioni a surrogare la "acquisizione al processo" dei medesimi atti e documenti cui esse si riferiscono, sicché, anche in virtù del principio di leale cooperazione tra poteri, le informazioni scritte intercorrenti fra organi costituzionali avrebbero piena valenza probatoria, tanto più quando attengano, come nella specie, agli interna corporis delle Camere e provengano dal Presidente che presieda allo svolgimento dell’attività di una di esse (viene citata, in proposito, la sentenza n. 9 del 1959 di questa Corte, in tema di difformità fra il testo di legge approvato da una Camera e quello trasmesso all’altra).

La difesa della resistente osserva poi come il Giudice ricorrente, che non muove contestazioni in ordine al contenuto dell’interrogazione del parlamentare, ha riprodotto l’atto nel ricorso, assegnando a tale trascrizione il compito di individuare, attraverso un rinvio per relationem, il nucleo centrale delle opinioni esterne espresse nel comunicato stampa mediante il quale l’on. G. "dava notizia della sua iniziativa" parlamentare. Nell’ipotesi in cui questa Corte ritenesse inutilizzabile tale atto interno della Camera come riprodotto nel ricorso – non essendo stato esso prodotto in originale dalla resistente –, "verrebbe in evidenza un vizio di inammissibilità del ricorso", perché "privo dell’enunciazione, oltre che dell’opinione espressa intra moenia, anche della dichiarazione esterna riproduttiva che, per ammissione dello stesso Tribunale, con la prima coincide pressoché perfettamente" (vengono richiamate, sul punto della necessaria esposizione nel ricorso delle "specifiche dichiarazioni contestate", le sentenze n. 264 del 2000 e n. 87 del 2002).

La sussistenza, nella specie, dei presupposti di operatività della garanzia costituzionale dell’insindacabilità, prosegue la resistente, troverebbe conferma nel fatto che lo stesso Tribunale ricorrente afferma la pressoché perfetta identità fra l’interrogazione presentata ed il comunicato stampa, esentando da ogni ulteriore onere probatorio sul punto; né, d’altronde, potrebbe escludersi la garanzia costituzionale anche là dove le dichiarazioni esterne contengano, come tutt’al più sarebbe avvenuto nel caso di specie, "l’indicazione, accanto al contenuto principale, di circostanze di contorno, di per sé prive di autonomo significato" (così la sentenza n. 320 del 2000).

Nella memoria si contesta, poi, che il nesso di collegamento fra dichiarazione interna ed esterna possa essere spezzato dalla inammissibilità dell’atto ispettivo – dichiarata successivamente alla sua divulgazione da parte del presentatore –, in quanto, nondimeno, l’interrogazione non ammissibile deve considerarsi manifestazione d’opinione del deputato nell’esercizio di una facoltà prevista dall’ordinamento parlamentare, non potendo l’esito del vaglio di cui all’art. 139-bis del regolamento "negare l’identificabilità dell’atto di iniziativa come tale, ossia come esercizio di funzione spettante al singolo parlamentare". Ciò sarebbe vieppiù avvalorato dalla legge 20 giugno 2003, n. 140, che all’art. 3, comma 1, fra gli atti suscettibili di avvalersi della garanzia costituzionale, espressamente indicherebbe la semplice "presentazione" degli atti di carattere ispettivo, indipendentemente dagli esiti cui essa può mettere capo.

La garanzia prevista dall’art. 68, primo comma, della Costituzione, d’altra parte, secondo la sentenza n. 219 del 2003, si attiverebbe anche nei confronti di atti del tutto innominati, di ogni atto non previsto dai regolamenti parlamentari, ma, ciò nonostante, espressivo della partecipazione del parlamentare alla Camera di appartenenza.

L’attivazione della garanzia costituzionale, conclude la difesa della resistente, si era quindi determinata prima della pronuncia di inammissibilità dell’interrogazione, ricevendo medio tempore la dichiarazione data alla stampa una qualificazione costituzionale, di atto divulgativo di attività parlamentare, ormai definitiva ed irretrattabile.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale civile di Roma, investito di un giudizio per risarcimento di danni che sarebbero stati ingiustamente prodotti, a carico del dott. S. B. e dalla signora A. G., da alcune dichiarazioni del deputato D. G., ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla deliberazione di questa in data 25 marzo 1999, con la quale l’Assemblea ha dichiarato che le dichiarazioni contestate sono state espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, e sono dunque coperte dalla insindacabilità prevista dall’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Si trattava di un comunicato stampa diffuso dall’on. G., e ripreso dal quotidiano Roma, in cui si dava notizia di una interrogazione presentata dal medesimo alla Camera, e ci si riferiva a presunti rapporti contrattuali fra una società, a cui sarebbe stata collegata la signora G., e la R. T., del cui consiglio di amministrazione faceva parte il dott. B., coniuge della medesima.

Come risulta in modo non controverso dagli atti di causa, ed è stato confermato anche all’esito dell’istruttoria disposta dalla Corte con ordinanza del 10 luglio 2002, l’on. G. aveva effettivamente presentato l’interrogazione – il cui testo è riportato integralmente nella relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati, sulla base della quale è stata adottata la delibera impugnata, e quasi integralmente nel ricorso introduttivo del presente giudizio – alla Presidenza della Camera lo stesso giorno della divulgazione del comunicato stampa; ma essa era stata dichiarata inammissibile dalla Presidenza in quanto la materia su cui verteva (l’amministrazione della radiotelevisione pubblica) sarebbe stata estranea a quelle attribuite alla competenza e alla responsabilità del Governo nei confronti del Parlamento.

La Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, nella sua relazione del 23 marzo 1999, aveva ritenuto che le dichiarazioni dell’on. G. fossero coperte dalla insindacabilità non in quanto divulgative di un’interrogazione (atto che, secondo la Giunta, dovrebbe considerarsi "tamquam non esset", stante la sua mancata ammissione da parte della Presidenza della Camera), ma in quanto esse costituirebbero, indipendentemente dalla pregressa presentazione di un atto ispettivo, "un’attività di critica, di ispezione e di denuncia che di per sé può ricomprendersi tra quelle proprie del parlamentare".

Il Tribunale ricorrente contesta tale tesi, ritenendola in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte in tema di limiti della insindacabilità, e sostenendo che, "stante la dichiarata non pertinenza della domanda di interrogazione alla funzione ispettiva, essa stessa e l’indebita diffusione del testo collocano l’iniziativa dell’on. G. in un ambito improprio, in quanto viziata sotto il profilo funzionale, e riduce la sua esternazione a manifestazione di pensiero riconducibile solo all’esercizio di attività politica in genere, come tale non protetta". Chiede pertanto l’annullamento della delibera della Camera.

2.– Il ricorso – da ritenersi ammissibile in quanto da esso è ricavabile in modo univoco l’indicazione delle attribuzioni costituzionali di cui si lamenta la lesione – è infondato nei termini di seguito precisati.

Non può condividersi l’assunto della Giunta per le autorizzazioni a procedere, secondo cui la insindacabilità delle dichiarazioni dell’on. G. andrebbe ricondotta non già al loro carattere sostanzialmente divulgativo della interrogazione presentata, ma – prescindendo del tutto da quest’ultima – alla circostanza che esse sono espressione di un’attività di critica e di denuncia politica.

La possibilità di riconoscere il nesso, che condiziona l’insindacabilità dell’opinione espressa, fra la dichiarazione per cui è giudizio e l’esercizio delle funzioni parlamentari dipende nella specie, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, dal fatto che la "richiesta di interrogazione", presentata dall’on. G. alla Presidenza della Camera, debba o meno considerarsi atto di esercizio delle funzioni del parlamentare. Infatti il Tribunale ricorrente non contesta la sostanziale corrispondenza di contenuto fra la dichiarazione esterna – il comunicato stampa diffuso dall’on. G. – e il testo della richiesta di interrogazione (che in effetti si riferiva agli stessi fatti e conteneva sostanzialmente le stesse valutazioni critiche presenti nel comunicato, ancorché espresse con parole diverse): ma contesta che possa ricondursi alle funzioni parlamentari la interrogazione presentata dal deputato, a causa della dichiarata inammissibilità della medesima.

E’ questa la sostanza della controversia oggetto del presente giudizio: ritiene, infatti, il Tribunale ricorrente che, stante la mancata ammissione dell’interrogazione, la sua presentazione, e quindi la sua diffusione, risulti estranea alla funzione parlamentare; ritiene invece la difesa della Camera che l’interrogazione presentata costituisca pur sempre esercizio di funzione parlamentare, e che dunque ne consegua la insindacabilità della stessa, indipendentemente dal successivo provvedimento presidenziale di non ammissione, motivato del resto, si sottolinea, da ragioni attinenti non alla formulazione in sé dell’atto, ma alla estraneità del suo oggetto all’ambito della responsabilità del Governo verso il Parlamento.

3.– Il potere di presentare interrogazioni, rivolte al Governo, domandando "se un fatto sia vero, se alcuna informazione sia giunta al Governo, o sia esatta, se il Governo intenda comunicare alla Camera documenti o notizie o abbia preso o stia per prendere alcun provvedimento su un oggetto determinato" (così l’art. 128 del regolamento della Camera dei deputati: ma in termini analoghi l’art. 145 del regolamento del Senato), ancorché non previsto espressamente dalla Costituzione, fa parte tradizionalmente delle attribuzioni del singolo membro delle Camere, nell’ambito dell’attività e della funzione ispettivo-politica ad esse spettante. Tale potere è espressamente previsto e disciplinato dai regolamenti che le Camere si sono date, in attuazione dell’art. 64 della Costituzione, per disciplinare la propria organizzazione e attività. Si esplica attraverso la presentazione di un testo scritto al Presidente della Camera di appartenenza del parlamentare. Successivamente, compiutosi positivamente il vaglio di ammissibilità attribuito al Presidente, l’interrogazione viene annunciata all’assemblea e pubblicata nel resoconto della seduta in cui è stata annunciata; seguono la risposta del Governo, con le diverse procedure previste, e l’eventuale replica dell’interrogante.

Sul fondamento e sulla ratio del potere ispettivo, e quindi anche sull’ambito e sui limiti sostanziali in cui esso può essere esercitato, molto si è discusso e si discute, e anche la prassi parlamentare non è univoca: sta di fatto che non di rado lo strumento è utilizzato, nella sua potenzialità di acquisizione e diffusione di conoscenza e di espressione generica di valutazioni critiche di interesse pubblico, ben al di là dei confini delle sole funzioni ed attività spettanti al Governo e rientranti nell’ambito del suo rapporto fiduciario con il Parlamento.

Un vaglio del Presidente dell’assemblea sulla "ammissibilità" o sulla "proponibilità" dell’interrogazione è da tempo previsto dai regolamenti, con riguardo alla verifica della corrispondenza del testo presentato rispetto alla sua funzione, nonché alla sua formulazione, che non deve contenere espressioni "sconvenienti" (cfr. l’art. 146 del regolamento del Senato). Di recente il regolamento della Camera dei deputati è stato integrato con la specifica previsione non solo di una verifica da parte del Presidente sulla riconducibilità del contenuto dell’atto "al tipo di strumento presentato", ma altresì di una valutazione presidenziale sulla ammissibilità dell’atto "con riguardo alla coerenza fra le varie parti dei documenti, alla competenza e alla connessa responsabilità propria del Governo nei confronti del Parlamento, nonché alla tutela della sfera personale e dell’onorabilità dei singoli e del prestigio delle istituzioni", fermo restando che non sono pubblicati "gli atti che contengano espressioni sconvenienti" (art. 139-bis reg. Camera, aggiunto con delibera del 24 settembre 1997, e applicabile a interrogazioni, interpellanze, mozioni nonché, in quanto compatibile, agli altri atti di iniziativa parlamentare).

Si tratta della verifica che, nella specie, ha condotto alla dichiarazione di inammissibilità dell’interrogazione presentata dall’on. G., per l’estraneità della materia trattata all’ambito della responsabilità governativa.

Proprio l’ampiezza dei criteri del controllo preventivo del Presidente sul contenuto degli atti di iniziativa dei singoli deputati impedisce di considerare di per sé estranea all’esercizio delle funzioni del parlamentare una interrogazione presentata, per il solo fatto che essa sia stata dichiarata inammissibile dalla Presidenza, per uno qualsiasi dei motivi previsti dalla norma regolamentare: alcuni dei quali – e fra questi quello legato alla "competenza" e alla "connessa responsabilità propria del Governo nei confronti del Parlamento" – comportano valutazioni non ancorate a criteri rigorosamente predeterminati. E se il controllo inteso alla "tutela della sfera personale e dell’onorabilità dei singoli" può apparire uno strumento idoneo a equilibrare, con la protezione di questi valori nell’ambito dell’ordinamento parlamentare, la potenzialità lesiva di essi insita nella esenzione del parlamentare (prevista dall’art. 68, primo comma, della Costituzione) da ogni responsabilità giuridica per le opinioni espresse nello svolgimento del mandato, non altrettanto può dirsi di criteri come quello che restringe la sfera del potere ispettivo nei confini propri della responsabilità del Governo nei confronti del Parlamento, in cui si realizza piuttosto una regolamentazione dell’istituto in chiave funzionale, a tutela dei rapporti fra Camere ed esecutivo, che poco ha a che fare con la libertà di espressione del parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni, che l’insindacabilità tende a proteggere al massimo grado.

Se si tiene poi conto che contro la decisione presidenziale non è previsto, almeno esplicitamente, né viene praticato alcun rimedio, nemmeno in forma di appello all’assemblea, ben si comprende come legare indissolubilmente al vaglio positivo di ammissibilità la caratterizzazione dell’atto come esercizio di funzione parlamentare, e viceversa, significherebbe attribuire al Presidente della Camera un potere assoluto incidente su una prerogativa – quella della insindacabilità – che, benché indirizzata a rafforzare lo statuto dell’organo parlamentare, si riferisce pur sempre alla libertà di espressione di ogni singolo membro delle Camere.

4.– Ciò non significa, però, che qualunque testo scritto, in ipotesi presentato da un parlamentare come interrogazione, ma non ammesso dalla Presidenza, quale che ne sia il contenuto, costituisca sempre di per sé opinione da ritenersi espressa nell’esercizio delle funzioni parlamentari, come tale automaticamente coperta dalla insindacabilità.

Il vaglio negativo di ammissibilità potrebbe, in fatto, anche corrispondere alla verifica di una non riconducibilità "assoluta" dello scritto presentato all’esercizio di funzioni parlamentari, e quindi della sua estraneità alla sfera della prerogativa di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione. Occorre dunque, caso per caso, valutare il contenuto dell’atto e le ragioni della sua mancata ammissione.

Nella specie, l’uno e le altre risultano dagli atti e non sono oggetto di controversia. Lo scritto presentato dall’on. G. alla Presidenza della Camera era formulato nei termini tipici dell’interrogazione parlamentare, diretta a sapere se certi fatti fossero veri, e come essi potessero qualificarsi e fossero stati considerati sotto il profilo della correttezza amministrativa, e conteneva altresì – come frequentemente avviene – valutazioni critiche ("perplessità di natura deontologica") espresse dallo stesso parlamentare. Il suo contenuto dunque non si discostava da quello proprio di un atto di ispezione parlamentare. Esso è stato dichiarato inammissibile sol perché ritenuto afferente a materia esulante "da quelle affidate alla competenza ed alla connessa responsabilità propria del Governo nei confronti del Parlamento", in quanto la R. non era considerata "un’azienda in relazione alla quale può essere impegnata la responsabilità del Governo dinanzi al Parlamento" (così la relazione della Giunta della Camera): e ciò benché la stessa Giunta affermi, non senza ragione, non potersi negare "che il controllo sulla R. e sulla sua corretta gestione costituisca uno dei più importanti compiti propri del Parlamento e, all’interno di esso, di ciascun parlamentare".

In questo caso, dunque, deve ritenersi che l’atto compiuto dal deputato, ancorché risultato di fatto non idoneo ad avviare il procedimento ispettivo, in quanto giudicato, per le ragioni viste, non ammissibile, contenesse opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari.
E una volta che si riconosca la riconducibilità, in concreto, all’esercizio delle funzioni parlamentari dell’atto di iniziativa compiuto, la sua divulgazione, pur avvenuta prima del vaglio di ammissibilità del Presidente dell’assemblea, non fa venir meno la insindacabilità dell’opinione espressa, irrilevanti essendo, in questa sede, i problemi di correttezza nei rapporti interni al Parlamento, che hanno indotto talora la Presidenza della Camera a valutare negativamente la prassi della comunicazione al pubblico del contenuto di una interrogazione non ancora vagliata nella sua ammissibilità.
per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spettava alla Camera dei deputati deliberare che le dichiarazioni contestate al deputato G., oggetto del giudizio civile pendente davanti al ricorrente Tribunale di Roma, costituivano opinioni espresse dal deputato medesimo nell’esercizio di funzioni parlamentari, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 2003.

Depositata in Cancelleria il 30 dicembre 2003.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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