Cassazione civile anno 2005 n. 1820 Procedimento civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
Con ricorso al Pretore di Trieste, depositato in data 27 luglio 1998, la S. società cooperativa a r.l. propose opposizione avverso l’ordinanza con la quale il Direttore dell’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Trieste le aveva ingiunto il pagamento della sanzione amministrativa di lire 26.546.000, per aver effettuato il taglio di n. 436 piante di pino nero in difformità al progetto presentato e in violazione delle prescrizioni di massima e di polizia forestale vigenti nella Regione Friuli-Venezia Giulia. Espose che gli alberi furono tagliati in conformità al progetto, come verificato dal responsabile dell’esecuzione dei lavori e provato dal fatto che più volte le guardie forestali erano passate o avevano eseguito sopralluoghi, senza mai riscontrare alcuna irregolarità. Eccepì, inoltre, che l’ordinanza opposta non era motivata in modo esauriente e prescindeva totalmente dai rilievi svolti nel ricorso presentato in sede amministrativa.
Costituitosi in giudizio, l’ispettorato Ripartimentale delle foreste di Trieste chiese il rigetto dell’opposizione.
All’esito dell’istruttoria, il tribunale di Trieste in composizione monocratica, divenuto nelle more competente ai sensi dell’art. 132 del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, con sentenza 4 marzo 2001, rigettò l’opposizione, osservando – per quanto ancora interessa ai fini del ricorso – che non poteva trovare ingresso la richiesta di traduzione della sentenza in lingua slovena, formulata nella comparsa conclusionale dall’opponente – la quale, dopo aver presentato il ricorso introduttivo del giudizio in lingua slovena, si era in seguito avvalsa del ministero di un procuratore legale – dovendosi ritenere che la scelta di avvalersi di procuratore nel procedimento di opposizione a ordinanza-ingiunzione comporta la impossibilità di giustificare l’uso della lingua madre nel processo, fatta eccezione per gli atti specificamente individuati nelle norme del codice di rito che richiedano la personale partecipazione della parte.
Avverso tale sentenza la S. soc. coop. a r.l. ha proposto ricorso per Cassazione sostenuto da un unico motivo.
Resiste con controricorso l’Ispettorato Ripartimentale delle foreste di Trieste.

Motivi della decisione
Con l’unico motivo, la società ricorrente deduce la "illegittimità" della sentenza impugnata in quanto priva della traduzione in lingua slovena in violazione e falsa applicazione dell’art. 5, primo e secondo comma, dello Statuto speciale allegato al Memorandum di intesa del 5 ottobre 1954 tra i Governi di Italia, Regno Unito, Stati uniti e Jugoslavia e della legge di ratifica del Trattato internazionale di Osimo del 14 marzo 1977 n. 73, che all’art. 8 recepisce detto Statuto nell’ordinamento giuridico italiano. Dalle norma indicate – e in particolare dall’art. 5 dello Statuto speciale secondo cui "gli atti pubblici concernenti gli appartenenti ai due gruppi etnici, comprese le sentenze dei tribunali, saranno accompagnati da una traduzione nella rispettiva lingua", e dalla decisione n. 15 del 1996 della Corte Costituzionale, interpretata in maniera riduttiva dal tribunale – risulta sancito il diritto dei cittadini di lingua slovena – anche quali componenti di associazioni, persone giuridiche, società – all’uso della madre lingua pure nei rapporti con la Pubblica Amministrazione e con l’Autorità Giudiziaria, a prescindere dall’effettiva conoscenza della lingua italiana. La minoranza slovena è ora riconosciuta ufficialmente dallo Stato italiano con la legge n. 38/2001, recante "Norme di tutela in favore della minoranza slovena", per la quale rimangono in vigore le misure di tutela comunale adottate in attuazione del menzionato Statuto speciale. Essendo da tale complesso normativo riconosciuta la libertà di usare la lingua slovena nei rapporti personali ed ufficiali con l’autorità giudiziaria, le sentenze che concernono gli appartenenti alla minoranza devono essere accompagnate da una traduzione.
L’esame della censura implica la ricostruzione dal quadro degli elementi normativi, costituzionali e non, da cui si è tratto il principio della tutela minima spettante alla minoranza alloglotta di lingua slovena nei rapporti con la Pubblica Amministrazione e nel processo.
Detta minoranza è destinataria, oltre che della protezione prevista in generale dall’art. 6 della Costituzione, di quella disposta specificamente da altre norme. Alla 10^ disposizione transitoria della Costituzione – che, per il periodo anteriore all’approvazione dello statuto di autonomia speciale, prevedeva che "alla Regione del Friuli-Venezia Giulia … si applica(ssero) provvisoriamente le norme generali del Titolo 5^ della parte seconda, ferma restando la tutela delle minoranze linguistiche in conformità con l’art. 6" – ha fatto seguito l’art. 3 di tale statuto, a tenore del quale "Nella Regione è riconosciuta parità di diritti e di trattamento a tutti i cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengono, con la salvaguardia delle rispettive caratteristiche etniche e culturali".
L’art. 8 del Trattato di Osimo – che, richiamando l’indicazione dell’art. 5 dello Statuto speciale del 1954, trasferisce in una norma interna immediatamente applicabile il relativo assetto di tutela – riconosce agli appartenenti alla comunità slovena, tra l’altro: a) la libertà di usare la loro lingua nei rapporti personali e ufficiali con le autorità giudiziarie; b) il diritto di ricevere risposta nella loro stessa lingua, nelle risposte verbali, direttamente o per il tramite di un interprete; nella corrispondenza, per mezzo della traduzione delle risposte; c) la facoltà di richiedere che le sentenze dei tribunali concernenti gli appartenenti alla loro comunità linguistica siano accompagnate da una traduzione.
Con riferimento alla predetta normativa, la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 38 del 1982, ha ritenuto che la "operatività minima – della tutela delle minoranze riconosciute – e, nella specie, di quella slovena – implichi, oltre all’inammissibilità di qualsiasi sanzione che colpisca l’uso della propria lingua da parte degli appartenenti alla minoranza protetta, il diritto "di usare la lingua materna e di ricevere risposte dalle autorità in tale lingua, nelle comunicazioni verbali, direttamente o per il tramite di un interprete; nella corrispondenza, con il testo italiano accompagnato da traduzione in lingua slovena". Nella sentenza n. 62 del 1992, ha affermato che il "nucleo minimale di tutela per gli appartenenti alla minoranza riconosciuta" comprende "il diritto di usare la lingua materna nei rapporti con le autorità giurisdizionali e di ricevere risposte da quelle autorità nella stessa lingua", specificando questa affermazione (in relazione al procedimento di opposizione a ordinanza-ingiunzione davanti al pretore, regolato dagli articoli 22 e 23 della legge n. 689 del 1981) con il riconoscimento della "facoltà…, nei giudizi davanti all’autorità giudiziaria avente competenza su un territorio dov’è insediata la minoranza slovena, di usare, a… richiesta, la lingua materna nei propri atti, usufruendo per questi della traduzione nella lingua ufficiale, oltre che di ricevere in traduzione nella propria lingua gli atti dell’autorità giudiziaria e le risposte della controparte".
Con la sentenza n. 15 del 1996, cui si richiama la ricorrente, il Giudice delle leggi ha peraltro chiarito che da nessuna delle anzidetto norme costituzionali e statutarie – aventi chiara valenza aggiuntiva o esterna al processo – può trarsi un qualsiasi intento innovativo rispetto alle procedure giudiziarie e alle loro forme, giacchè "l’art. 6 della costituzione e le altre norme che si pongono a tutela delle minoranze linguistiche, da un lato, e l’art. 34 della Costituzione, dall’altro, hanno ambiti di applicazione diversi".
Mentre i diritti della difesa in giudizio, sotto il profilo in questione, sono finalizzati alla "adeguata comprensione degli aspetti processuali", potendosi supporre che questa venga a mancare "quando l’interessato non abbia in concreto una perfetta conoscenza della lingua ufficiale", "la garanzia dell’uso della lingua materna a favore dell’appartenente a una minoranza linguistica riconosciuta è, in ogni caso, la conseguenza di una speciale protezione costituzionale, accordata al patrimonio culturale di un particolare gruppo etnico e, pertanto, prescinde dalla circostanza concreta che l’appartenente alla minoranza stessa conosca o meno la lingua ufficiale (sentenza n. 62 del 1992). Conseguenze sulla validità degli atti processuali del mancato rispetto delle norme di garanzia ricollegabili al principio dell’art. 6 della Costituzione si potranno dunque avere solo nel caso di "interferenza" tra i due ordini di problemi, quando cioè, oltre ad appartenere alla minoranza linguistica, non si sia nelle condizioni di comprendere il contenuto di atti altrui compiuti nella lingua ufficiale e si sia così menomati nei propri diritti di azione e di difesa. Vi potrebbe allora essere nullità per mancanza dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo (art. 156, secondo comma, codice di procedura civile), ma in tal caso i problemi ex art. 6 perderebbero ogni autonomo rilievo, finendo per essere assorbiti in quelli ex art. 24 della Costituzione".
Poichè – come ha precisato la decisione costituizionale testè richiamata – l’art. 122 c.p.c. è rimasto immutato e la lingua italiana continua ad essere la lingua del processo, anche se si è creato un meccanismo aggiuntivo che comporta la traduzione – per quanto qui interessa – della sentenza in lingua slovena, si deve escludere che la mancata traduzione comporti la nullità della sentenza ove non impedisca il raggiungimento dello scopo a essa coessenziale – che è quello di far conoscere alle parti il contenuto delle statuizioni del giudice che l’ha pronunciata – e non determini in tal modo una menomazione del diritto alla difesa e quindi una violazione dell’art. 24 della Costituzione, una tale omissione non rappresenta, dunque, ex se causa di nullità dell’atto stesso, in quanto la traduzione costituisce un mero adempimento strumentale volto a soddisfare il diritto ad avere conoscenza dell’atto processuale al fine di approntare ogni più idonea difesa, e rileva solo se e quando questo diritto venga in concreto sacrificato (cfr.
Cass. nn. 12591/2001 e 11038/2004).
In conclusione, la mancata redazione o traduzione della sentenza in lingua slovena per la parte di quella madrelingua che ne avesse fatto richiesta non può determinare sic et simpliciter la nullità del provvedimento finale. La nullità potrebbe configurarsi solo qualora la parte deduca e dimostri che la mancata traduzione abbia impedito la conoscenza della sentenza e concretamente pregiudicato il diritto di difesa.
In sostanza, anche nella materia in esame si deve fare applicazione del principio risultante dal combinato disposto del 2^ e del 3^ comma dell’art. 156 c.p.c., ai sensi del quale la nullità può essere pronunciata solo qualora le forme adottate si rivelino, in concreto, inidonee al raggiungimento del loro scopo, nel caso di specie al rispetto del diritto di difesa della parte di lingua slovena, in ultima analisi, da un lato, viene ribadito il principio generale di strumentante delle forme e, dall’altro, la necessità che tale principio sia applicato anteponendo i dati forniti dall’esperienza concreta rispetto a quelli forniti dalla prevedibilità astratta.
Nella specie, la società ricorrente – che davanti al tribunale è stata rappresentata e difesa da avvocato del foro di Trieste – non ha neanche indicato il pregiudizio effettivamente derivatole dalla mancata traduzione nella sua madrelingua della sentenza qui impugnata. Non può, quindi, escludersi l’avvenuta conoscenza della decisione da parte della ricorrente e, per tale via, il raggiungimento di fatto dello scopo dell’atto-sentenza.
Nessuna rilevanza assume, ai fini della decisione, l’entrata in vigore, nel corso della lite, delle leggi n. 482 del 1999 e n. 38 del 2001 – recanti norme di attuazione dei diritti delle minoranze riconosciute – le quali annoverano lo sloveno fra le lingue e le culture delle minoranze linguistiche storiche ammesse a tutela della Repubblica (art. 2 della prima), e sanciscono il diritto all’uso orale o scritto della lingua slovena (art. 8 della seconda). Neppure nel vigore di tale ius superveniens la soluzione della controversia si sottrae alla verifica della concreta compromissione del diritto di difesa nel processo.
Alla stregua di queste premesse, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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