CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 24 maggio 2011, n.11373 ASSICURAZIONE E CLAUSOLE VESSATORIE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente deduce la insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio (art. 360 n.3 c.p.c.).

Il riconoscimento della vessatorietà della clausola costituiva non già il presupposto della decisione di primo grado, ma piuttosto la conclusione alla quale il ragionamento del primo giudice era pervenuto. Infatti, applicando la clausola di rivalsa secondo la interpretazione datane dalla Corte territoriale si sarebbe venuta a "determinare un pesante squilibrio dai danni dell’assicurato".

Infatti, quest’ultimo verrebbe ad essere assoggettato ad "una inaccettabile compressione di una facoltà legittima, quella di concedere liberamente in uso i propri beni ai terzi, direttamente correlata al diritto di proprietà, anche costituzionalmente assistito".

Con la conseguenza che, ai sensi del combinato disposto delle norme di cui agli artt. 1469 bis e 1469 ter c.c., dovrebbe necessariamente concludersi per la vessatori età della clausola, così come sostenuto dal B. nel corso di entrambi i gradi del giudizio.

Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n.5 c.p.c.). I giudici di appello avevano erroneamente applicato alla fattispecie astratta delle "clausole determinative dell’oggetto contrattuale" la medesima disciplina che il legislatore – attraverso la norma di cui al terzo comma dello stesso art. 1469 ter c.c. – ha predisposto limitatamente alle clausole "riproduttive di disposizioni di legge" clausole, queste, per le quali la esclusione della vessatorietà si impone come conseguenza diretta della analogia che sussiste fra il contenuto di una clausola coinvolgente gli interessi del consumatore, da un lato, ed il contenuto di una norma di legge, dall’altro. Analogia il cui accertamento è reso possibile da una semplice verifica della "portata letterale" della disposizioni contrattuale.

In tale prospettiva, ad avviso del ricorrente, doveva necessariamente concludersi che la clausola n.2 della polizza assicurativa costituiva abusiva "limitazione della responsabilità" unilateralmente imposta, e non già mera "determinazione dell’oggetto contrattuale" in senso riduttivo.

Tra l’altro, nell’applicare il comma secondo dell’art. 1469 ter c.c. al caso di specie, la Corte territoriale aveva collegato il presupposto per l’esercizio del diritto di rivalsa da parte dell’assicuratore ad una condotta posta in essere – non dallo stesso assicurato – ma da una terza persona, sul cui comportamento in effetti l’assicurato non aveva alcuna possibilità di interferenza. In altre parole, la persona assicurata non aveva alcuna possibilità di controllare la permanente sobrietà del conducente dell’autovettura.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare dell’art. 1469 bis, 1 e 2 secondo comma c.c..

Il B. aveva affidato la propria autovettura al figlio Da. , confidando che egli fosse in condizioni ottimali ai fini di una corretta conduzione dell’autoveicolo: tale circostanza non era mai stata contestata dalla RAS.

Da tale premessa derivava la assenza di un qualsiasi nesso di causalità fra la condotta tenuta dal ricorrente e l’evento dal quale traeva origine la domanda di rivalsa avanzata dalla RAS.

I giudici di appello non avevano considerato che la interpretazione della clausola dagli stessi offerta determinava un inevitabile squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, unilateralmente predisposto dall’assicuratore, rendendo la clausola vessatoria ai sensi dell’art. 1469 bis, primo comma, codice civile, con lesione in danno del consumatore, della esigenza di salvaguardare la buona fede contrattuale.

Con il quarto motivo, si denuncia omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, violazione o falsa applicazione di norme di diritto.

La circostanza che la RAS avesse richiesto la doppia sottoscrizione della clausola, da parte dell’assicurato, costituiva – da sé sola – un preciso elemento presuntivo della vessatorietà della clausola.

I giudici di appello aveva trascurato tale circostanza, senza fornire alcuna spiegazione al riguardo.

Non poteva essere affermato – come pure aveva sostenuto in maniera semplicistica la difesa della RAS – che questa ultima, in tal modo, avesse inteso solamente garantirsi da una verosimile eccezione di vessatorietà, conferendo alla clausola in questione il requisito previsto dalla norma di cui all’art. 1321, secondo comma, c.c..

In tal modo, invece, la compagnia di assicurazione aveva inteso attribuire un requisito di validità ad una pattuizione comportante una unilaterale limitazione di responsabilità e non già una concorde determinazione dell’oggetto del rischio assicurato.

La volontà (espressa) della RAS di attribuire a detta clausola il significato e la portata di una clausola vessatoria ex art. 1341 c.c. risultava documentalmente e dunque la decisione dei giudici di appello che la aveva ricondotta alla fattispecie della clausole determinative dell’oggetto del contratto, di cui all’art. 1469 ter, secondo comma, c.c., doveva essere cassata anche sotto tale profilo.

Osserva il Collegio: i motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi tra di loro.

I motivi non possono trovare accoglimento.

Va ribadita la tradizionale distinzione, operata dalla giurisprudenza di questa Corte, tra clausole limitative della responsabilità e quelle che delimitano il rischio garantito.

Appartengono al primo tipo le clausole che limitano le conseguenze della colpa e dell’inadempimento o escludono il rischio garantito; sono del secondo tipo le clausole che riguardano il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa ed in una parola specificano il rischio garantito (Cass. 29/5/2006 n.12804; 4/2/2002, n. 1430; 4/2/2002 n. 1430; 22/7/2001, n. 10290; 1/12/1998, n. 12190).

Deve poi aggiungersi che l’interpretazione delle clausole di un contratto di assicurazione in ordine alla portata ed all’estensione del rischio assicurato rientra nei compiti del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se rispettosa dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed assistita da congrua motivazione (Cass. 27/7/2001 n. 10290, 19/4/2000, n. 5080; 28/3/1995, n. 2995).

Ciò costituisce specifica applicazione in tema di interpretazione del contratto di assicurazione di un principio generale applicabile all’interpretazione di ogni contratto.

Con riferimento al caso di specie, con motivazione adeguata e logica i giudici di appello hanno preso in esame le clausole contrattuali in contestazione ed hanno concluso che le stesse delimitavano l’oggetto del contratto di assicurazione e non potevano considerarsi limitative della responsabilità, escludendone dunque la vessatorietà. Attraverso le stesse, infatti, venivano circoscritti i limiti della copertura assicurativa con la esclusione di specifici casi di circolazione anormale, in conseguenza delle condizioni soggettive del conducente.

Con la clausola che prevedeva la rivalsa dell’assicuratore in caso di guida del veicolo assicurato da parte di conducente in stato di alterazione alcolica, oggettivamente accertata e non contestata,, le parti avevano inteso semplicemente stabilire che il rischio assicurato riguardava un veicolo condotto da soggetto, anche diverso – come in questo caso – dalla persona dell’assicurato, in condizioni non alterate da uso di alcool (ovvero da sostanze stupefacenti).

L’argomento relativo alla doppia sottoscrizione da parte dell’assicurato – che da sola, secondo il ricorrente, varrebbe a far ritenere la natura vessatoria della clausola correttamente non è stato esaminato dalla Corte territoriale, in quanto ritenuto assorbito dalla interpretazione data alla clausola contrattuale, ai sensi dell’art. 1469 ter, comma 2, codice civile.

Un elemento esterno all’atto, quale quello della doppia sottoscrizione, non può certo valere, da solo, a far ritenere il carattere vessatorio della clausola. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 7.200,00 (settemiladuecento/00) di cui Euro 7.000,00 (settemila/00) per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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