Cassazione civile anno 2005 n. 1666 Rovina di edificio

RESPONSABILITA’ CIVILE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
Così l’impugnata sentenza:
"Con atto 4 settembre 1997 M. M., M. e M. proponevano appello avverso la sentenza del Tribunale di Perugia 24/3/97 che le aveva condannate in solido al pagamento della somma di L. 56.346.102, a favore dell’Edilizia P. s.r.l., rigettando anche le domande di manleva, avanzate dalle sorelle M., nei confronti del fallimento S. e di G. B..
L’appello de quo veniva proposto nei confronti dell’Edilizia P. e del geom. G. B..
Lamentavano le appellanti che non era condivisibile l’inquadramento della fattispecie nell’ipotesi di cui all’art. 2053 c.c., rilevando che le infiltrazioni si erano verificate mentre erano in corso i lavori appaltati alla Ditta S. e diretti dal B..
Si lamentava che sussistevano le prove dei fatti posti a fondamento della domanda di manleva, si lamentava ancora il difetto di motivazione ex art. 2053 c.c., essendo ipotizzabile l’art. 2051 c.c. Si rilevava che il danno era stato quantificato solo sulla base della C.T.U. lamentandosi che non si fosse tenuto conto che i mobili, pur danneggiati, potevano essere venduti.
Con atto 26/11/97 si costituiva la Edilizia P. s.r.l. chiedendo la conferma della sentenza e chiedendo, in via incidentale, il pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria con decorrenza dalla data dell’evento dannoso.
Con atto 27/11/97, si costituiva il geometra B. chiedendo la conferma della sentenza, deducendo anche sulla istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza avanzata dalle appellanti.
L’istanza di sospensione venne respinta con ordinanza 7/1/98.
Le conclusioni venI.o formulate il 20/5/99 e la causa veniva ritenuta in decisione il 18/5/2000.
Con atto 10 settembre 1997 era stato proposto appello anche contro il Fallimento S. I. e con ordinanza 2/1/98 le cause erano state riunite".
Dichiarata la contumacia del suddetto Fallimento la Corte di Appello di Perugia, previa riunione dei due gravami, con sentenza 4 settembre 2000, rigettava il principale ed accoglieva l’incidentale, condannando le M. alle spese del grado ed affermando:
– che la controversia andava inquadrata nell’ambito dell’art. 2053 (e non 2051) c.c., trattandosi di rovina di edificio dipendente dall’insufficiente copertura del tetto già demolito e privo di solaio;
– che i danni erano stati valutati correttamente;
– che il B. non aveva, quale direttore dei lavori, alcuna responsabilità tecnica dell’opera e che la responsabilità della vicenda era delle appaltatrici, che avevano scelto un appaltatore inadeguato e non lo avevano poi sostituito sollecitamente.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso le M., affidandolo a cinque motivi. Hanno resistito la EDILIZIA P. s.r.l. in liquidazione ed il B. con separati controricorsi (quest’ultimo interessato solo dal quinto motivo). Le M. e l’EDILIZIA P. hanno depositato memorie.

Motivi della decisione
Con il primo motivo le ricorrenti, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2051 e 2053 c.c. ed il vizio della motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., lamentano che i giudici del merito abbiano inquadrato la presente fattispecie nell’ambito dell’art. 2053 c.c. (rovina di edificio) invece che dell’art. 2051 (danno da cose in custodia).
La censura non è fondata. Il giudice di appello, premesso che "le infiltrazioni si verificarono per mancata od insufficiente copertura provvisoria del tetto già demolito e privo anche del solaio", ha ravvisato nella specie un’ipotesi di rovina di edificio, così uniformandosi alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui per rovina deve intendersi ogni disgregazione, sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione, ovvero degli elementi accessori in essa stabilmente incorporati, con la conseguente responsabilità del proprietario che può andarne esente solo fornendo la prova che la rovina non è dovuta a difetto di manutenzione od a vizio di costruzione (Cass. 8 settembre 1998 n. 8876).
Il primo motivo va, pertanto, rigettato.
Con il secondo mezzo le M., denunciando il vizio della motivazione su un punto decisivo della controversia attinente all’individuazione del custode dello stabile interessato dall’evento (art. 360 n. 5 c.p.c.), assumono che come tale doveva ritenersi (non esse committenti ma) l’appaltatore (Impresa S.) incaricata con ampia autonomia di eseguire i lavori di ristrutturazione e consolidamento dello stabile.
Neppure questa censura è fondata. La Corte perugina l’ha infatti neutralizzata con il rilievo che l’onere di vigilanza a carico del proprietario dell’edificio sussiste anche nel caso di appalto dei lavori, perchè l’esistenza di un tale contratto non produce il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile, al punto da far venire meno il dovere di custodia e di vigilanza del proprietario. Siffatta statuizione, in sè corretta ma non decisiva, trova adeguato completamento nella precisazione che, nella specie, "la responsabilità delle appaltatrici deriva anche dal non avere provveduto con sollecitudine alla mancanza dell’appaltatore che abbandonò il cantiere con il consenso delle committenti e che non aveva le dovute capacità tecniche ed organizzative". In altre parole, l’allontanamento autorizzato dell’appaltatore reintegrava in toto le committenti nei loro doveri di custodia, non adempiuti.
Anche il secondo mezzo va, pertanto, rigettato.
Le considerazioni svolte servono ad introdurre l’esame del terzo motivo con cui le M. denunciano un ulteriore vizio della motivazione su un punto decisivo della controversia "in ordine all’effettivo adempimento del dovere di custodia e vigilanza" di essi proprietarie e/o custodi (art. 360 n. 5 c.p.c). E’ evidente, infatti, che avere fatto allontanare un appaltatore inadeguato senza sostituirlo sollecitamente e senza adottare tutte le provvidenze necessarie (si trattava di edificio privo di copertura) integrava tutti gli estremi del difetto di manutenzione, il cui onere era ormai a carico delle sole proprietarie.
Anche il terzo motivo viene così rigettato.
Con il quarto mezzo le ricorrenti denunciano un ulteriore difetto della motivazione su altro punto decisivo della controversia, lamentando che la Corte perugina abbia proceduto alla liquidazione dei danni a favore della EDILIZIA P. sulla base di un accertamento tecnico preventivo.
Neppure questa doglianza coglie nel segno. Essa si infrange contro l’accertamento del giudice di appello che, in sintonia con quello di primo grado, ha affermato, da un lato, che la quantificazione del danno è ancorata ad un preciso accertamento tecnico, non intaccato dalle "generiche lagnanze" delle appellanti; dall’altro, che il pregiudizio per la forzata chiusura dei locali era stato valutato equitativamente, in rapporto al tempo necessario per le riparazioni siccome previsto dal C.T.U. Si tratta, con ogni evidenza, di una quaestio facti istituzionalmente devoluta al giudice di merito e sufficientemente motivata, a fronte della quale le ricorrenti pretenderebbero inammissibilmente, in questa sede, un diverso apprezzamento delle risultanze processuali, conforme alle loro aspettative.
Anche il quarto motivo va, pertanto, rigettato e, così, il ricorso delle M. contro l’EDILIZIA P., atteso che l’ultimo motivo riguarda il geom. B., nei cui confronti si lamenta il rigetto della domanda di garanzia ex art. 2236 c.c., con motivazione caratterizzata da errori giuridici e vizi logici.
Neppure quest’ultimo mezzo può ritenersi fondato. Esso infatti, al di là dei criteri affermati dalla giurisprudenza in tema di incarico ai direttori dei lavori edilizi, risulta neutralizzato dall’affermazione dell’impugnata sentenza che "l’incarico del B. era di direzione dei lavori per l’attuazione quindi dell’opera progettata e la buona riuscita della stessa, senza, quindi, alcuna responsabilità tecnica dell’opera e senza, quindi, responsabilità dell’organizzazione dei lavori e delle modalità dei lavori stessi". A fronte di siffatta affermazione, le M. hanno dedotto una serie di contestazioni generiche, inidonee a supportare una diversa natura dell’incarico ricevuto dal B. e che, nella sostanza, si riducono alla omissione di quel preteso dovere del direttore dei lavori di effettuare tempestive e frequenti visite al cantiere, dovere la cui esistenza, ove configurato come continua presenza in loco, è stato escluso dalla giurisprudenza (cfr. Cass. 7 febbraio 1975 n. 475). Non è superfluo aggiungere che l’evento dannoso si è verificato dopo che, essendosi allontanato l’appaltatore (poi fallito), non c’erano più lavori da controllare.
Anche l’ultimo motivo, come i precedenti, viene pertanto rigettato.
Stante il rigetto del ricorso, le M. devono essere condannate a rimborsare, all’EDILIZIA P., le spese di questo grado, mentre nel rapporto M.-B. giusti motivi inducono a compensarle.

P. Q. M.
la Corte rigetta il ricorso, compensa le spese del giudizio di Cassazione nel rapporto processuale M.-B. e condanna le M. al pagamento di dette spese in favore della EDILIZIA P. s.r.l. in liq., liquidandole in complessivi E. 3.100,00, di cui E. 3.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2005

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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