Cassazione civile anno 2005 n. 1556 Distanze legali :tra costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
F. G., nella qualità di proprietaria di un fabbricato sito in Messina, convenne al giudizio del Pretore di quella città i coniugi C. C. e P. P., lamentando che gli stessi avevano realizzato, su immobile di loro proprietà a confine con quello degli istanti, un corpo aggiunto ed aggettante, posto a distanza dal confine inferiore a quella prescritta dalle norme edilizie locali e lesivo del suo diritto di veduta; di tale opera chiedeva, pertanto, la demolizione e riduzione in pristino.
Con sentenza del 16.12.91 l’adito Pretore rigettò la domanda, ritenendo che l’operatosi come accertata e descritta dall’officiato consulente tecnico, costituisse un semplice sporto e, come tale, non fosse soggetto all’obbligo della distanza, fissata in m. 5 dal confine dal locale regolamento edilizio, dovendo solo rispettare, ex art. 905 co. 2 cod. civ., il distacco di m. 1,50, nella specie non valicato.
Avverso detta sentenza l’attrice propose appello che, resistito dai convenutigli accolto dal Tribunale di Messina, con sentenza del 9.9.01, con la quale i coniugi C. – P. furono condannati "alla demolizione dell’opera oggetto di causa (passerella in cemento armato, realizzata…lungo il prospetto posteriore della loro villa…, descritta nella relazione del c.t.u…), oltre al rimborso delle spese del doppio grado di giudizio.
Tale decisione si basava sull’essenziale considerazione che il manufatto in questione, ubicato ad una distanza dal confine compresa tra un minimo di m. 1,62 ed un massimo di m. 2,56, quindi sempre inferiore a quella prescritta dalla norma locale integrativa di quelle del codice civile, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, di considerevole entità e non assolventi a mere finalità decorative, costituiva un vero e proprio ampliamento aggettante del fabbricato dei convenuti e, come tale, era computabile, in conformità ai consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, ai fini delle distanze.
Per la cassazione della menzionata sentenza ricorrono i coniugi C.- P., affidando l’impugnazione a quattro motivi.
La G. non ha svolto attività difensiva in questa sede, nella quale si è invece costituito, intervenendo ex art. 111 c.p.c. con controricorso, F. P. G., quale avente causa a titolo particolare dall’attrice, in qualità di donatario dell’immobile, già della medesima, in forza di atti di donazione (dell’11.6.92 e 30.10.95) stipulati in corso di causa.
Il controricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta "violazione artt. 873 cod.civ., 112 c.p.c, in relazione all’art. 360 n. 3, 4, 5 c.p.c.".
Si lamenta che il Tribunale, non tenendo conto della descrizione dell’opera resa dal c.t.u., in particolare dell’andamento non lineare della stessa solo in parte fronteggiante il confine tra i fondi, ed eccedendo le stesse richieste attrici, ne abbia ordinato la demolizione totale, così includendo nella relativa statuizione anche quelle parti non fronteggianti il confine e, come tali, inidonee a ledere alcun diritto della controparte.
La doglianza non merita accoglimento, essendo basata su una premessa (secondo la quale l’opera realizzata dai convenuti fronteggerebbe solo in parte la proprietà della ricorrente) che non trova riscontro processuale, ponendosi in contrasto con l’accertamento di fatto al riguardo compiuto nella sentenza di secondo grado, nella quale il manufatto viene descritto, sulla scorta dell’elaborato del quale una "soletta in cemento armato contornata da parapetto…", sviluppantesi su due tratti, il secondo dei quali "a squadra" ad "una distanza dal confine variabile da un minimo di m. 1.62 ad un massimo di mt.
2.56…comunque nettamente inferiore a quella minima di 5 mi. prescritta.." In tale descrizione non vi è menzione alcuna di eventuali tratti dell’opera non fronteggianti il confine, sicchè il motivo di ricorso si traduce in una palese censura in fatto, come tale inammissibile nella presente sede.
Il secondo motivo denuncia "violazione artt. 872, 873, 905 cod. civ. in relazione 360 n. 3 e 5" (c.p.c.), per avere erroneamente il Tribunale ritenuto l’opera in questione soggetta all’obbligo delle distanze, senza tener conto che la stessa rappresentava "soltanto uno sporto destinato balcone, con funzione decorativa, soggetto solo all’osservanza delle distanze prescritte per le vedute, nella specie rispettate.
Il terzo motivo lamenta la "violazione degli artt. 871, 872, 873 cod. civ., artt. 23.7; 23.10;23.11; 23.14, norme di attuazione del regolamento edilizio del Comune di Messina", alle quali si sarebbe conformata la concessione edilizia rilasciata ai ricorrenti, a termini delle quali ultime il distacco dal confine deve essere misurato dal perimetro delle superfici coperte, nelle quali i balconi ed altri corpi aggettanti rientrano solo se chiusi.. Le censure, la cui stretta connessione ne comporta l’esame congiunto, non sono fondate. I giudici di appello, nella determinazione del criterio di misurazione delle distanze agli effetti dell’art. 873 c.c. e relative norme integrative, si sono conformati al costante ed univoco indirizzo della giurisprudenza di questa S.C., a termini del quale, tenuto conto delle finalità perseguite al legislatore, le distanze vanno misurate dalle sporgenze estreme dei fabbricati, escludendosi soltanto quelle, assolventi a mere esigenze ornamentali, di rifinitura ed accessorie di limitata entità (del tutto irrilevanti ai fini della determinazione di intercapedini o riduzione dei distacchi), quali cornicioni, lesene, mensole, grondaie e simili (cd.
"sporti"), mentre rientrano, a tutti gli effetti, nel concetto civilistico di "costruzione" le parti; Squali scale, terrazze e corpi avanzati (c.d."aggettanti"), anche se non corrispondenti a volumi abitativi coperti, atte ad estendere ed ampliare in superficie e volumi edificati la consistenza del fabbricato (v., ex coeteris, Cass. 2^, n. 4195/95, n. 8240/975 n. 5719/98, n. 2986/99, n. 13001/00).
D’altra parte, la nozione di "costruzione", agli effetti di cui all’art. 873 c.c. deve essere unica e non può essere derogatala pure al limitato fine del computo delle distanze, dalla normativa secondaria, tenuto conto che il rinvio contenuto nella seconda parte dell’art. 873 cit. è limitato alla sola facoltà, da parte dei regolamenti locali, di stabilire una "distanza maggiore"(tra edifici o tra edifici e confine), senza possibilità anche di derogare alla legge statale in ordine alla nozione di costruzione. Ne consegue che le disposizioni, di attuazione del regolamento edilizio, invocate dalla parte ricorrente (peraltro solo nella presente sede di legittimità), non possono considerarsi norme "di relazione" agli effetti civilistici, rivestendo solo rilevanza, nella sfera urbanistico – edilizio ai fini del rilascio da parte delle competenti amministrazioni, dei titoli abilitativi a costruire; sicchè poco o punto rileva nell’ambito dei rapporti tra privatala conformità della costruzione al provvedimento concessori (che, peraltro, nella prassi vengono sempre rilasciati facendo "salvi i diritti dei terzi").
Nel caso di specie, pertanto, correttamente i giudici di appello hanno ritenuto illegittima, in quanto realizzata ad una distanza dal confine inferiore a quella minima di m. 5 dal confine, prescritta dal locale regolamento edilizio, (pt. 28), Validamente integrante (a differenza della sua disposizione di attuazione) l’art. 873 cod. civ.., l’edificazione del manufatto. L’opera, con incensurabile giudizio di fatto (basato sulle risultanze descrittive della consulenza tecnica), è stato considerata, un corpo "aggettante", costituito da "una soletta in cemento armato, contornata da parapetto alto mt. 1,05, realizzato con colonnine prefabbricate di cemento armato.." avente una "larghezza netta di mt. 1,60, oltre lo spessore del parapetto con colonnine.."; tale descrizione evidenzia l’avvenuta realizzazione, in aggiunta al preesistente edificio di un vero e proprio corpo avanzato, sormontato da una sorta di balconata, che dando luogo ad un consistente ampliamento in superficie e volumetria (ancorchè non coperta nella parte praticabile), non può sottrarsi al regime civilistico delle distanze tra costruzioni. Le suesposte considerazioni comportano l’agevole rigetto anche del quarto motivo, con il quale si lamenta la "violazione degli artt. 871, 872, 873 co. civ. in rei. 360 n. 3 e 5 c.p.c.", per essere stata ordinata la demolizione dell’opera, pur potendosi disporre la riconduzione della stessa i più ridotti terminatali da ammetterne la tolleranza quale sporgenza consentita: è evidente come un manufatto, della consistenza e volumetria sopra descritte, chiaramente finalizzato all’ampliamento degli spazi praticabili dell’edificio al quale è annesso, non possa essere degradato al mero "sporto", non essendo ipotizzagli funzioni decorative, tecniche o accessorie di sorta, di alcuna, sia pur minima, parte dello stesso. Il ricorso va, in definitiva, respinto.
Giusti motivi inducono, tuttavia, a compensare le spese del grado, nel quale non vi è stata costituzione dell’intimata, tra la parte ricorrente e quella intervenuta ex art. 111 c.p.c..

P. Q. M.
Rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate le spese del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2005

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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