Cassazione civile anno 2005 n. 1550 Fascicolo di parte

APPELLO CIVILE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
Con atto notificato il 28/11/1968 B. B. e B. M., anche per conto di B. M. e B. M.. premesso di aver venduto a N. N., con atto 14/10/1964, i diritti indivisi di proprietà ad essi spettanti sugli immobili dettagliatamente descritti, precisavano che in realtà con il detto atto avevano voluto garantire l’C.mpimento del debito di L. 1, 500.000 gravante su essi B. convenendo con il N. che questi avrebbe acquistato la proprietà degli immobili se nel termine di tre anni non avesse ottenuto la soddisfazione del credito vantato. Oli attori, quindi, convenivano in giudizio N. N. chiedendo la dichiarazione di nullità del contratto 14/10/1964 perchè dissimulante un mutuo con patto commissorio. Il convenuto chiedeva il rigetto della domanda sostenendo tra l’altro che con Patto 14/10/1964 era stata conclusa una compravendita con patto di riscatto.
Nel corso del giudizio si costituiva N. F. quale erede testamentario di C. N. deceduto il 6/7/1972.
Veniva poi disposta la riunione del giudizio promosso da C..
C.. C.. C.. C., C.. M.. C. C. e F. N., nella qualità di credi di N. N., al fine di ottenere la condanna di B. M. e B. B. al pagamento di L. 5.711.913 che il loro dante causa aveva versato per estinguere la procedura esecutiva intrapresa dai creditori dei B. sui beni oggetto del contratto 14/10/1964.
Si costituivano anche gli eredi di B. M. nei cui confronti era stata ordinata l’integrazione del contraddittorio.
Con sentenza 13/3/1997 l’adito tribunale di Paola dichiarava la nullità del contratto 14/10/1964 e condannava i B. a pagare ai N. L. 5, 7) 1.913.
Avverso la detta sentenza proponevano appello N. C. e L. L. nella qualità di procuratori generali di S. I., N. I. C.. N. I. I. e N. I. quali eredi di N. F..
Si costituiva S. C. nella qualità di procuratrice generale di B. L. e B. L. eredi di B. M..
B. M. e B. M.. La S. si costituiva anche in proprio quale avente causa dal coniuge deceduto B. M.. Si costituiva inoltre B. B. in proprio e quale erede di B. M. e B. M..
Con separato e successivo atto proponeva appello S. C.. in proprio e nella indicata qualità, sul punto concernente la condanna al pagamento di L. 5.711.913. Resistevano al detto gravame N. C. in proprio e L. L.. entrambi nella qualità di procuratori generali di C., C. e C. N., nonchè L., L., R. e F. N. eredi di N. C.; N. L. e N. R. eredi di N. C.; S. I., N. I. R.. I. I. e I. N., eredi di N. F.; N. C.C. e N. C. in proprio.
Riuniti i procedimenti la corte di appello di Catanzaro, con sentenza 21/3/2000, rigettava tutti i gravami. La corte di merito, per quel che ancora rileva in questa sede, osservava: che andava disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello principale per la mancata restituzione del fascicolo di parte nel termine di quattro giorni precedenti l’udienza collegiale potendo detta sanzione essere comminata solo con riferimento all’udienza collegiale effettiva con assunzione della causa in decisione; che del pari infondata era l’eccezione di inammissibilità del gravame sollevata sul rilievo della notifica dell’appello presso il domiciliatario avvocato L. N. in assenza della detta qualità del professionista e mediante consegna di copie in numero inferiore rispetto al numero degli appellati; che l’atto di appello era stato notificato all’avvocato N. quale domiciliatario di B. B. e B. M. "quest’ultimo anche in nome e per conto di N. M..
B. L. e B. L.. quali eredi di B. M., rappresentati dalla procuratrice generale S. C."; che quest’ultima aveva conferito mandato ad eleggere domicilio presso lo studio dell’avvocato N.; che B. B. e B. M., anche quale procuratore di B. M., avevano eletto domicilio presso lo studio dell’avvocato N.; che effettivamente l’atto di appello non era stato notificato agli eredi di B. M. che era coniugato e senza prole; che B. M. si era costituito anche quale procuratore di B. M.; che, pur sussistendo il vizio denunciato, il contraddittorio doveva ritenersi integrato in quanto il procedimento era caratterizzato dal litisconsorzio necessario e alcuni dei litisconsorti erano stati ritualmente evocati in giudizio;
che gli aventi causa di B. M. e B. M. avevano proposto appello avverso la medesima sentenza ed i relativi procedimenti erano stato riuniti sicchè gli eredi di M. e M. B. erano stati messi nella condizione di difendersi ed avevano esercitato tale facoltà; che gli eredi di N. N. si erano difesi in ordine a tutte le domande oggetto dei giudizio riuniti; che erano infondate le tesi degli appellanti principali circa l’asserita insussistenza del patto commissorio; che, in particolare, dalla relazione del c.t.u. emergeva con evidenza la sproporzione tra prezzo di vendita e valore dei fondi in questione.
La cassazione della sentenza della corte di appello di Catanzaro è stata chiesta, con ricorso affI.to a tre motivi, da N. C. in proprio e L. L., entrambi quali procuratori generali di S. I., N. I. R., N. I., N. I. quali eredi di N. F..
S. C. in proprio e quale procuratrice generale di B. L. e B. L., eredi di B. M. e di B. M. e M., nonchè B. B. in proprio e quale erede di M. e M. B., hanno resistito con controricorso ed hanno proposto ricorso incidentale condizionato affI.to a quattro motivi.
All’udienza del 12/2/2004 questa Corte ha ordinato l’integrazione del con-traddittorio mediante notifica del ricorso principale e di quello incidentale a M. ed C.C. N. e del solo ricorso incidentale a C.. N. e C. N.. L., L., I, aura e F. N., quali eredi di N. C., N. C. e N. R..
Gli atti di integrazione del contraddittorio sono stati tempestivamente notificati ai litisconsorti necessari fo ai loro eredi) i quali non hanno svolto attività difensiva in sede di legittimità.
I ricorrenti principali hanno depositato memorie.

Motivi della decisione
Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti a norma dell’articolo 335 c.p.c..
Il primo ed il terzo motivo del ricorso incidentale vanno esaminati in via prioritaria stante il loro carattere pregiudiziale.
Occorre in proposito osservare che, come ha chiarito la giurisprudenza di legittimità, risolvendo un precedente contrasto, qualora la parte, interamente vittoriosa nel merito, abbia proposto ricorso incidentale avverso una statuizione a lei sfavorevole, relativa ad una questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito, la Corte di Cassazione deve esaminare e decidere con priorità tale ricorso, senza tenere conto della sua subordinazione all’accoglimento del ricorso principale, dal momento che l’interesse al ricorso sorge per il fatto stesso che la vittoria conseguita sul merito è resa incerta dalla proposizione del ricorso principale e non dalla sua eventuale fondatezza e che le regole processuali sull’ordine logico delle questioni da definire – applicabili anche al giudizio di legittimità (art. 141. primo comma, disp. att. cod. proc. civ.) – non subiscono deroghe su sollecitazione delle parti (nei sensi suddetti, tra le tante, sentenze 19/5/2003 n. 7762;
7/2/2002 n. 1733: 22/1/2002 n. 711: 23/5/2001, n. 212).
Si devono pertanto esaminare innanzitutto i detti motivi del ricorso incidentale per il loro carattere eventualmente assorbente riguardando: a) l’asserita nullità della notifica dell’appello principale proposto da N. C. e L. L. nelle rispettive qualità; b) l’improcedibilità dell’appello principale per omesso tempestivo deposito del fascicolo di parte.
In particolare con il primo motivo del ricorso incidentale S. C. e N. B., in proprio e nella qualità sopra precisata, denunciano violazione degli articoli 330, 101, 163. 164 e 342 c.p.c. relativamente alla denegata statuizione della nullità dell’appello di controparte. I ricorrenti incidentali deducono che: a) la notificazione della sentenza di primo grado era stata richiesta personalmente da S. C. e da B. B., in proprio e nelle rispettive qualità espresse nella richiesta di notifica, per cui era a costoro e non al procuratore giudiziale nominato nel giudizio innanzi al tribunale che andava notificato l’atto di gravame a nulla rilevando reiezione di domicilio presso lo studio del detto procuratore contenuta nell’atto di notificazione della sentenza costituendo tale elezione di domicilio solo il luogo ove notificare l’eventuale impugnazione; b) per M. e M. B. l’appello era stato notificato al difensore e procuratore di primo grado già divenuto privo della relativa e corrispondente rappresentanza processuale a seguito della morte dei citati B., evento espressamente dichiarato nell’atto di richiesta di notifica della sentenza, per cui l’appello andava notificato agli eredi menzionati e nominati in detta istanza di notifica della sentenza, ossia B. L. e L.. S. C. e B. B.; c) l’atto di appello era stato notificato al procuratore di primo grado in numero di copie inferiore al numero delle parti rappresentate da detto procuratore. La corte di appello ha ammesso la sussistenza dei detti vizi ma ha rigettato le sollevate eccezioni sul rilievo che, trattandosi nella specie di litisconsorzio necessario ed essendo stati citati in appello alcuni litisconsorti, il contraddicono doveva ritenersi integrato posto che gli eredi di B. M. e M. avevano proposto appello avverso la medesima sentenza per la parte in cui il loro dante causa era rimasto soccombente e, quindi, erano stati messi nella condizione di difendersi dopo la riunione dei due separati atti di gravame. La corte di merito, però, non ha considerato che nella specie non ricorreva l’ipotesi del litisconsorzio necessario e che i due procedimenti, anche se riuniti, conservavano la propria autonomia ed individualità.
Il motivo è infondato.
Occorre premettere che – come dedotto dagli stessi ricorrenti incidentali e come risulta da quanto sopra riportato nella parte narrativa – la corte di appello ha riconosciuto la sussistenza dei denunciati (e in questa sede di nuovo segnalati) vizi di notifica dell’atto dell’appello principale proposto da N. C. e L. L.. La corte di merito, però, ha ritenuto sanati i detti vizi in quanto: a) la nullità riguardava la notifica dell’atto di appello solo ad alcuni dei litisconsorti necessari mentre altri litisconsorti erano stati "ritualmente evocati in giudizio"; b) gli eredi di B. M. e di B. M. (litisconsorti necessari ai quali era stato mal notificato l’atto di appello principale) avevano proposto separato ed autonomo appello avverso la sentenza di primo grado sicchè, riuniti i due procedimenti, erano stati "messi in condizione di difendersi" ed in concreto avevano esercitato "detta facoltà prendendo posizione in ordine alle ragioni delle controparti".
La decisione impugnata è sul punto conforme ai principi più volte affermati nella giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di procedimento civile ed in ipotesi di morte di una delle parti nel corso del giudizio, gli eredi, indipendentemente dalla natura del rapporto sostanziale controverso, vengono a trovarsi, per tutta la durata del processo, in una situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali ed il giudice, anche in sede di giudizio di rinvio, deve disporre l’integrazione del contraddittorio a norma dell’art. 331 c.p.c.. nei confronti di tutti (giurisprudenza pacifica: da ultimo sentenza 6/2/2004 n. 2292).
Quindi nella specie, al contrario di quanto sostenuto dai ricorrenti incidentali con la censura in esame, M. e M. B. – e poi i rispettivi eredi erano litisconsorti necessari in quanto o attori o eredi degli originari attori B., così come erano litisconsorti necessari tutti gli altri eredi degli originari attori i quali avevano ritualmente ricevuto fatto di appello e si erano costituiti ne) giudizio di gravame.
Va altresì precisato che è del pari pacifico il principio giurisprudenziale secondo cui la notificazione dell’impugnazione relativa a cause inscindibili eseguita nei termini di legge nei confronti di uno solo dei litisconsorti necessari introduce valI.mente il giudizio di gravame nei confronti di tutte le altre parti, anche in caso di nullità della notificazione e di mancata costituzione dell’appellato; in siffatta ipotesi, il giudice di appello deve ordinare la rinnovazione della notificazione nei confronti dell’appellato ex art. 291 c.p.c. nonchè l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli altri litisconsorzi necessari, ai sensi dell’art. 331 c.p.c. (tra le tante, sentenze 13/12/2002 n. 7828; 7/5/2002 n. 6544).
Nel caso in esame l’integrazione del contraddittorio coerentemente non è stata disposta dalla corte di appello nei confronti degli eredi di M. e M. B. (litisconsorti necessari insieme agli altri appellati regolarmente costituiti) atteso che detti eredi avevano proposto autonomo appello avverso la stessa sentenza di primo grado (già impugnata dagli appellanti principali) e, dopo l’obbligatoria riunione dei due procedimenti ex articolo 335 c.p.c avevano partecipato al giudizio ed avevano accettato il contraddittorio articolando difese avverso le "ragioni della controparte" – secondo quanto evidenziato nella sentenza impugnata e non contestato dai ricorrenti incidentali in tal modo sanando il difetto di integrità del contraddittorio derivante dalla nullità insanabile della notifica dell’atto di appello principale ad alcuni dei litisconsorti necessari.
Con il terzo motivo i ricorrenti incidentali denunciano violazione degli articoli 169. 348 e 115 c.p.c. relativamente alla dovuta e non resa sanzione di improcedibilità dell’appello per non aver parte appellante depositato il proprio fascicolo nel termine di legge con riferimento all’udienza di discussione fissata per il 26/1/1999 e poi spostata in violazione dell’articolo 115 disp. att. c.p.c. non sussistendo la ricorrenza del "grave impedimento".
La censura non è fondata atteso che. come precisato da questa Corte, al fine della procedibilità dell’appello la tempestività della restituzione del fascicolo dell’appellante, dopo il suo ritiro in occasione della chiusura dell’ostruzione, va riscontrata, ove l’udienza di discussione fissata dall’istruttore sia stata rinviata, con riferimento alla nuova udienza collegiale, nella quale la causa sia stata effettivamente discussa ed assegnata a sentenza, ciò a prescindere dalla circostanza che il grave impedimento, giustificativo del rinvio, a norma dell’art. 115, disp. att. c.p.c., sia stato menzionato nel processo verbale, o sia stato espressamente e correttamente valutato nel relativo provvedimento, vertendosi in tema di formalità non prescritta a pena di nullità, e di poteri discrezionali ed insindacabili del collegio, non abbisognanti di esplicita motivazione (sentenze 16/4/1999 n. 3801; 6/3/1999 n. 1928).
Con il primo motivo del ricorso principale N. C. e L. L., in proprio e nella qualità sopra indicata, denunciano violazione degli articoli 2744 e 1362 c.c., nonchè vizi di motivazione, deducendo che la corte di appello ha confermato la pronuncia di primo grado di sussistenza del patto commissorio senza tener conto dei numerosi rilievi al riguardo mossi da essi appellanti. Le circostanze prese in esame nella sentenza impugnata non sono state ponderate insieme a tutti gli altri dati indicati nei motivi di gravame: pertanto la decisione non può ritenersi frutto di una equilibrata e ragionevole valutazione complessiva delle prove raccolte che, se considerate, avrebbero condotto ad una pronuncia diversa. Peraltro la vantazione del comportamento tenuto dai contraenti dopo la conclusione de) contratto avrebbe condotto ad una interpretazione di detto negozio differente da quella riportata in sentenza. Infine non è stata esaminata la non integrale corrispondenza tra venditori e debitori.
Con il secondo motivo i ricorrenti principali denunciano vizi di motivazione in ordine all’affermazione relativa alla conservazione da parte degli originari venditori di un rapporto assimilabile alla proprietà per aver gli stessi affittato i fondi e percepito i canoni. Al riguardo la corte di appello ha fatto riferimento alle dichiarazioni dei testi Mannarino AquiC. e Docile Alberto che si pongono in contrasto con quanto denunciato dal N. e confermato dalle testi Annocaro C., Santoro Turina e Trotta C. le cui deposizioni sono state ignorate dal giudice di secondo grado.
Con il terzo motivo i ricorrenti principali denunciano vizi di motivazione lamentando l’errore commesso dalla corte di merito nell’C.rire acriticamente alle assurde conclusioni del c.t.u. svincolate dalla realtà avendo il consulente assegnato al terreno in questione, avente destinazione agricola. un valore di L. 200.000.000. La corte di appello non ha considerato le puntuali critiche in proposito mosse da essi ricorrenti nel giudizio di secondo grado.
La Corte rileva l’infondatezza e, sotto alcuni aspetti, l’inammissibilità delle dette censure che. per evidenti ragioni di ordine logico e per economia di trattazione, possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza e che, pur se titolate come violazione di legge (articoli 2744 e 1362 c.c.) e come vizi di motivazione, si risolvono tutte essenzialmente:
a) in un asserito omesso esame o in una sostenuta errata valutazione sia dei rilievi mossi con i motivi di appello avverso la sentenza di primo grado, sia delle circostanze e dei dati indicati in tali motivi; b) in una diversa valutatone del merito della causa con riferimento specificamente alle deposizioni dei testi escussi ed alla relazione del c.t.u. Trattasi o di compiti e di attività che sono prerogativa del giudice del merito o del potere discrezionale di quest’ultimo di apprezzamento dei fatti e delle risultanze istruttorie e la cui motivazione al riguardo è insindacabile in sede di legittimità se – come nella specie – sufficiente ed esente da vizi logici o da errori di diritto.
Spetta infatti solo al giudice di merito individuare la fonte del proprio convincimento ed apprezzare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dar prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. Nè per ottemperare all’obbligo della motivazione il giudice di merito è tenuto a prendere in esame tutte le risultanze istruttorie e a confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti essendo sufficiente che egli indichi – come nel caso in esame – gli elementi sui quali fonda il suo convincimento e r dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e fatti che. sebbene non specificamente menzionati, siano incompatibili con la decisione adottata. Inoltre si ha carenza di motivazione soltanto quando il giudice di merito omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza però un’approfondita disamina logico-giuridica, ma non anche nel caso di vantazione delle circostanze probatorie in senso difforme da quello preteso dalla parte. Parimenti si ha motivazione insufficiente nell’ipotesi di obiettiva deficienza del criterio logico che ha indotto il giudice del merito alla formulazione del proprio convincimento ovvero di mancanza di criteri idonei a sorreggere e ad individuare con chiarezza la "ratio decidendi", ma non anche quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte sul valore o sul significato attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, vale a dire l’apprezzamento dei fatti e delle circostanze effettuato secondo i compiti propri del giudice di merito. Nella specie non sono ravvisagli nè la dedotta violazione di legge nè il lamentato difetto di motivazione: la sentenza impugnata è corretta e si sottrae alle critiche di cui è stata oggetto.
La corte di appello, con motivato apprezzamento di merito in relazione ai vari elementi probatori acquisiti e considerati nel loro complesso, ha confermato l’impugnata sentenza di primo grado ritenendo infondate tutte le tesi in fatto e in diritto poste dagli appellanti principali (in questa sede ricorrenti principali) a sostegno dell’asserita insussistenza del patto commissorio ed in proposito ha tenuto anche conto – alla luce di quanto emerso dalla prova testimoniale e dalla espletata c.t.u. – del comportamento tenuto dalle parti contrattuali dopo la stipula della convenzione in questione e della sproporzione tra prezzo di vendita e valore dei fondi alienati.
La corte di merito è pervenuta alla detta conclusione attraverso argomentazioni complete ed appaganti, improntate a retti criteri logici e giuridici, nonchè frutto di un’indagine accurata e puntuale delle risultanze istruttorie, il giudice di appello ha dato conto delle proprie valutazoni, circa gli operati accertamenti in fatto, con sufficiente motivazione esaminando compiutamente le risultanze di causa ed esponendo C.guatamente le ragioni del suo convincimento.
Alle dette valutazioni, i ricorrenti principali contrappongono le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice di merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di Cassazione.
Peraltro dalla motivazione dell’impugnata sentenza, i cui tratti salienti sono stati sopra riportati) risulta chiaro come il giudice di secondo grado, nel porre in evidenza gli elementi favorevoli alla tesi dei B. e dei loro eredi, abbia implicitamente espresso una valutazione negativa per quelli prospettati nella contraria tesi degli eredi di N. N..
Va inoltre segnalato che le censure concernenti l’omesso o errato esame delle risultanze istruttorie, indicate nei motivi di ricorso con riferimento alla prova testimoniale ed alla relazione del c.t.u., oltre che per l’incidenza in ambito di apprezzamenti riservati al giudice del merito, sono inammissibili anche per la loro genericità in ordine all’asserita erroneità in cui sarebbe in ricorso il giudice di appello nell’interpretare e nel valutare le dette risultanze probatorie.
Nel giudizio di legittimità il ricorrente che deduce l’omessa o l’erronea valutazione delle risultanze probatorie ha l’onere (in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione) di specificare il contenuto delle prove mal (o non) esaminate, indicando le ragioni del carattere decisivo del lamentato errore: solo cosi è consentito alla corte di Cassazione accertare – sulla base esclusivamente delle deduzioni esposte in ricorso e senza la necessità di indagini integrative – l’incidenza causale del difetto di motivazione (in quanto omessa, insufficiente o contraddittoria) e la decisività delle prove erroneamente valutate perchè relative a circostanze tali da poter indurre ad una soluzione della controversia diversa da quella adottata.
Il mancato esame di elementi probatori. contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalI.re l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento si è formato, onde la "ratio decidendi" venga a trovarsi priva di base.
Nella specie le censure mosse dai ricorrenti sono carenti sotto l’indicato aspetto in quanto non riportano il contenuto specifico e completo delle risultanze probatorie che non sarebbero state esaminate dalla corte di appello. In particolare da quanto esposto in ricorso non è dato comprendere e ricostruire, sia pur approssimativamente, il senso complessivo delle deposizioni dei testi escussi e della relazione del c.t.u..
Le dette omissioni e genericità non consentono di verificare l’incidenza causale e la decisività dei rilievi al riguardo sviluppati in ricorso.
Sotto altro aspetto le censure concernenti gli asseriti errori che sarebbero stati commessi dal giudice di secondo grado nel ricostruire i fatti di causa sono inammissibili risolvendosi nella tesi secondo cui l’impugnata sentenza sarebbe basata su affermazioni contrastanti con gli atti del processo e frutto di errore di percezione o di una svista materiale degli atti di causa. Trattasi all’evidenza della denuncia di travisamento dei fatti contro cui è esperibile il rimedio della revocazione. Secondo quanto più volte affermato da questa Corte, la denuncia di un travisamento di fatto, quando attiene al fatto che sarebbe stato affermato in contrasto con la prova acquisita, costituisce motivo di revocazione e non di ricorso per Cassazione importando essa un accertamento di merito non consentito in sede di legittimità (sentenze 9/8/2002 n. 12807; 1/6/2002 n. 7965; 1/3/2002 n. 3024; 3/2/2000 n. 1195).
In definitiva sono insussistenti gli asseriti vizi di motivazione e le dedotte violazioni di legge che presuppongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella ineccepibilmente effettuata dal giudice del merito.
Va aggiunto che dalla lettura della sentenza impugnata non risulta – nè è stato dedotto in ricorso – che nei motivi di appello sia stata prospettata la questione della non integrale corrispondenza tra venditori e compratori: quindi di tale questione (della quale si fa cenno nella parte finale del primo motivo del ricorso principale) non poteva occuparsi la corte di merito.
Il ricorso principale deve pertanto essere rigettato con il conseguente assorbimento del secondo e del quarto motivo del ricorso incidentale con i quali S. C. e B. B. denunciano rispettivamente: a) la violazione degli articoli 2702, 2712. 2721. 2727. 2729 c.c. 115 e 116 c.p.c.: b) la violazione dell’articolo 92 c.p.c. relativamente alla non resa declaratoria di condanna delle controparti alla rifusione delle spese di giudizio.
Detti motivi sono stati espressamente proposti "in via incidentale e condizionata".
Sussistono giusti motivi anche in considerazione della difformità tra le pronunzie rese nei gradi di merito – per compensare per intero tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

P. Q. M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale ed il primo ed il terzo motivo del ricorso incidentale; assorbito il secondo ed il quarto motivo del ricorso incidentale; compensa tra le parti le spese del giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2005

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *