Cassazione civile anno 2005 n. 1289 Servizi comunali Nullità Sentenza secondo equità

COMUNE E PROVINCIA PROCEDIMENTO CIVILE SENTENZA CIVILE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
X X convenne il comune di Tito davanti al giudice di pace di Potenza per sentire dichiarare non dovute la somma richiesta da detto comune per i servizi di acqua potabile, fognatura e depurazione relativamente agli anni 1993 e 1997.
Il comune resistette.
Il giudice di pace, pronunciando secondo equità in relazione al valore della causa, ha ritenuto la propria giurisdizione (contestata dal convenuto) e, nel merito, ha accolto parzialmente la domanda attorea dichiarando non dovuta la somma chiesta dal comune per l’anno 1993 per l’intervenuta prescrizione del credito.
Il comune di Tito ha proposto ricorso per Cassazione deducendo sei motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva.
Le sezioni unite hanno accolto il secondo dei sei motivi di ricorso con sentenza n. 16431/04, dichiarando la giurisdizione delle commissioni tributarie sulla domanda relativa al canone del servizio di fognatura e depurazione; ed hanno rigettato il quarto dichiarando la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda inerente al canone dell’acqua. Gli atti sono stati dunque rimessi a questa sezione per l’esame degli altri motivi.

Motivi della decisione
1.1. Col primo motivo è denunciata violazione del combinato disposto degli artt. 29, comma 2, d. lgs. 26.2.1999 n. 46, e 57, comma 1, D.P.R. 29.9.1973, n. 602, come sostituito dall’art. 17 del d.lgs. n. 46/99 per essere stata l’opposizione avverso la cartella esattoriale proposta con ricorso, anzichè con atto di citazione, e per non avere l’atto raggiunto il suo scopo in relazione alla mancata costituzione in giudizio dell’amministrazione comunale di Tito.
1.2. La censura è infondata.
Il ricorrente non si duole, invero, di aver subito pregiudizi di sorta per essere stato il giudizio introdotto con ricorso, anzichè con atto di citazione, ovvero che l’intervallo di tempo tra la data di notifica del ricorso e la data fissata dal giudice per la comparizione sia stato inferiore al termine minimo a comparire stabilito dall’art. 163 bis c.p.c. Deduce, invece, un vizio meramente formale che, in virtù del principio della normale irrilevanza della inosservanza delle forme, non comporta la nullità dell’atto al di fuori dei casi previsti dalla legge (art. 156, primo comma, c.p.c.).
Erroneamente assume poi che l’atto non avrebbe raggiunto il suo scopo in quanto il comune non si era costituito in giudizio, volta che lo scopo dell’atto introduttivo non è la costituzione del convenuto (che ha comunque facoltà di non costituirsi) ma che egli sia evocato in giudizio senza pregiudizio dei suoi diritti di difesa. Pregiudizio che, come s’è detto, non è stato nella specie prospettato.
2.1. Col terzo motivo è denunciata violazione degli artt. 113 e 114 c.p.c. con riferimento all’art. 5 della legge 20.3.1865, all. E, nonchè difetto assoluto di motivazione, per avere il giudice di pace immotivatamente ritenuto che non fossero dovuti i canoni in eccedenza determinati con delibera n. 31/99, così disapplicando nella sostanza un atto amministrativo senza indicare la norma di legge violata, benchè il giudice ordinario debba compiere secundum legem il giudizio di conformità, anche quando si tratti di controversia non superiore ai due milioni di lire o alla somma equivalente in euro (secondo quanto statuito da Cass., n. 8375 del 2002).
Quand’anche si ritenesse che il giudice di pace abbia fatto implicito riferimento agli artt. 1599 e ss., disciplinanti la somministrazione, la sentenza sarebbe del pari censurabile, non essendo vietato – come affermato da questa corte con la menzionata sentenza – che il prezzo da corrispondere dal somministrato sia stabilito in riferimento ad una quantità minima delle cose da somministrare, e che sia dunque dovuto pure se il somministrato non si avvalga della facoltà di ottenere una prestazione maggiore.
2.2. La censura è infondata.
Il giudice di pace ha rilevato che con la citata delibera (peraltro indicata come 175/99 nella sentenza gravata) i consumi erano stati determinati in base a criteri presuntivi, non essendo stati accertati i consumi effettivi mediante la lettura del contatore. Ha peraltro affermato che i "canoni per quota fissa" erano invece dovuti.
La ratio della disapplicazione sta allora nel rilievo che il comune aveva unilateralmente disposto il livello dei consumi "presuntivi" senza un accordo contrattuale, costituente l’ovvio presupposto (legale) della richiesta di somme di denaro in base ad un patto negoziale ed in carenza di potere impositivo.
Il richiamo a Cass., n. 8375/2002 è dunque improprio, anche in ordine al secondo principio affermato, giacchè non vengono in considerazione i principi del contratto di somministrazione (che non vietano un accordo prevedente l’obbligo del somministrato di corrispondere comunque una somma minima, quand’anche i suoi consumi siano inferiori all’equivalente delle cose effettivamente richieste al somministrante), ma quello di cui all’art. 23 Cost. ("nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge"), quello sulle fonti delle obbligazioni posto dall’art. 1173 c.c. e quello sul contenuto del contratto, determinato dall’"accordo" delle parti ai sensi dell’art. 1321 c.c..
3.1. Col quinto e col sesto motivo – che possono congiuntamente esaminarsi – la sentenza è censurata, in riferimento all’art. 360, n. 5, c.p.c., per omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, per motivazione contraddittoria e perplessa, e per violazione dei principi generali in tema di prescrizione.
La prima delle due censure (quinto motivo) concerne le quote in eccedenza richieste per il 1993 (ma qui può essere esaminata solo la quota afferente al consumo dell’acqua, avendo le sezioni unite dichiarato la giurisdizione delle commissioni tributarie per i canoni di fognatura e depurazione), il cui credito il giudice di pace ha ritenuto prescritto senza considerare che il termine della prescrizione – fosse esso quello ordinario ovvero quello quinquennale di cui all’art. 2948 c.c. – non poteva che decorrere dalla data dell’introduzione della quota in eccedenza, e dunque dal giorno (5.2.99) di adozione della relativa delibera n. 31.
La seconda censura (sesto motivo) attiene alla dichiarata prescrizione della quota fissa dovuta per l’anno 1993, ed è da considerarsi qui limitata alla fornitura d’acqua per gli stessi motivi sopra indicati.
3.2. Premesso che alle quote in eccedenza per l’anno 1993 (quinto motivo) comunque si attaglia la ratio decidendi adottata per le quote in eccedenza relative agli anni più recenti (considerata sopra, sub 2.2.), sicchè va solo corretta la motivazione sul punto, in ordine al sesto motivo va rilevato che il comune ricorrente, al di là della formale denuncia di vizio di motivazione, prospetta in realtà una violazione di legge laddove si duole che sia stata fatta applicazione del termine prescrizionale di cinque anni di cui all’art. 2948, relativo a "tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o a termini più brevi", pur in mancanza di un contratto di somministrazione fra il privato e l’amministrazione comunale.
Mancanza che avrebbe comportato l’applicazione del termine ordinario di prescrizione (fissato in dieci anni dall’art. 2946 c.c), difettando in tali casi un patto e, dunque, un’obbligazione qualificabile come periodica.
La censura, nei suindicati termini intesa, è inammissibile.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 206/2004. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 113, comma 2, c.p.c., nella parte in cui non prevede che il giudice di pace, nelle decisioni pronunciate secondo equità per ragioni di valore, debba osservare i "principi informatori" della materia.
Per effetto di tale pronuncia le sentenze di equità sono quindi suscettive di ricorso per Cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per la violazione dei detti principi.
Ne consegue che deve ritenersi ammissibile, con il ricorso per Cassazione avverso sentenza di equità, la denuncia di violazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. (già esclusa dalla giurisprudenza di questa Corte con riferimento alle norme sostanziali dettate da leggi ordinarie: S.U, n. 716/1999), soltanto in relazione alla violazione di "principi informatori" della materia, e cioè di principi ai quali deve ispirarsi la disciplina positiva nel regolare un istituto in attuazione dei principi costituzionali (Corte cost. cit.), restando invece ancora preclusa la denuncia di violazione di specifiche norme di diritto sostanziale.
Nella specie si verte in ipotesi di sentenza emessa secondo equità in base al valore della causa e l’erroneità, in diritto, della regola di giudizio adottata, non è denunciata con il ricorso (proposto anteriormente alla pronuncia della sentenza della Corte costituzionale n. 206/2004) in termini che possano consentire di riferirla alla prospettazione della violazione di un "principio informatore" della materia "prescrizione dei diritti" (e cioè della materia concernente l’estinzione dei diritti connessa al trascorrere del tempo nell’inerzia del titolare), bensì in termini che la riconducono alla asserita violazione di una specifica disciplina di dettaglio dell’istituto della prescrizione (quella dettata dall’ars.
2948, n. 4, c.c.).
Ma una violazione siffatta non è denunciabile con il ricorso per Cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., nei termini (restrittivi) nei quali risulta ora applicabile, in relazione alle sentenze di equità, a seguito della sentenza della Corte costituzionale. Dalla affermata soggezione del giudice di pace, nel formulare la regola di giudizio, alla sola osservanza dei principi informatori della materia, consegue che il giudice di pace nelle decisioni di equità non è invece tenuto all’osservanza della disciplina di dettaglio nell’ambito di una determinata materia, ben potendo la regola di giudizio equitativa non corrispondere alla specifica regola dettata dal diritto positivo, salvo il limite della esorbitanza dai confini dei principi ai quali la disciplina della materia si ispira. Esorbitanza che, nella specie, non è stata neppure implicitamente dedotta.
Il vizio di motivazione è del resto infondatamente prospettato, avendo il giudice di pace chiarito – mediante il riferimento alla disposizione di cui all’art. 2984, quarto comma, c.c." (da intendersi come art. 2948, n. 4, c.c., non esistendo un art. 2984) – che egli riteneva che il credito derivasse da un’obbligazione periodica o di durata.
4. Il ricorso va conclusivamente respinto. in relazione all’avvenuto accoglimento (da parte delle sezioni unite) del solo motivo attinente alla giurisdizione sulla domanda relativa al canone del servizio di fognatura e depurazione, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità.

P. Q. M.
LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2005

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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