Cassazione civile anno 2005 n. 1278 Servizi comunali Litisconsorzio Procedimento davanti al pretore e al giudice di pace Sentenza secondo equità

COMUNE E PROVINCIA INTERVENTO IN CAUSA E LITISCONSORZIO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
X X, premesso che il Comune di Tito, con delibere di giunta n. 452 del 6.12.1997 e n. 175 dell’1.9.1999, aveva previsto, in relazione alla fornitura dell’acqua effettuata negli anni precedenti, il pagamento di un canone costituito da una quota fissa per le famiglie composte da una o due persone e da una quota di eccedenza, fissata in mc. 50, per le famiglie composte da tre o più persone, oltre al versamento degli oneri per i servizi di fognatura e depurazione determinati in misura percentuale rispetto al canone, ed aveva quindi inviato, tramite la società X di Potenza, avviso di pagamento di quanto dovuto per le varie annualità, ha convenuto con citazione davanti al giudice di pace di Potenza il Comune per sentir dichiarare non dovute le somme richieste.
Il Giudice di pace di Potenza, pronunciando sentenza di equità in ragione del valore della causa, ha ritenuto la propria giurisdizione, contestata dal convenuto, e, nel merito, in accoglimento della domanda, ha dichiarato non dovute le somme richieste dal comune per il servizio idrico a titolo di eccedenza per il 1996, 1998 e 1999; ha ritenuto dovute le somme relative alla quota fissa di canone idrico ed al canone per il servizio di depurazione e fognatura per gli stessi anni; ha dichiarato prescritto l’intero credito relativo agli anni 1994 e 1995.
Avverso la sentenza il Comune di Tito ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo cinque motivi, il secondo dei quali attinenti alla giurisdizione.
L’intimato non ha svolto difese.
Le Sezioni unite hanno accolto il secondo motivo, dichiarando la giurisdizione delle Commissioni tributarie sulla domanda inerente al canone dei servizi di fognatura e depurazione, e cassando sul punto la sentenza impugnata.
Gli atti sono stati quindi rimessi a questa sezione per l’esame degli altri motivi.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente si duole – denunciando violazione degli artt. 102 e 331 c.p.c. ed omessa pronuncia su punto decisivo – che il contraddittorio non sia stato integrato nei confronti della società X, che aveva emesso l’avviso di pagamento nella sua veste di esattore e che pertanto era litisconsorte necessario.
1.1. Il motivo è infondato.
Va rilevato che, essendo stata proposta domanda di accertamento negativo di un credito del comune verso l’utente, ed essendo l’esattore, quale soggetto incaricato della riscossione del credito, del tutto estraneo al rapporto sostanziale in contestazione (sent.
11746/2004), non ricorrono i presupposti di cui all’art. 102, comma 1, c.p.c..
2. Con il terzo motivo è denunciata violazione degli artt. 113 e 114 c.p.c. con riferimento all’art. 5 della legge 20.3.1865 n. 2248, all.
E, nonchè difetto assoluto di motivazione.
Sostiene il ricorrente che il giudice di pace, ritenendo immotivatamente che non fossero dovute le quote di eccedenza determinate con le delibera di giunta n. 452/1999 e n. 175/1999, avrebbe disapplicato un atto amministrativo senza indicare la norma di legge violata, mentre il giudice ordinario è tenuto a compiere secundum legem il giudizio di conformità, anche quando si tratti di controversia non superiore ai due milioni di lire o alla somma equivalente in euro (secondo quanto statuito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 8375/2002).
Afferma inoltre che, pur volendo ritenere che il giudice di pace abbia fatto implicito riferimento agli artt. 1599 e seguenti c.c., disciplinanti la somministrazione, la sentenza sarebbe egualmente censurabile, non essendo vietato – come affermato dalla Corte di Cassazione con la suindicata sentenza – che il prezzo da corrispondere dal somministrato sia stabilito con riferimento ad una quantità minima delle cose da somministrare e che sia dunque dovuto anche se il somministrato non si avvalga della facoltà di ottenere una prestazione maggiore.
2.2. La censura è infondata.
Il giudice di pace ha rilevato che con la delibera della giunta comunale i consumi erano stati determinati in base a criteri presuntivi, non essendo stati accertati i consumi effettivi mediante la lettura del contatore. Ha peraltro riconosciuto che "i canoni per quota fissa" erano invece dovuti.
La ratio della disapplicazione risiede allora nel rilievo che il comune aveva unilateralmente disposto il livello dei consumi "presuntivi" senza un accordo contrattuale, costituente l’ovvio presupposto (legale) della richiesta di somme di denaro in base ad un patto negoziale ed in carenza di potere impositivo.
Il riferimento alla sentenza n. 8375/2002 di questa Corte è dunque improprio, anche in ordine al secondo principio ivi enunciato, richiamato dal ricorrente nel secondo profilo di censura, giacchè non vengono in considerazione i principi del contratto di somministrazione (che non vietano un accordo che preveda l’obbligo del somministrato di corrispondere comunque una somma minima, quand’anche i suoi consumi siano inferiori all’equivalente delle cose effettivamente richieste al somministrante), ma quello di cui all’art. 23 Cost. ("nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge"), quello sulle fonti delle obbligazioni posto dall’art. 1173 c.c. e quello sul contenuto del contratto, determinato dall’accordo delle parti ai sensi dell’art. 1321 c.c., ai quali il giudice di pace, nel fornire giustificazione della disposta disapplicazione, si è implicitamente riferito.
3. Con il quarto motivo la sentenza è censurata, in riferimento all’art. 360, n. 5, c.p.c., per omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, per motivazione contraddittoria e perplessa, e per violazione dei principi generali in materia di prescrizione.
La censura concerne le quote in eccedenza richieste per il 1994 e 1995 (ma in questa sede può essere esaminata solo la questione relativa alla quota afferente al consumo dell’acqua, avendo le Sezioni unite dichiarato la giurisdizione delle Commissioni tributarie per i canoni di fognatura e depurazione). Assume il ricorrente che il giudice di pace ha ritenuto prescritto il credito senza considerare che il termine della prescrizione, fosse esso quello ordinario ovvero quello quinquennale di cui all’art. 2948 c.c., non poteva che decorrere dalla data dell’introduzione della quota in eccedenza, e dunque dal giorno (1.9.1999) di adozione della relativa delibera n. 175/1999. 3.1. Il motivo va disatteso.
Va infatti rilevato che alle quote di eccedenza per le indicate annualità comunque si attaglia la ratio decidendi adottata per la disapplicazione della delibera di giunta sulle quote di eccedenza relative agli anni più recenti (oggetto delle considerazioni svolte nel precedente paragrafo 2.2.), sicchè, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., va solo corretta in tal senso la motivazione.
4. Con il quinto motivo la sentenza è censurata, in riferimento all’art. 360, n. 5, c.p.c., per omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, motivazione contraddittoria e perplessa, violazione dei principi generali in tema di somministrazione.
La censura attiene alla dichiarata prescrizione della quota fissa dovuta per gli anni 1994 e 1995 (e va esaminata limitatamente alla fornitura di acqua, per gli stessi motivi sopra indicati). Assume il ricorrente che il giudice di pace ha fatto applicazione dell’art. 2248 c.c. affermando che si trattava di obbligazione periodica o di durata, ma tale statuizione sarebbe errata non essendo prevista la periodicità della prestazione nè da una norma di legge nè da un contratto di somministrazione, nella specie non stipulato tra il comune l’utente.
4.1. Il motivo va disatteso.
11 comune ricorrente, al di là della formale denuncia di vizio di motivazione, prospetta in realtà una violazione di legge laddove si duole che, nel dettare la regola di giudizio, sia stata fatta applicazione del termine prescrizionale di cinque anni di cui all’art. 2948, n. 4, c.c., relativo a "tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o a termini più brevi", laddove, difettando, in mancanza di un contratto di somministrazione fra il privato e l’amministrazione comunale, un patto e, dunque, un’obbligazione qualificabile come periodica, avrebbe dovuto essere applicato il termine ordinario di prescrizione (fissato in dieci anni dall’art. 2946 c.c.).
La censura, nei suindicati termini intesa, è inammissibile.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 206/2004, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 113, comma 2, c.p.c., nella parte in cui non prevede che il giudice di pace, nelle decisioni pronunciate secondo equità per ragioni di valore, debba osservare i "principi informatori" della materia.
Per effetto di tale pronuncia le sentenze di equità sono quindi suscettive di ricorso per Cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per la violazione dei detti principi.
Ne consegue che deve ritenersi ammissibile, con il ricorso per Cassazione avverso sentenza di equità, la denuncia di violazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. (già esclusa dalla giurisprudenza di questa Corte con riferimento alle norme sostanziali dettate da leggi ordinarie: S.U. n. 716/1999), soltanto in relazione alla violazione di "principi informatori" della materia, e cioè di principi ai quali deve ispirarsi la disciplina positiva nel regolare un istituto in attuazione dei principi costituzionali (Corte cost. cit.), restando invece ancora preclusa la denuncia di violazione di specifiche norme di diritto sostanziale.
Nella specie si verte in ipotesi di sentenza emessa secondo equità in base al valore della causa e l’erroneità, in diritto, della regola di giudizio adottata, non è denunciata con il ricorso (proposto anteriormente alla pronuncia della sentenza della Corte costituzionale n. 206/2004) in termini che possano consentire di riferirla alla prospettazione della violazione di un "principio informatore" della materia "prescrizione dei diritti" (e cioè della materia concernente l’estinzione dei diritti connessa al trascorrere del tempo nell’inerzia del titolare), bensì in termini che la riconducono alla asserita violazione di una specifica disciplina di dettaglio dell’istituto della prescrizione (quella dettata dall’art. 2948, n. 4, c.c.).
Ma una violazione siffatta non è denunciabile con il ricorso per Cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., nei termini (restrittivi) nei quali risulta ora applicabile, in relazione alle sentenze di equità, a seguito della sentenza della Corte costituzionale. Dalla affermata soggezione del giudice di pace, nel formulare la regola di giudizio, alla sola osservanza dei "principi informatori" della materia, consegue che il giudice di pace nelle decisioni di equità non è invece tenuto all’osservanza della disciplina di dettaglio nell’ambito di una determinata materia, ben potendo la regola di giudizio equitativa non corrispondere alla specifica regola dettata dal diritto positivo, salvo il limite della esorbitanza dai confini dei principi ai quali la disciplina della materia si ispira. Esorbitanza che, nella specie, non è stata neppure implicitamente dedotta.
4. In conclusione, il ricorso è rigettato.
5. Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di Cassazione.

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2005

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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