Cassazione civile anno 2005 n. 1198 Base imponibile Rimborso

IMPOSTA REDDITO PERSONE FISICHE E GIURIDICHE SANITA’ E SANITARI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
Il Dott. X X, medico specialista ambulatoriale presso il S.S.N., chiese al competente ufficio finanziario la restituzione delle somme ritenute ai fini IRPEF dall’X sulla somma corrisposta all’atto della cessazione del rapporto di lavoro per la parte corrispondente ai contributi previdenziali versati. Sostenne che l’indennità suddetta, almeno nella misura corrispondente ai versamenti da essa operati, non costituiva reddito imponibile.
Formatosi il silenzio-rifiuto, propose opposizione alla Commissione tributaria provinciale di Catania, che accolse il ricorso con la sentenza n. 704/09/99 che, impugnata dall’amministrazione finanziaria innanzi alla Commissione tributaria regionale della Sicilia sezione staccata di Catania, venne confermata con sentenza n. 148/34/03 del 7.7-21-7.03.
Contro questa decisione il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate propongono ora ricorso per Cassazione che hanno affidato a due motivi. L’intimato ha resistito controricorso.

Motivi della decisione
Col primo mezzo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del d.p.r. n. 602/73, criticano la pronuncia impugnata lamentandone l’erroneità nella parte in cui si afferma che il computo del termine di decadenza di diciotto mesi, sancito nella norma rubricata, deve essere effettuato considerando quale dies a quo la data dell’ultimo pagamento ricevuto dal contribuente. E’ pacifico che il suddetto termine decadenziale trova applicazione per i rapporti cessati dopo l’entrata in vigore della legge n. 482/1985, e, dunque, è errato, in tale prospettiva, il richiamo alla giurisprudenza richiamata dalla CTR – Cass. n. 7770/93 – che assegna rilevanza alla data dell’ultima erogazione in caso di pagamento frazionato, avuto però riguardo ai rapporti cessati prima del 1 gennaio 1980.
Col secondo mezzo, i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 16, 17 e 18 del d.p.r. n. 917/86, ed osservano, a sostegno della censura, che il rapporto fra medico specialista ambulatoriale e S.S.N., siccome ha ad oggetto collaborazione continuativa e coordinata, è riconducibile ontologicamente allo schema negoziale del rapporto di lavoro autonomo, nè tale inquadramento riceve smentita in considerazione del fattorie prestazioni vengono svolte in ambito ambulatoriale, ovvero in regime di convenzionamento esterno, dal momento che questo solo elemento non può sostanziare il vincolo di subordinazione. Di qui l’erroneità della pronuncia censurata, che è pervenuta ad inammissibile e, peraltro, immotivata, assimilazione dell’indennità di buonuscita in discussione con le somme erogate a titolo di trattamento di fine rapporto. Il resistente replica alla censura deducendo anzitutto l’inammissibilità del ricorso, siccome è stato notificato erroneamente presso lo studio dell’Avv. X, al quale aveva però revocato il mandato sostituendolo con il Dott. X X, presso il quale neppure aveva peraltro eletto domicilio, con la conseguenza che la notifica del ricorso doveva essere effettuata presso il suo domicilio, come del resto, per sua stessa ammissione, è avvenuto. Per altro verso deduce che il presente giudizio d’impugnazione è stato introdotto tardivamente, dal momento che l’ultimo giorno utile per la notifica del ricorso scadeva il 14.11.03, data nella quale la notifica fu chiesta ma non eseguita, essendo stato l’atto inviato a mezzo del servizio postale il giorno successivo.
Nel merito replica alle critiche dei ricorrenti ribadendo la correttezza della conclusione cui è pervenuta la Commissione di gravame, sostenendo nel contempo che, nel caso di specie, trovando applicazione l’art. 37 del d.p.r. n. 602/73, occorre tener conto del termine di prescrizione decennale. In subordine, rilevato che l’indennità di buonuscita non è stata erogata in unico contesto ma in due soluzioni, osserva che correttamente la CTR ha tenuto conto, ai fini del computo del termine di decadenza, della data dell’ultimo pagamento.
In relazione al secondo motivo osserva che il trattamento tributario deve essere applicato al caso di specie qualificando il rapporto professionale nella categoria del rapporto di lavoro subordinato.
In linea preliminare deve esaminarsi l’eccezione formulata dal resistente, che deve essere rigettata in ciascuno degli aspetti in cui è stata rappresentata.
Ed invero, in ordine al primo profilo, deve rilevarsi che dal momento che il ricorso introduttivo di questo giudizio è stato anche notificato, ex art. 17 del d.lgs. n. 546/92, personalmente al ricorrente, che lo ha ricevuto e si è costituito, difetta del tutto un qualsiasi suo interesse, giuridicamente protetto, alla questione, che appare in realtà mossa da ragioni riconducibili a mero formalismo accademico, prive di rilevanza in concreto.
Ne discende la palese inammissibilità della relativa eccezione.
Sotto l’altro profilo, la deduzione è sicuramente infondata, siccome il procedimento attinente alla notifica del ricorso ha avuto impulso in tempo utile, in data 14.11.3003, che rappresenta l’ultimo giorno entro il quale poteva essere proposta la presente impugnazione, dal momento che la pronuncia impugnata fu incontrovertibilmente notificata il giorno 15 settembre 2003.
Il ricorso reca utili indicazioni a margine, rappresentate sia dal numero 30977 riferibile al cronologico, sia dalla nota delle spese inerenti la notifica, debitamente compilata e sottoscritta dall’ufficiale giudiziario, recante la data del 14.11.2003, che come da annotazione, chiaramente aggiunta dalla parte che aveva chiesto la notifica, è altresì indicata come "ultimo giorno", che, lette in unico contesto, testimoniano che l’atto da notificare fu ricevuto dall’ufficiale giudiziario alla data suddetta del 14 novembre. Sulla scorta delle pronunce del giudice delle leggi n. 477/2002 e n. 28/2004, è pacifico che, sia in tema di notificazione a mezzo del servizio postale che in caso di notifica eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c., il procedimento di notifica si perfeziona, con riguardo ai suoi effetti per il notificante, al compimento delle formalità poste a suo carico, e dunque, in sostanza, alla data della consegna dell’atto notificando all’ufficiale giudiziario, fermo il principio che, con riguardo al destinatario, il suddetto effetto si produce solo alla data della sua ricezione dell’atto, attestata dall’avviso di ricevimento sia del plico postale che lo contiene, ovvero della raccomandata inoltrata ai sensi dell’art. 140 c.p.c. E dunque poichè nel caso in esame, come si è sopra rilevato, le formalità che gravavano sulla parte ricorrente vennero espletate alla data del 14 novembre 2003, ancora utile, la presente impugnazione è sicuramente tempestiva. Nel merito, il ricorso merita accoglimento per quanto di ragione.
La doglianza espressa nel secondo motivo, la cui disamina è sicuramente prioritaria per evidenti ragioni di ordine logico, è infondata dal momento che l’indennità in discussione, erogata ai sensi dell’art. 8 del D.M. 15 ottobre 1976, in quanto è connessa alla cessazione del rapporto di lavoro, ed è commisurata ad un reddito a formazione pluriennale, cui ha concorso anche la contribuzione del professionista, in mancanza di specifica previsione normativa che la riguardi, non è soggetta a tassazione nella parte formata dai contributi previdenziali a totale carico del dipendente, in applicazione del principio sancito dal giudice delle leggi con la sentenza n. 178 del 27.7.86, secondo il quale le indennità di buonuscita erogate dall’ENPAS, limitatamente alla quota relativa ai versamenti a carico del dipendente, non devono essere sottoposte a tassazione.
I giudici del merito hanno fatto buon governo di questo principio, dichiarando illegittima la trattenuta fiscale IRPEF sulla parte dell’indennità risultante dalla contribuzione previdenziale versata dalla ricorrente, e tale loro decisione è senza dubbio corretta, data la chiara assimilazione della suddetta indennità al trattamento di fine rapporto, essendo, ad ogni buon conto, riferita alla cessazione del rapporto di lavoro riconducibile a quello dipendente.
Resta assodato che, per quel che interessa in questa sede, l’indennità erogata dall’X, ai sensi del D.M. citato, a conclusione del rapporto fra la contribuente, medico specialista ambulatoriale ed il S.S.N., rapporto che mutua elementi peculiari sia del rapporto di lavoro autonomo sia del rapporto di lavoro subordinato, è sottoposto al regime fiscale applicabile alle "altre indennità e somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione dei predetti rapporti" pur sempre connesse alla cessazione di rapporto di lavoro, che, in assenza di specifica disciplina, vanno ricondotte alla citata previsione residuale, nella considerazione che trattasi di reddito a formazione pluriennale, e, trova, quindi, regolamentazione nell’art. 17 del T.U.I.R." (cfr. Cass. n. 6065/02, n. 7982/2001, n. 4290/1999, n. 6065/02).
Trattasi infatti di compenso differito, che deve essere calcolato collegando il suo ammontare complessivo alla somma di una mensilità per ogni anno di servizio, determinata ciascuna secondo il suo variabile numero di ore ed a seconda della corresponsione o meno, nell’anno, della indennità di disponibilità, come previsto dall’art. 38 dell’accordo collettivo per i medici specialisti ambulatoriali approvato con il DPR n. 500/1996 (v. Cass. n. 3305/02).
L’impugnata decisione che ha accolto le ragioni del contribuente, avendo accertato che l’X, in sede di liquidazione dell’indennità, si era limitata ad applicare l’aliquota comunicata dall’X, senza effettuare verifiche e distinguo nei conteggi, e senza per l’effetto tener conto della percentuale di abbattimento, di cui alla previsione legislativa citata, e del principio enunciato nella sentenza della Corte Costituzionale n. 178 del 27/06/1986, non è però immune dalle critiche addotte dal ricorrente nel primo motivo, sicchè il ricorso deve trovare accoglimento per quanto di ragione. Anzitutto deve rilevarsi che la Commissione regionale ha correttamente applicato al caso di specie la disposizione contenuta nell’art. 38 del d.p.r. n. 602/73, nel cui paradigma pacificamente rientra la fattispecie esaminata, verificando in concreto se, ai fini del rimborso delle ritenute non dovute, il termine di decadenza ivi sancito fosse o non inutilmente consumato.
La pronuncia in esame, inoppugnabile in ordine a siffatto profilo della statuizione, è sicuramente immune dalle censure che invece muove ad essa il resistente che ribadisce l’eccezione, che, come risulta dal testo della pronuncia impugnata, era stata già dedotta in sede di merito, secondo cui la norma suddetta non disciplina il suo caso, dal momento che esso rientra nella previsione di cui all’art. 37 del medesimo d.p.r. n. 602/73, sull’assunto che la ritenuta è stata effettuata sull’indennità che gli è stata erogata in relazione a rapporto di lavoro alle dipendenze dello Stato.
L’X, infatti, prosegue il professionista, pur non essendo considerato organo dell’Amministrazione in senso stretto, è, però, privo di autonomia, svolgendo attività di mera cooperazione nell’erogazione ai medici delle indennità relative a servizio prestato per lo Stato, con la conseguenza che la ritenuta controversa deve ritenersi direttamente riferibile allo Stato, per suo tramite.
Anzitutto deve rilevarsi che suddetta eccezione è meritevole di essere esaminata, ancorchè non sia stata recepita in atto d’impugnazione incidentale, dal momento che la pronuncia in esame contiene statuizione favorevole al controricorrente, che, essendo risultato vittorioso, non aveva perciò interesse all’impugnazione, benchè la decisione, impugnata dalla controparte, avesse implicitamente rigettato la sua eccezione. L’accoglimento integrale della sua domanda, esonerandolo dal proporre a sua volta impugnazione, lo onerava invece della mera riproposizione in questa sede dell’eccezione, alla cui verifica ha sicuro interesse, alla quale ha diligentemente provveduto (cfr. Cass. n. 6491/2003).
Nel merito la suddetta eccezione è però palesemente infondata. La disciplina contenuta nell’37 citato si applica nel solo caso di rimborso delle ritenute dirette operate dallo Stato e dagli enti pubblici soggetti alle disposizioni sulla contabilità generale dello Stato, veste quest’ultima che sicuramente l’X non ricopre nei confronti dei propri dipendenti, e permette loro di attuare la compensazione fra il credito dell’Amministrazione medesima ed eventuale controcredito (cfr. per tutte Cass. n. 7877/2003 e n. 198/2004). Ogniqualvolta il datore di lavoro sia soggetto diverso dall’amministrazione statale, benchè esso abbia natura di soggetto pubblico, nondimeno trova applicazione la norma generale contenuta nel successivo art. 38. Tanto premesso, la censura dedotta nel motivo d’impugnazione in esame deve essere accolta. La Commissione regionale ha, infatti, erroneamente asserito che per il computo del suddetto termine occorresse farsi riferimento, quale dies a quo, alla data dell’ultimo pagamento dell’indennità, considerato che essa è stata erogata in due soluzioni, ed a suffragio di quest’esegesi ha richiamato la pronuncia di questa Corte n. 7770/93, che confermerebbe la conclusione secondo la quale l’indennità, corrisposta in maniera frazionata, ha indiscusso carattere unitario e globale.
In realtà il precedente citato ha asserito che, "con riguardo alla ritenuta I.R.P.E.F. operata dall’ X sull’indennità di buonuscita corrisposta al dipendente statale (o al dipendente X collocato a riposo), la pretesa di rimborso è soggetta al termine di decadenza di cui all’art. 38, citato, vertendosi in tema di ‘versamento direttò, non di ‘ritenuta direttà, ove si tratti d’indennità liquidate fino al 1 gennaio 1980, mentre, in caso di liquidazione posteriore, la decadenza è esclusa dal combinato disposto dagli artt. 4 e 5 della legge 26 settembre 1985 n. 482, che prevedono l’operatività dei nuovi criteri di tassazione "in ogni caso" ad istanza dell’interessato. Pertanto, ove il pagamento non sia avvenuto in unico contesto la data discriminatrice del 1 gennaio 1980 viene in considerazione con riguardo all’ultima erogazione, proiettandosi la riliquidazione sull’intera indennità e non percentualmente solo sulle parti di essa che siano state liquidate dopo tale data…".
La pronuncia dunque fa riferimento ad un caso diverso da quello cui è stato applicato il principio in essa enunciato, giacchè riguarda l’istituto della riliquidazione, introdotto dalla legge n. 482/1985, e pertanto non si adatta a regolare anche l’ipotesi ora in esame.
Occorre piuttosto ricordare che, nell’orientamento di questa Corte, formatosi anch’esso, in verità, in relazione a fattispecie non proprio omologa, (cfr. Cass. n. 9885/2003), si è sostenuto il diverso principio secondo cui "il termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso delle imposte sui redditi in caso di versamenti diretti, previsto dall’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (il quale concerne tutte le ipotesi di contestazione riguardanti i detti versamenti), decorre, nella ipotesi d’effettuazione di versamenti in acconto, dal versamento del saldo solo nel caso in cui il relativo diritto derivi da un’eccedenza degli importi anticipatamente corrisposti rispetto all’ammontare del tributo che risulti al momento del saldo complessivamente dovuto, oppure rispetto ad una successiva determinazione in via definitiva dell’"an" e del "quantum" dell’obbligazione fiscale, mentre non può che decorrere dal giorno dei singoli versamenti in acconto nel caso in cui questi, già all’atto della loro effettuazione, risultino parzialmente o totalmente non dovuti, poichè in quest’ipotesi l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sussistono sin da tale momento (v. nel medesimo segno Cass. n. 11682/2002).
In sostanza ciò vuoi dire che, in caso d’eccedenza di versamenti in acconto, considerato che l’inesistenza dell’obbligo di versamento – richiesta, fra l’altro, dal citato art. 38 – si può verificare sia nel caso in cui sin dall’origine non vi è tale obbligo in tutto o in parte, sia in quello in cui, pur sussistendo l’obbligo al momento del pagamento dell’acconto, detta eccedenza risulti al momento della determinazione del saldo, è onere del contribuente dimostrare che non fu in grado di accertare, allorchè ottenne il pagamento del primo rateo della somma sulla quale era stato effettuato il versamento, la misura del tributo applicato, e quindi di verificare se essa fosse o non conforme al dettato della norma applicabile. Ciò perchè il versamento dell’imposta ha una sua autonomia riguardo all’obbligazione tributaria riguardante l’esercizio in cui è eseguito, dal momento che ciascun pagamento effettuato in favore del contribuente è a sua volta autonomo rispetto a quelli successivi, benchè riferentisi tutti al medesimo rapporto tributario. Nel caso di specie il contribuente non ha neppure dedotto nè di non essersi trovato in condizione di valutare, all’atto del versamento della prima frazione d’indennità, se vi fosse un’eccedenza d’imposta a suo favore, nè che il suo diritto al rimborso di detta eccedenza sia emerso solo in sede di versamento del saldo.
Ne discende per ovvio corollario che, ai fini della tempestività della domanda in contestazione, l’organo di merito avrebbe dovuto procedere alla verifica della tempestività dell’istanza di rimborso, che dal testo della sentenza impugnata risulta proposta il giorno 28.9.94 ed appare indiscussa e pacifica riguardo al versamento eseguito in occasione della percezione del saldo in data 8.4.93, ma non in relazione al primo rateo, datato invece 14.7.92.
A tal uopo, l’impugnata sentenza deve essere pertanto cassata con rinvio degli atti ad altra sezione della C.T.R. Catania, che dovrà provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

P. Q. M.
Accoglie per quanto di ragione il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della C.T.R. della Sicilia anche per le spese di questo giudizio.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2005

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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