Cassazione civile anno 2005 n. 1187 Leasing Imposta incremento valore immobili

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI TRIBUTI LOCALI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
Con sentenza n. 3/16/95 la Commissione tributaria provinciale di Milano respinse il ricorso della società X Roma s.p.a, diretto contro il silenzio-rifiuto formatosi sulla sua istanza di rimborso della somma di L. 31.551.000, versata a titolo di maggiore imposta INVIM in relazione al riscatto esercitato, con atto registrato in data 22.12.93, dall’utilizzatore di un immobile da essa concesso in X. La contribuente aveva sostenuto che l’imposta controversa dovesse essere determinata sul valore del bene calcolato con riguardo alla somma attualizzata dei canoni non ancora corrisposti sino al 31.12.92 ed al prezzo di riscatto, e non già alla somma dei canoni già versati compreso il prezzo di riscatto.
Avverso detta decisione la contribuente propose appello alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, criticando la tesi convalidata dai primi giudici.
La Commissione adita, assumendo che il riscatto comunque realizza un trasferimento di un bene il cui valore prescinde dalle modalità di pagamento, sicchè, "seppure prestabilito fra le parti contraenti non può fare stato nei confronti della valutazione ai fini fiscali", rigettò il gravame.
La società ricorre ora per Cassazione articolando unico complesso motivo.
Resistono con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate.

Motivi della decisione
Col primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, e sostiene, a conforto della sua doglianza, che il giudice d’appello non ha correttamente interpretato la disposizione normativa contenuta nell’art 17 del d.lgs. n. 504/92, che deve essere letta in combinato con il d.p.r. n. 643/72 – art. 6 comma 2 -, che per i trasferimenti soggetti a IVA assume quale valore finale o iniziale i corrispettivi determinati ai fini IVA. Segnatamente espone che l’art. 17 del T.U. sulla Finanza locale summenzionato sancisce al comma 6 che l’imposta controversa, soppressa dal 1 gennaio 1993, deve essere corrisposta, se il suo presupposto applicativo si verifichi nell’anno 1993, solo limitatamente alla parte d’incremento maturato fino a tutto il 1992 che, secondo la circolare ministeriale n. 3 del 18.1.93, deve esser determinato in misura non inferiore a quello corrispondente al valore venale in comune commercio dell’immobile fino al 31.12.92.
Ciò vuoi dire, aggiunge la ricorrente, che occorre fare riferimento nel caso di specie, in cui la suddetta norma transitoria si applica, non al prezzo convenuto ma ad un valore diverso. Quindi il criterio seguito dai giudici del gravame è errato. Tenuto conto della peculiarità del contratto di X, la determinazione del valore ai fini INVIM non può prescindere dal vincolo contrattuale che attribuisce il diritto di riscatto all’utilizzatore, e dunque, deve essere effettuata attraverso una soluzione prettamente finanziaria, che faccia riferimento ai canoni non ancora corrisposti, integrati dal prezzo di riscatto, e cioè ad un importo che, in sostanza, rappresenta il prezzo effettivo di mercato del bene.
Rinvia, a conforto, agli spunti dottrinari citati che a suo avviso accreditano questa tesi, osservando che non è ipotizzabile che un ipotetico compratore sarebbe disposto a sborsare un prezzo superiore.
Per logico corollario, l’applicazione dell’imposta controversa col diverso criterio seguito dall’ufficio fa riferimento ad una plusvalenza imponibile solo immaginaria.
Di qui la specialità della fattispecie, confermata dalla medesima amministrazione nella Circolare n. 8 del 28 aprile 1992 che ha chiarito che il diritto di riscatto va apprezzato caso per caso.
Il panorama giurisprudenziale riferito (Cass. n. 1457/92), infine, conferma, secondo la ricorrente, questa interpretazione, affermando sia la rilevanza del vincolo contrattuale, sia l’erroneità del criterio fondato sulla somma dei canoni versati (Cass. nn. 12673/98, 10045/2000, 11395/2000, 5711/2001).
La ricorrente lamenta infine che la CTR ha, in maniera incomprensibile, ritenuto che i precedenti citati siano stati riferiti in modo parziale, laddove invece essi sono completi e pertinenti.
I resistenti replicano osservando che il criterio seguito dalla CTR è incensurabile dal momento che corrisponde a quello stabilito nella normativa applicabile alla specie. Il motivo è inammissibile.
L’art. 6 del d p.r. n. 643/72 in tema di INVIM prevede testualmente che "per i trasferimenti assoggettati ad Iva si assumono, quale valore finale o iniziale i corrispettivi determinati ai fini della detta imposta", ed alla sua stregua, in relazione al valore finale, si è tenuto conto non solo del prezzo di riscatto ma anche delle somme versate a titolo di canone o maxicanone che costituiscono un pagamento anticipato soggetto ad Iva.
L’art. 17 comma 7 del d.lgs n. 504/92 che ha istituito l’ICI sopprimendo l’INVIM, ha mutato il quadro normativo avendo stabilito che tale ultima imposta continuerà ad essere applicata "nelle ipotesi in cui il presupposto d’imposta si sia realizzato al 1 gennaio 1993 fino al 1 gennaio 2003, limitatamente alla parte di valore maturato sino al 31.12.92. A tal fine il valore finale da indicare nella dichiarazione è assunto in misura pari a quello dell’immobile alla data del 31.1.202".
La circolare Ministeriale n. 3 del 18.1.93, citata dalla ricorrente medesima, chiarisce che siffatto valore non può essere inferiore a quello venale del bene in comune commercio.
Lette in armonia suddette disposizioni, devesi affermare che l’incremento di valore determinato alla data anzidetta del 31.12.92, in relazione ai trasferimenti realizzati in periodo transitorio, non deve tener conto del corrispettivo ai fini Iva bensì del valore commerciale dell’immobile.
La pronuncia impugnata ha fatto buon governo di questo principio normativo, avendo sostenuto che, dal momento che il contratto di X realizza comunque un trasferimento, il valore del bene deve prescindere dalle modalità di pagamento del prezzo, e quindi, benchè il corrispettivo sia stato stabilito tra le parti, esso non può far stato ai fini fiscali. In conclusione, quindi, l’organo di gravame ha ritenuto che il valore commerciale del bene, che ha implicitamente individuato quale parametro legale di determinazione del valore finale essendo stato il riscatto esercitato in periodo transitorio, con atto 23.12.93, non necessariamente deve coincidere con il prezzo prestabilito, che ha, in fatto, ritenuto inadeguato, sulla premessa di principio, esatta, che le sue modalità di pagamento non necessariamente si riflettono sul valore "venale" del bene riscattato. Ha pertanto confermato la pronuncia dei primi giudici, i quali avevano rigettato la richiesta di rimborso formulata dalla società contribuente, che reclamava quale criterio di determinazione del valore commerciale dell’immobile la somma attualizzata dei canoni non ancora corrisposti alla data del 31.12.92 maggiorata del prezzo di riscatto, condividendo la valutazione di non congruità in concreto di siffatto parametro e la sua conseguente irrilevanza.
Questa conclusione appare anzitutto corretta sul piano formale.
Alla stregua della normativa sopra citata, infatti, il vincolo derivante dal contratto di X non necessariamente incide sul valore dell’immobile, siccome questo non è ancorato positivamente al prezzo stabilito contrattualmente, come avveniva nel precedente regime, ma deve determinarsi alla stregua del valore che ha sul mercato il bene non ancora riscattato (cfr. Cass. 7330/03).
Sotto altro profilo, deve peraltro rilevarsi che la valutazione condotta dai giudici di merito, i quali hanno escluso che il criterio rivendicato in giudizio dalla parte interessata fornisse utili argomenti di confutazione del valore di mercato dichiarato in sede di versamento dell’imposta e ragguagliato ai canoni già corrisposti oltre al prezzo di riscatto, non è sindacabile nel merito, siccome presuppone un riesame in fatto dell’adeguatezza di ciascuno dei parametri controversi, che certamente non è percorribile in questa sede di legittimità.
Trattasi in sostanza di una scelta fra le due indicazioni, quella che si basa sui canoni già versati e quella che tiene conto dei canoni non ancora scaduti, entrambi maggiorati del prezzo di riscatto, che non essendo stata predeterminata normativamente, è rimessa all’apprezzamento dell’organo di merito che, se è congruamente motivato, non può essere censurato. Non è quindi consentito affermare in linea di stretto principio che il valore venale dell’immobile riscattato dall’utilizzatore debba tener conto, salvo in ogni caso il prezzo di riscatto, della parte di prezzo residuo ovvero di quella già erogata, atteso che, in assenza di precisa indicazione normativa che ponga quale parametro insuperabile sia il prezzo convenuto sia l’una o l’altra parte di esso, la verifica della corrispondenza di ciascuno dei due criteri al valore del bene praticato in comune commercio deve condursi in fatto, e caso per caso.
Lo stesso precedente di questa Corte n. 10045/2001, invocato a sostegno della sua censura dalla ricorrente, pur laddove esamina, nel nuovo scenario normativo introdotto dall’art. del d.lgs. n. 504/92, la congruità dei diversi criteri indicati dalle parti contendenti ai fini della determinazione ai fini INVIM del valore finale dell’immobile riscattato, esclude che siffatto accertamento possa essere condotto in sede di legittimità investendo indagini di fatto non ammesse innanzi a questa Corte.
Tanto premesso il ricorso deve essere rigettato. Ricorrono giusti motivi per disporre la compensazione integrale delle spese di giudizio.

P. Q. M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2005

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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