Cassazione civile anno 2005 n. 1120 Cassa integrazione guadagni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
La Corte di appello di Bologna ha rigettato l’appello dell’X e confermato la sentenza del Tribunale di Ravenna – subentrato al Pretore – che aveva accolto la domanda di X X, proposta nella qualità di coniuge superstite di X X, di accertamento del diritto del defunto all’accredito dei contributi figurativi per il periodo 7 novembre 1988 – 7 novembre 1991, periodo nel quale era stato collocato in cassa integrazione guadagni straordinaria.
La controversia era stata promossa perchè l’X aveva annullato la contribuzione (figurativa) afferente al periodo di. cassa integrazione. L’X aveva impugnato la sentenza di primo grado limitatamente a due questioni: a) la declaratoria di nullità della sentenza di fallimento della X s.r.l., di cui l’assicurato era dipendente, aveva travolto anche la concessione della cassa integrazione guadagni, con la conseguente impossibilità di accreditare la contribuzione figurativa per il corrispondente periodo; b) l’art. 8, comma 3, d.l. n. 86 del 1988 richiedeva, per accedere al previsto trattamento di cassa integrazione salariale, e dunque per fruire della contribuzione figurativa, un’anzianità di lavoro effettivo alle dipendenze dell’impresa (la X) di almeno 90 giorni, che l’assicurato non possedeva, non avendo rilevanza il fatto che fosse già dipendente di altra impresa (C.M.S) della cui azienda si era resa acquirente la X. La Corte di appello ha risolto la prima questione facendo applicazione sia dell’art. 8, comma 4, l. 23 aprile 1981, n. 151, che riconosce la contribuzione figurativa in tutti i casi di sospensione del rapporto di lavoro con concessione della cassa integrazione guadagni, sia dell’art. 21 r.d.
16 marzo 1942, n. 267, che sancisce la salvezza degli atti compiuti a seguito della dichiarazione di fallimento, non potendosi fare distinzione tra revoca e nullità, e ciò con riguardo alla richiesta di concessione della cig avanzata dal curatore fallimentare (cassa integrazione concessa con la corresponsione dell’intero trattamento);
sulla seconda questione, ha interpretato la norma nel senso che si riferisce all’anzianità maturata nella stessa azienda, a prescindere dal soggetto titolare, cioè dall’imprenditore.
La cassazione della sentenza è domanda dall’X con ricorso per due motivi, al quale resiste con controricorso, ulteriormente precisato con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., X X.

Motivi della decisione
Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 4 e 5 l. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E), con riferimento all’art. 25, comma 7, l. 12 agosto 1977, n. 675 – introdotto dall’art. 2 l. 27 luglio 1979, n. 301 – e all’art. 8, comma 4, l. 23 aprile 1981, n. 155.
La tesi dell’Istituto ricorrente è che la salvezza, stabilita dall’art. 21, comma 1, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, degli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento, anche ad ammetterne l’applicabilità non solo all’ipotesi di revoca ma anche alla nullità della sentenza dichiarativa, non può certamente concernere i provvedimenti amministrativi che assumono a presupposto, richiesto dalla legge, il fallimento, con la conseguenza che, mancando il detto presupposto, i decreti ministeriali di concessione devono ritenersi contro legem e inidonei a fondare il diritto all’accredito della contribuzione figurativa, che non basta sia stata di fatto accreditata, dovendo trovare un valido fondamento giuridico.
Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma terzo, d.l. 21 marzo 1988, n. 86, convertito con legge 20 maggio 1988, n. 160, nonchè erronea motivazione su punto decisivo della controversia.
Afferma l’Istituto di aver contestato in appello che l’anzianità minima aziendale di 90 giorni, prevista dalla legge per poter accedere al trattamento di cassa integrazione, fruendo di conseguenza della contribuzione figurativa, potesse essere riconosciuta al X sulla base del lavoro prestato alle dipendenze della C.M.S. s.r.l., e ciò per il fatto che i dipendenti di questa erano stati licenziati nel mese di aprile 1987, venendo assunti ex novo il 3.11.1987 dalla X, sulla base di un accordo sindacale il cui contenuto escludeva la riconducibilità della vicenda all’art. 2112 c.c..
La Corte, rilevato che controversie analoghe sono già state decise (Cass. 3 luglio 2004, n. 12209, e 18 agosto 2004, n. 16173) e, in difetto di argomentazioni nuove, non vi è motivo di discostarsi dai precedenti, giudica infondati entrambi i motivi di ricorso.
Il primo motivo non è fondato perchè la sentenza impugnata ha disposto in modo conforme al diritto, dovendosi limitare la Corte a correggere la motivazione (art. 384, comma secondo, c.p.c.).
L’X ha certamente ragione nel censurare l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui si ricaverebbe dall’art. 8, comma 4, l. 23 aprile 1981, n. 155, che l’avvenuta concessione della cassa integrazione e la corresponsione del relativo trattamento sarebbero in ogni caso eventi sufficienti ai fini della contribuzione figurativa, restando priva di rilievo la non conformità al diritto.
E’ vero, invece, il contrario: non è il fatto materiale a fondare il diritto, ma la sospensione del rapporto di lavoro e il collocamento in cig ai sensi delle disposizioni che regolano la materia. Ha pure ragione (richiamando il precedente della Corte costituto dalla sentenza n. 3881/1999) nel sostenere che l’art. 21 l.f. non è pertinente alla questione, in quanto concerne la salvezza degli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi fallimentari, mentre nella specie sarebbe in questione la legittimità di un provvedimento amministrativo.
Ma l’Istituto ricorrente non considera, tuttavia, che la dichiarazione di fallimento non rappresenta, nella normativa di settore, il presupposto del potere amministrativo disciplinato dall’art. 2, comma 5, lett. e), della legge 12.8.1977, secondo cui l’allora esistente organo CIPI, su proposta del Ministro del lavoro e della previdenza sociale (secondo la denominazione dell’epoca), accerta la sussistenza, ai fini della corresponsione del trattamento previsto dall’art. 2 della legge 5 novembre 1968, n. 1115, e successive modificazioni, di specifici casi di crisi aziendale che presentino particolare rilevanza sociale in relazione alla situazione occupazionale locale ed alla situazione produttiva del settore.
Anche in difetto di indicazioni rigorose in ordine all’ambito in cui debbano svolgersi le valutazoni di competenza degli organi (CIPI e Ministero del Lavoro) contemplati dalla legge non si è mai dubitato del carattere discrezionale sia del potere propositivo attribuito dalla suddetta norma al Ministero del Lavoro, sia della deliberazione dell’organo collegiale – in ordine all’accertamento dell’evidenza dei presupposti tecnici e normativi previsti dalla legge per accedere al beneficio della CIGS – alla quale consegue il decreto ministeriale di concessione del trattamento di integrazione salariale.
Il fallimento dell’impresa era considerato, dal testo originario dell’art. 25 della stessa legge, soltanto ai fini della precisazione che "la dichiarazione di fallimento degli imprenditori titolari delle aziende di cui al primo comma dell’art. 24, non esclude l’applicazione dei commi quarto, quinto e ottavo del presente articolo ai lavoratori dipendenti delle suddette aziende" (comma sesto).
L’art. 2 del d.l. 26 maggio 1979, n. 159, introdotto dalla legge di conversione 27 luglio 1979, n. 301, ha aggiunto all’art. 25 della legge 12 agosto 1977, n. 675, dopo il sesto comma, un comma ulteriore:"Con effetto dal 1 gennaio 1979, nel caso di fallimento di aziende industriali, oltre ad applicarsi le disposizioni di cui al comma precedente, ove siano intervenuti licenziamenti, l’efficacia degli stessi è sospesa e i rapporti di lavoro proseguono ai soli fini dell’intervento straordinario della Cassa integrazione per crisi aziendale dichiarata ai sensi dell’art. 2 della presente legge, il cui trattamento può essere concesso per un periodo massimo di ventiquattro mesi, e del conseguente disposto del precedente art. 21, secondo comma". E’, quindi, evidente che il fallimento è preso in considerazione al fine di stabilire che la procedura concorsuale non preclude l’intervento straordinario; anzi, proprio la dichiarazione di fallimento potrebbe, in concreto, rappresentare un ostacolo all’accoglimento della domanda, ove costituisse indice di impossibilità di recupero occupazionale e produttivo, che costituisce il fine cui è preordinato l’intervento straordinario ex L. n. 675/77, in quanto accompagnato da determinate circostanze (quali, per es., il licenziamento di tutti i lavoratori e la mancata continuazione dell’attività produttiva) escludenti la possibilità di recupero produttivo e occupazionale).
Non si vede, pertanto – anche, prescindendo dal problema del momento in cui sarebbe sorta la condizione di illegittimità dell’atto e si sarebbe prodotta la caducazione degli effetti prodotti – come l’eliminazione della dichiarazione di fallimento (per nullità o revoca della sentenza) possa avere incidenza sulla legittimità del provvedimento di concessione del trattamento straordinario, travolgendo il periodo di sospensione ed eliminando l’effetto dell’accredito della contribuzione figurativa. In ordine al secondo motivo, la sentenza impugnata, sia nella narrazione della vicenda processuale che nella motivazione in diritto, ha dato atto – come del resto enunciato dallo stesso assicurato- che il rapporto di lavoro alle dipendenze della C.M.S. s.r.l. era cessato nel mese di aprile 1987 mentre l’assunzione alle dipendenze della X s.r.l. era avvenuta solo in data 3 novembre 1987.
Non risponde al vero, dunque, che il giudice di appello abbia omesso di considerare le contestazioni mosse con l’atto di appello in ordine all’insussistenza delle condizioni per applicare l’art. 2112 c.c, siccome al tempo dell’assunzione alle dipendenze della X non era più in corso il rapporto di lavoro con la C.S.M. L’effettiva ratio decidendi è stata, invece, al di là dell’uso di talune espressioni improprie, che l’anzianità richiesta dalla norma si computa con riferimento all’azienda, rimasta immutata nei suoi elementi oggettivi malgrado il cambiamento del titolare, senza che l’interruzione del rapporto di lavoro possa impedire il cumulo tra i diversi periodi.
Orbene, la correttezza sul piano del diritto di questo ragionamento non è stata censurata dall’X, che si limita a denunciare di avere, con l’atto di appello, dedotto che non vi era la prova che l’azienda fosse stata trasferita, siccome l’accordo sindacale 11.9.1987 conteneva elementi che inducevano a ritenere che fossero stati acquistati solo l’immobile e i macchinari.
Ma questa contestazione di fatto non è ammissibile in sede di legittimità, avendo la sentenza impugnata accertato il contrario, che cioè, mediante l’accordo sindacale in questione, l’azienda fosse passata al nuovo imprenditore restando inalterata negli elementi strutturali.
Sotto altro profilo, poi, l’Istituto ricorrente sembra sostenere che l’anzianità di servizio potrebbe essere riconosciuta solo in presenza di concreta e effettiva prestazione per almeno novanta giorni. Ma correttamente il relativo accertamento di fatto non è stato compiuto dal giudice del merito con riferimento al rapporto di lavoro costituito con la X, siccome è assorbente il rilevo che nessun elemento normativo induce a ritenere che il riferimento all’anzianità di servizio presupponga l’esecuzione della prestazione e non, secondo il significato normale dell’espressione adoperata, la mera prosecuzione del rapporto nato dalla stipulazione del contratto di lavoro (sul punto, specificamente, Cass. 16173/2004, cit.).
Sussistono giusti motivi, anche considerando la correzione della motivazione della sentenza impugnata, per compensare interamente le spese del giudizio di Cassazione.

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 novembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2005

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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