Cass. Civ. Sez. Lav. 25.03.2011 n. 7021 – congedo familiare svolgimento altra attività lavorativa licenziamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso alla Corte di appello di Napoli, la società X di Navigazione proponeva gravame avverso la sentenza 10 febbraio 2004 con cui il locale Tribunale aveva accolto la domanda del D.C. diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli dalla società per aver svolto, durante l’aspettativa parentale di cui alla L. n. 53 del 2000, art. 4, attività lavorativa per quattro giorni alle dipendenze della X s.p.a..
La Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 7231 del 30 dicembre 2006, respingeva il gravame, condannando l’appellante al pagamento delle spese.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società X, affidato a cinque motivi. Resiste il D.C. con controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375 e 2105 cod. civ., anche in relazione alla L. n. 53 del 2000, art. 4, comma 2, artt. 2119 e 2697 cod. civ., art. 112 cod. proc. civ., nonchè omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Lamentava la ricorrente che la corte territoriale, richiamando erroneamente la giurisprudenza di legittimità inerente l’assenza del dipendente ammalato, riteneva che la prestazione di attività lavorativa presso terzi doveva ritenersi preclusa solo ove ciò potesse ritardare o rendere più difficoltosa la cessazione delle condizioni familiari che hanno ingenerato il diritto al congedo.
Deduceva la ricorrente che in caso di aspettativa per motivi familiari, la L. n. 53 del 2000, art. 4, comma 2, prevedeva lo specifico divieto di svolgere attività lavorativa; che era pacifico che lo svolgimento di attività lavorativa in concorrenza con quella svolta dal datore di lavoro ledeva gravemente l’obbligo di fedeltà giustificando il licenziamento per giusta causa (Cass. n. 1747 del 1990, n. 5407 del 1990).
Che costituiva poi nella specie aggravante di tale comportamento la circostanza che l’attività lavorativa in concorrenza avvenisse presso lo stesso porto e banchina ove operava la X, e sulla medesima linea Napoli-Palermo.
Formulava quindi il prescritto quesito di diritto.
2.- Col secondo, terzo e quarto motivo la ricorrente denuncia omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine alla ritenuta legittimità del comportamento del D.C., violazione ed errata applicazione della L. n. 53 del 2000, art. 4, comma 2.
Lamentava al riguardo che la corte partenopea, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale, aveva esattamente considerato che il divieto di svolgere "alcun tipo di attività lavorativa" di cui alla norma ora citata, riguardasse certamente il lavoratore.
Riteneva tuttavia che il carattere di occasionalità della prestazione, le giustificazioni fornite dal lavoratore e la sospensione delle principali obbligazioni del contratto (prestazione lavorativa e retribuzione), inducevano ad escludere una irreparabile lesione del vincolo fiduciario. Evidenziava la contraddittorietà della motivazione della sentenza che da una parte aveva ritenuto sussistente il divieto per il lavoratore di svolgere qualsiasi attività lavorativa, e dall’altra aveva ritenuto che essa non consentiva il licenziamento. Formulava il prescritto quesito di diritto. Lamentava infine violazione ed errata applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3 ed omessa motivazione circa la ricorrenza nel caso di specie di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali tali da legittimare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, conversione possibile anche d’ufficio.
3.- I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente trattati, sono in parte inammissibili e per il resto infondati.
Inammissibili nella parte in cui sottopongono alla Corte un quesito di diritto (nella specie: "dica la Corte se è vero che la violazione da parte del lavoratore del divieto di svolgere alcun tipo di attività lavorativa durante il periodo di aspettativa L. n. 53 del 2000, ex art. 4 integri una giusta causa di licenziamento, vieppiù ove tale attività lavorativa sia svolta in favore di società concorrente e presso gli stessi luoghi ove il dipendente svolge la sua opera presso la datrice di lavoro), che si limiti a chiedere puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge (Cass. ordinanza n. 19769 del 2008).
In termini Cass. ordinanza n. 19892 del 2007, secondo cui "E’ inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ.) introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale il quesito di diritto si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo". Per il resto si osserva che non v’è dubbio che l’espresso divieto di svolgere qualsivoglia attività lavorativa da parte del dipendente fruitore di congedo familiare ai sensi della L. n. 53 del 2000, art. 4, comma 2, rende inapplicabile, anche in via analogica, i principi circa l’astratta possibilità di svolgere altra attività lavorativa da parte del dipendente ammalato (e plurimis, Cass. n. 14046 del 2005), ma non consente tuttavia di ritenere di per sè illegittimo, e tale da giustificare la sanzione espulsiva, il comportamento del D.C. sol per averlo contravvenuto, come sostenuto dalla ricorrente.
La Corte territoriale ha sul punto adeguatamente e logicamente motivato che l’elemento psicologico, durante l’aspettativa de qua, doveva ritenersi attenuato, per essere in tal caso sospese le principali obbligazioni derivanti dal contratto di lavoro, anche in considerazione della necessità di percepire una retribuzione (esclusa nell’aspettativa parentale).
La corte partenopea ha inoltre evidenziato la sporadicità di tale attività lavorativa, limitata a quattro giornate in relazione ad un periodo di aspettativa durato due mesi, impegno peraltro consistito in poche ore di lavoro (3-4) almeno in tre delle quattro giornate contestate. La Corte territoriale ha poi ritenuto che la violazione dell’obbligo di fedeltà contestato, ricorre solo ove l’attività svolta rientri in qualificate prestazioni connotate dall’utilizzo del bagaglio professionale acquisito con il datore di lavoro (Cass. n. 5691 del 2002, Cass. n. 13329 del 2001, ma già Cass. n. 6381 del 1981), mentre nel caso di specie si trattò di semplici mansioni manuali (movimentazioni a terra delle merci), inidonee a configurare la violazione della norma citata, e peraltro maggiormente compatibili (rispetto alle mansioni di servizio a bordo delle navi con turni continuativi, dovute alla società X) con gli impegni di assistenza familiare che erano alla base della aspettativa richiesta.
Valutando dunque nella sua globalità il comportamento del dipendente, e ritenendo che non potessero che valutarsi gli episodi contestati e non già quelli che, presumibilmente, il D.C. avrebbe compiuto, il giudice di merito ha ritenuto che essi – considerata la loro sporadicità; lo stesso divieto di svolgere attività lavorativa, connesso ad una prestazione lavorativa continuativa ed incompatibile con le finalità della richiesta aspettativa – non fossero tali da ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario o da concretare un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali.
Al riguardo va considerato che il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la "ratio decidendi" che sorregge il "decisum" adottato, per cui non sussiste allorchè, dalla lettura della sentenza, non sussistano incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice (Sez. unite n. 25984 del 22 dicembre 2010) mentre le altre censure inerenti la motivazione debbono riguardare l’obiettiva insufficienza di essa o la contraddittorietà del ragionamento su cui si fonda l’interpretazione accolta, non potendosi perciò ritenere idonea ad integrare valido motivo di ricorso per cassazione una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice di merito che si risolva solamente nella contrapposizione di una diversa interpretazione ritenuta corretta dalla parte (Cass. n. 10203 del 2008, Cass. n. 23484 del 2007).
La ricorrente si limita, pur con ampia esposizione, a censurare tali valutazioni, chiedendo in sostanza alla Corte un inammissibile diverso accertamento dei fatti. Va infine rammentato che in tema di sanzioni disciplinari il fondamentale principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della infrazione impone al giudice di tener conto non solo delle circostanze oggettive, ma anche delle modalità soggettive della condotta del lavoratore in quanto anche esse incidono sulla determinazione della gravità della trasgressione e, quindi, della legittimità della sanzione stessa.
L’apprezzamento di merito della proporzionalità tra infrazione e sanzione sfugge, peraltro, a censure in sede di legittimità se la valutazione del giudice di merito è sorretta da adeguata e logica motivazione, Cass. n. 20221 del 2007.
5.- Per queste ragioni il ricorso risulta infondato e va pertanto respinto.
Le spese di causa seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 15,00 per spese, Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 febbraio 2011.
Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2011

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