Cassazione Civile, sentenza n. 12763 del 2011 Se la società di fatto risulta inesistente, l’Erario può escutere per intero ciascun socio presunto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Il fatto
Sulla base di un processo verbale di constatazione della Guardia di finanza, l’ente impositore notificava a una persona fisica, quale socio di società di fatto, costituita insieme ad altro familiare, un avviso di accertamento Irpef, contestando un reddito non dichiarato derivante dagli interessi usurari percepiti sul capitale impiegato, come da risultanze dall’analisi dei conti bancari esaminati.

Infatti, dalle indagini esperite sui conti dei due soci per il reato di usura, era emerso che gli indagati, oltre a gestire alcune società e a stornare le relative provviste sui propri depositi personali, utilizzavano diversi conti correnti, a loro intestati, per compiere rilevanti movimentazioni finanziarie (prestiti, riscossione di assegni e di sconto, rinnovazione di effetti, eccetera).

Ai fini della ricostruzione dei flussi finanziari, era risultato che taluni conti intestati ai due rivestivano la particolarità di una sostanziale fungibilità dell’uno rispetto alle operazioni compiute dall’altro, il tutto avvalorato anche da deposizioni di terzi acquisite agli atti. Da queste ultime era emerso che gli interessati, accanto a quella ufficiale, tenevano una contabilità parallela tesa allo svolgimento di un’attività finanziaria occulta (praticando tassi usurai fino al 60% annuo). Per tali fatti, gli imputati subivano anche condanna penale per aver concorso tra loro nei reati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e all’usura, anche se poi patteggiati.

La verifica fiscale veniva, dunque, espletata a seguito di autorizzazione dell’Autorità giudiziaria di trasposizione della documentazione del processo penale in ambito tributario.

Nel conseguente avviso di accertamento, l’ufficio contestava le sopra riferite circostanze, insistendo in particolar modo sul fatto che i soci avrebbero compiuto volontariamente atti all’esterno apprezzabili come sociali (ex articolo 2247, codice civile).

La Commissione provinciale accoglieva il ricorso, ritenendo insussistente l’asserita società di fatto, il cui giudicato venne confermato anche dalla Commissione tributaria regionale. Quest’ultima, per sfatare le postulazioni dell’atto impositivo, argomentava tra l’altro che le presunzioni dell’ufficio sarebbero carenti degli elementi di gravità, precisione e concordanza, in modo tale da non poter costituire base legittima dell’avviso di accertamento impugnato (il riferimento riguardava anche le dichiarazioni di terzi rese nel corso delle indagini, le quali troverebbero ostacolo all’ingresso nel giudizio tributario, per effetto dell’articolo 7 del Dlgs 546/1992, che formalizza l’esplicito divieto della prova testimoniale). Sicché, verrebbero meno i presupposti per la configurazione della società di fatto, quali l’affectio societatis, derivante da inequivoche manifestazioni esteriori dell’attività di gruppo che, per la loro sistematicità e concludenza evidenzino l’esistenza dell’ente associativo, anche nei rapporti interni, tale da escludere che l’intervento del familiare possa essere motivato dalla affectio familiaris.

Il secondo giudicato viene contestato dall’Agenzia delle Entrate, incentrando le tesi difensive, tra l’altro, sul fatto dell’incongruenza dell’affermazione del giudice d’appello, in base alla quale l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto provare in termini particolarmente rigorosi – per l’esistenza nel caso di vincoli di consanguineità – l’esistenza di una società di fatto tra i due imputati.

La sentenza
Accogliendo il ricorso, la Cassazione annulla la sentenza impugnata, perché affetta dagli evidenziati errori giuridici, i quali si sono riverberati, in maniera decisiva, sulla valutazione del complessivo materiale probatorio offerto dall’ufficio a sostegno della pretesa impositiva, anche quanto alla sussistenza di una società di fatto tra padre e figlio per lo svolgimento dell’attività di prestito di danaro.

Ciò in quanto la Commissione del riesame ha fatto malgoverno dei principi affermati in questa materia dalla giurisprudenza di legittimità (cfr sentenze 9917/2005 e 615/2003), atteso che, in ipotesi di accertata esistenza di una società di fatto tra più persone, queste sono “soggetti passivi” proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili, soltanto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, mentre la società è soggetta a Ilor (ancora vigente nel periodo considerato, oggi Irap). Al contrario, allorquando la società risulta inesistente, il soggetto passivo, sia per l’Irpef sia per l’Ilor, per il reddito prodotto dall’attività economica ascritta alla società di fatto (risultata inesistente), va individuato – nei limiti quantitativi della contestazione dell’ufficio – esclusivamente nella persona cui sia riconducibile quell’attività.

In altri termini, secondo l’insegnamento della sentenza 12763/2011, che riconferma anche tutta un’altra correlata serie di approdi giurisprudenziali consolidati, il materiale probatorio agli atti appariva idoneo a considerare sussistente, nel caso di specie, un factum societatis nonostante non fosse stato adeguatamente esternalizzato.

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