Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 12 marzo 2002 il sig. G.G. ed altri litisconsorti citarono in giudizio dinanzi al Tribunale di Torino la Reale Mutua Assicurazioni s.p.a. (in prosieguo indicata come Reale Mutua) per sentir dichiarare nulla, o giuridicamente inesistente, la delibera con cui l’assemblea dei soci della Piemontese Società Mutua di Assicurazioni (in prosieguo Piemontese) il 13 luglio 2000 aveva approvato il progetto di fusione per incorporazione di quest’ultima società nella Reale Mutua, nonchè l’atto di fusione conseguentemente stipulato il 14 dicembre 2000. Fu altresì chiesto il risarcimento dei danni.
Avendo il tribunale rigettato tali domande, gli attori proposero gravame, che fu però ugualmente rigettato dalla Corte d’appello di Torino, con sentenza resa pubblica il 18 gennaio 2010.
La corte territoriale infatti ritenne che la dedotta illegittimità della clausola statutaria della Piemontese da cui era disciplinato il conferimento delle deleghe di partecipazione dei soci all’assemblea, asseritamente in contrasto con l’allora vigente art. 2533 c.c. (applicabile alle mutue assicuratrici a norma del successivo art. 2547), e la conseguente eccepita illegittimità del modo in erano stati designati coloro che avevano partecipato all’assemblea dei soci dalla quale era stata approvata la proposta di fusione, non potessero neppure in astratto configurare un’ipotesi d’inesistenza giuridica, nè di nullità, della deliberazione assembleare in questione; e che, pertanto, ove pure eventualmente in concreto riscontrabile, quel vizio non fosse idoneo a superare lo sbarramento all’impugnazione dell’atto di fusione derivante dalla sua ormai avvenuta iscrizione nel registro delle imprese. Ogni altra domanda fu considerata assorbita, ivi compresa quella per risarcimento dei danni.
Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso il solo sig. G., prospettando quattro motivi di doglianza, illustrati poi con memoria.
La Reale Mutua si è difesa con controricorso ed, a propria volta, ha formulato tre motivi di ricorso incidentale, del pari illustrati da successiva memoria.
Gli altri attori originari, cui il ricorso è stato notificato, non hanno svolto difese in questa sede.
Motivi della decisione
1. I ricorsi proposti avverso la medesima sentenza debbono preliminarmente esser riuniti, come dispone l’art. 335 c.p.c..
2. Il ricorso principale, come già ricordato, si articola in quattro motivi.
2.1. Il ricorrente anzitutto lamenta la violazione degli artt. 2377 e 2379 c.c., nonchè dei principi in tema d’inesistenza giuridica delle delibere societarie.
La doglianza muove dall’esame delle clausole statutarie dell’ora incorporata società Piemontese – una società di mutua assicurazione, cui l’art. 2547 c.c. rende applicabili le disposizioni in tema di cooperativa (in quanto compatibili) – e sottolinea come il meccanismo attraverso il quale dette clausole consentivano all’organo amministrativo d’indicare i nomi dei delegati dei soci delle filiali locali in vista dell’assemblea generale appare incompatibile col dettato dell’art. 2535 c.c. (nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa), che inderogabilmente riserva invece ai soci riuniti in assemblee parziali il potere di designare i loro delegati. Da ciò, sempre secondo il ricorrente, deriverebbe un difetto di legittimazione primaria dei delegati partecipanti all’assemblea sociale che aveva approvato il progetto di fusione, e dunque una ragione d’inesistenza giuridica di tale deliberazione in quanto assunta da soggetti privi di ogni titolo. Avrebbe dunque errato la corte d’appello nel ritenere che il denunciato vizio evidenziava invece solo un difetto di legittimazione secondaria dei predetti delegati, tale perciò da comportare al più l’annullabilità della menzionata delibera assembleare; nè comunque la stessa distinzione tra difetto di legittimazione primaria e secondaria dei partecipanti all’assemblea giustificherebbe, sul piano logico-giuridico, l’affermazione che in un caso la delibera sarebbe inesistente e nell’altro soltanto annullabile, tanto più quando, come nella specie, il meccanismo di votazione assembleare risulti assolutamente anomalo.
2.2. In secondo luogo, nel ricorso si denuncia un vizio di omessa pronuncia dell’impugnata sentenza per non avere la corte d’appello esaminato le ulteriori ragioni d’inesistenza della summenzionata delibera assembleare della Piemontese, ragioni attinenti alla falsità sia delle firme apposte su alcune deleghe di voto sia delle attestazioni del verbale in ordine alla presenza di alcuni delegati, nonchè a diverse altre irregolarità da cui il rilascio delle summenzionate deleghe risulterebbe affetto.
2.3. Un ulteriore vizio di omessa pronuncia è denunciato nel terzo motivo di ricorso, in cui si lamenta che il giudice d’appello non abbia preso in considerazione la carenza, nel verbale d’assemblea, di indicazioni sufficienti a consentire l’identificazione dei partecipanti all’assemblea stessa; carenza che, a parere del ricorrente, determinerebbe anch’essa l’inesistenza della delibera assembleare impugnata.
2.4. Da ultimo, il ricorrente torna a denunciare la violazione del citato art. 2379, insistendo nella tesi secondo la quale la violazione delle norme dettate dal legislatore in tema di rappresentanza dei soci in assemblea sarebbe causa, quanto meno, di nullità dei conseguenti deliberati.
3. Il ricorso non appare meritevole di accoglimento, per una ragione decisiva che non lascia spazio ad alcuna delle doglianze sopra sinteticamente riferite.
3.1. Come s’è già ricordato, la domanda proposta in causa dal ricorrente ha un duplice oggetto: essa è volta a far dichiarare la giuridica inesistenza (o eventualmente la nullità) sia della deliberazione assembleare della Piemontese che ebbe ad approvare il progetto di fusione per incorporazione di detta società nella Reale Mutua, sia l’atto di fusione che fu successivamente stipulato dai legali rappresenti delle due società (l’ulteriore domanda di risarcimento dei danni, inizialmente formulata dall’attore e respinta dal giudice di merito per difetto di prova, non è stata più coltivata in modo autonomo in questa sede).
Benchè le considerazioni svolte nel ricorso siano tutte volte ad evidenziare i vizi del primo dei due atti sopra indicati, è di assoluta evidenza che è il secondo ad essere il reale bersaglio dell’azione. L’interesse a far dichiarare nulla o inesistente la deliberazione assembleare di una delle due società che hanno approvato la fusione sussiste solo se ed in quanto ne possa derivare l’eliminazione dell’atto di fusione conseguentemente stipulato (fatte salve le eventuali pretese risarcitorie, come indicato dal secondo comma dello stesso citato art. 2504-quater): perchè gli effetti delle anzidette deliberazioni si esauriscono nella stipulazione di quell’atto, ed è solo quest’ultimo ad incidere effettivamente sulla realtà preesistente determinando l’integrazione reciproca delle due società.
Detto in altri termini, la fusione di società si presenta come il risultato ultimo di un procedimento, che culmina nella stipulazione e nella successiva iscrizione dell’atto di fusione nel registro delle imprese; atto rispetto al quale le delibere assembleari precedentemente adottate dalle assemblee delle società interessate, così come ogni altra attività ad esse prodromica, hanno un rilievo essenzialmente endoprocedimentale. Certamente quelle delibere possono essere impugnate, per eventuali vizi ad esse specificamente riferibili, ma (salvo che abbiano anche contenuti ulteriori e diversi) solo nella misura in cui ciò possa riflettersi sulla conclusione del procedimento e, cioè, incidere sulla validità e sull’efficacia dell’atto di fusione.
3.2. Quando, perciò, come nel caso in esame è accaduto, l’impugnazione della deliberazione assembleare con cui è stato approvato il progetto di fusione da una delle società interessate venga impugnata dopo che l’atto di fusione è già stato stipulato ed iscritto ne registro delle imprese, a norma dell’art. 2504 c.c., comma 2 è indispensabile anzitutto interrogarsi sul riflesso che è ancora in grado di produrre su quell’atto – e dunque sulla definizione ultima del procedimento di fusione – l’accertamento di eventuali cause d’invalidità della deliberazione assembleare impugnata.
Prima ancora di esaminare se i vizi di tale deliberazione davvero sussistono, occorre allora porre mente a quanto dispone l’art. 2504- guater c.c., che drasticamente esclude la possibilità di pronunciare l’invalidità dell’atto di fusione una volta che esso sia stato iscritto nel registro. Disposizione, questa, introdotta dal D.Lgs. n. 22 del 1991 (in attuazione della Direttiva 78/855/Cee), che è dichiaratamente ispirata dall’esigenza di assicurare la certezza e la stabilità dell’atto, salvaguardando perciò stesso l’affidamento dei terzi, in considerazione del fatto che la sua eliminazione rischierebbe altrimenti di travolgere gli effetti dell’avvenuta integrazione giuridico-aziendale di realtà societarie ormai non più agevolmente districabili l’una dall’altra (nella relazione accompagnatoria del citato D.Lgs. n. 22 del 1991 si fa espresso riferimento alle "difficoltà gravissime che – come testimoniato dalle esperienze di altri ordinamenti – nascerebbero quando fosse dichiarata nulla una fusione già attuata"). Ed è proprio in base a siffatte considerazioni che, già in passato, questa corte ha avuto modo d’individuare nell’iscrizione dell’atto di fusione (o di scissione) nel registro delle imprese una preclusione assoluta della declaratoria sia di nullità sia di annullabilità della delibera che abbia approvato la fusione (Cass. 20 dicembre 2005, n. 28242).
Resta da chiedersi se la medesima conclusione debba valere anche quando si sostenga che la delibera di approvazione del progetto e della proposta di fusione, cui abbia fatto seguito la stipulazione e l’iscrizione dell’atto di fusione nel registro, sia non nulla o annullabile, ma addirittura giuridicamente inesistente (nei limiti in cui si voglia riconoscere cittadinanza a tale categoria nell’ordinamento).
Giova però subito avvertire che una tal questione non si esaurisce soltanto nell’eventuale affermazione dell’inesistenza giuridica della delibera assembleare di approvazione della proposta di fusione, ma – per il già chiarito carattere endoprocedimentale di tale delibera – richiede che si valuti anche, e prima di tutto, se dalla sua eventuale inesistenza possa farsi derivare l’insistenza anche dell’atto stesso di fusione: perchè, se questo fosse comunque da definire soltanto nullo, non si sottrarrebbe al regime del citato art. 2504-guater, che non casualmente fa riferimento all’omnicomprensiva nozione di "invalidità dell’atto".
Ed occorre inoltre valutare se, o in quale misura, detto regime sia applicabile anche all’ipotesi di eventuale insistenza giuridica di un atto di fusione ormai iscritto nel registro delle imprese.
3.3. Sul punto da ultimo menzionato esiste un qualche dibattito in dottrina, così come nella giurisprudenza di merito, ma va affermato con nettezza che qualsiasi tentativo di configurare l’inesistenza giuridica di un atto di fusione regolarmente iscritto nel registro delle imprese, allo scopo di distinguerla dalla semplice invalidità e di escludere l’assoggettabilità della fattispecie al regime delineato dal citato art. 2504-quater, deve confrontarsi con la già ricordata ratio ispiratrice di detto articolo; deve, cioè, tener conto dell’esigenza di tutela dell’affidamento dei terzi e di stabilità e certezza dei traffici giuridici cui quel regime s’ispira.
Ne deriva che, a tutto concedere, solo in casi estremi (e neppure facili da prefigurare) gli eventuali vizi o le possibili lacune del procedimento di fusione, conclusosi con il suaccennato adempimento pubblicitario, potrebbero determinare l’inesistenza giuridica dell’atto iscritto nel registro. Lo si potrebbe sostenere solo qualora il procedimento ne risultasse a tal punto stravolto da apparire manifestamente irriconoscibile nei suoi tratti essenziali anche ai terzi, ai quali però non può farsi carico di una verifica che vada oltre l’individuazione nel registro di una sequenza procedimentale completa nella sua esteriore apparenza, conclusasi con il deposito di un atto di fusione che si presenti tale. Si potrà magari ipotizzare che l’atto di fusione è viziato, a causa dell’inesistenza giuridica della precedente delibera, ma ciò si tradurrà in null’altro, appunto, se non in un vizio del procedimento, e quindi del medesimo atto di fusione, non già nell’inesistenza giuridica anche di quest’ultimo, che è stato effettivamente stipulato e come tale si presenta ai terzi, ignari dell’eventuale vizio procedimentale e dai quali sarebbe irragionevole pretendere approfondite indagini sulla regolarità degli atti prodromici alla fusione.
Deve quindi essere enunciato il principio di diritto secondo il quale, quando l’iscrizione di un atto di fusione nel registro delle imprese sia avvenuta in base ad una sequenza procedimentale priva di significative e riconoscibili anomalie esteriori, pur se si voglia (e nei limiti in cui si possa) ipotizzare una ragione d’inesistenza giuridica di una delle deliberazioni assembleari propedeutiche assunte dalle società interessate all’operazione, non ne consegue la giuridica inesistenza anche dell’atto di fusione ormai iscritto nel registro, e resta perciò esclusa la possibilità d’impugnarlo al fine di farne venir meno gli effetti o di mettere in discussione gli effetti da esso già prodotti. Donde il difetto, in simili situazioni, dell’interesse a far accertare non solo la nullità o l’annullabilità, ma anche la pretesa inesistenza giuridica dell’anzidetta deliberazione assembleare.
3.4. Alla stregua del principio di diritto ora enunciato appare di tutta evidenza che, nel caso in esame, quale che sia l’astratta ricaduta dei vizi riscontrabili nel rilascio delle deleghe, nell’esercizio del voto e nella redazione del verbale in occasione dell’assemblea della Piemontese da cui fu approvata la proposta fusione per incorporazione nella Reale Mutua, è certamente da escludere che ne sia derivata una così macroscopica ed evidente deviazione del procedimento poi conclusosi con la stipulazione e la pubblicazione dell’atto di fusione da tradursi in una ragione d’inesistenza giuridica di tale atto, percepibile anche da parte dei terzi. Il che basta ad impedire che possa essere fondatamente invocata dal ricorrente la tutela reale cui egli aspira.
3.5. E’ appena il caso di aggiungere che l’esclusione della tutela reale lascia aperta, di regola, la strada della tutela risarcitoria, come chiaramente indicato dalla già citata disposizione dell’art. 2504-quater.
Nel caso in esame, tuttavia, è accaduto che la domanda di risarcimento dei danni originariamente proposta dall’attore sia stata rigettata in primo grado e che, avendo lo stesso attore proposto gravame anche con riferimento a tale statuizione, la corte d’appello abbia ritenuto la questione assorbita nel rigetto dell’impugnazione riguardante la pure invocata tutela reale.
Ora, in questa sede, il ricorrente non ha in alcun modo censurato siffatta pronuncia di assorbimento. Nella parte conclusiva del ricorso, dopo aver sostenuto che la delibera assembleare impugnata dovrebbe essere quanto meno dichiarata nulla e che perciò la sentenza d’appello dovrebbe esser cassata, si afferma solo che al giudice di rinvio competerebbe in tal caso di provvedere anche sulla "collegata domanda di risarcimento del danno e relative istanze istruttorie". Appare dunque chiaro che la pretesa risarcitoria non è stata ulteriormente coltivata, in via autonoma rispetto alle altre questioni sollevate nel ricorso, onde essa rimane ormai preclusa.
4. Il ricorso incidentale proposto dalla Reale Mutua, quantunque non espressamente condizionato all’eventuale accoglimento di quello principale, deve in realtà ritenersi tale, perchè altrimenti difetterebbe ogni interesse a proporlo, stante l’integrale soccombenza del sig. G. all’esito dei due gradi del giudizio di merito.
Al rigetto del ricorso principale consegue perciò l’assorbimento di quello incidentale, che resta privo di qualsiasi autonoma ragion d’essere.
5. L’esito del giudizio di legittimità comporta la condanna del ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle relative spese, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito l’incidentale e condanna il sig. G. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per onorari e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2012.
Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2012
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