Cassazione Civile, Sentenza n. 2334 del 2011 Responsabilità civile del medico per danni arrecati al paziente

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Roma, con sentenza 27 giugno 2002, accertava la responsabilità della Casa di cura V.P. di Roma e del chirurgo ginecologico, Dott. M.T. , nella determinazione delle lesioni gravi subite dalla neonata A..C., nonché dell’ulteriore evento morte, avvenuto a distanza di nove anni dalla nascita, condannandoli entrambi in solido al risarcimento dei danni subiti dai genitori, C..C. e R..F. , e dal fratello M.C. , sia in proprio che in qualità di eredi.

Il Tribunale accoglieva, inoltre, le domande di manleva proposte da entrambi i danneggianti nei confronti delle rispettive compagnie di assicurazione, assolvendo invece la terza convenuta, P.I., sul rilievo che la stessa, nella sua qualifica di levatrice, non aveva contribuito a cagionare l’evento.
Proponeva appello avverso tale decisione la Casa di cura V.P., gestita dalla società a responsabilità limitata, P., sottolineando che la ricostruzione del primo giudice aveva erroneamente considerato in colpa la clinica nonostante l’intervento di taglio cesareo fosse stato eseguito in conformità delle tecniche condivise dalla scienza medica.

Il primo giudice aveva posto in evidenza la mancanza di strutture adeguate per l’assistenza della neonata all’interno della Casa di cura, ma non aveva considerato che le sofferenze fetali, antecedenti al ricovero, erano avvenute del tutto al di fuori del controllo della clinica e dei suoi sanitari.
I congiunti della C. si costituivano in giudizio, chiedevano il rigetto dell’appello e con appello incidentale sollecitavano la riforma della decisione di primo grado, con la condanna della P. che aveva accompagnato la partoriente nella clinica ed alla quale la stessa si era affidata dopo aver rilevato la mancanza di movimenti del feto. Gli stessi appellanti incidentali riproponevano tutti gli argomenti svolti nel giudizio di primo grado relativamente alla responsabilità della Casa di Cura e del medico, Dott. T. anche per quanto riguardava il periodo precedente al ricovero.
Il ginecologo, Dott. T., rilevava, a sua volta – costituendosi in giudizio – la mancata integrazione nel giudizio di primo grado del contraddittorio nei confronti degli altri operatori sanitari, in particolare dell’anestesista e del pediatra, ai quali doveva addebitarsi, in effetti, il mancato intervento sulla neonata subito dopo il parto.

Il dottor T. contestava la propria responsabilità ed in subordine chiedeva la riduzione del risarcimento riconosciuto a suo carico.
Le compagnie di assicurazione si costituivano in giudizio. L’AXA, in particolare, deduceva che il massimale di polizza era di duecento milioni, precisando che per persona sinistrata doveva intendersi ogni soggetto che avesse subito il sinistro (e che non potevano considerarsi persone sinistrate i genitori della neonata).

La Corte d’appello di Roma rigettava l’appello principale proposto da P. s.r.l. nei confronti di C.C. e F.R. .
Accoglieva, invece, l’appello incidentale proposto dal Dott. T.M. e dalla Italiana Assicurazioni, rigettando le domande proposte nei loro confronti dai genitori di A.C. .

Accoglieva, infine, l’appello incidentale della AXA, dichiarando che il massimale generale di polizza era di 750.000.000 di lire per ogni sinistro e di lite 200.000.000 per ogni persona danneggiata (ivi compresa la minore, il cui risarcimento era stato riconosciuto “iure successionis” al fratello ed ai genitori).

Una prima responsabilità i giudici di appello rilevavano in quanto accaduto il giorno precedente al parto. L’esame cardiotocografico del (OMISSIS) (del quale non vi era traccia negli atti della clinica) aveva dato esito non tranquillizzante, tanto che la partoriente era stata invitata a ripresentarsi al mattino successivo per essere sottoposta a parto cesareo.

Il riscontro di un tracciato che deponeva per la sussistenza di sofferenza fetale avrebbe dovuto consigliare i medici della clinica a trattenere la F. al fine di controllarla ad intervalli regolari, ove la situazione si fosse fatta critica.

Disinvoltamente, la partoriente era stata invitata a ripresentarsi il giorno successivo, quando avendo il tracciato del nuovo esame segnalato gravi anomalie, e la paziente era stata finalmente sottoposta a taglio cesareo.
Osservavano i giudici di appello che, per quanto riguardava il ginecologo Dott. T., era pacifico che lo stesso non fosse presente in clinica la sera precedente al taglio cesareo.

Poiché il taglio cesareo era stato eseguito in modo regolare e nel breve volgere di una ora dal ricovero, egli non poteva essere considerato responsabile del ritardo con il quale la partoriente era stata sottoposta ad intervento.

Del resto, aggiungevano gli stessi giudici, al momento della nascita della neonata, l’intervento chirurgico non poteva dirsi ancora concluso, occorrendo ancora provvedere alla estrazione della placenta, alla pulizia della cavità uterina, alla chiusura della breccia uterina, al controllo dell’emostasi ed, infine, alla chiusura della parete addominale.

La stessa circostanza che il ginecologo fosse impegnato in tutte queste altre attività, escludeva, ad avviso della Corte territoriale, che lo stesso potesse occuparsi della neonata, soprattutto tenendo conto che erano presenti figure professionali dotate di migliori e specifiche cognizioni tecniche.
Per quanto riguardava le manovre di rianimazione primaria (certamente non eseguite sulla neonata) la Corte di appello sottolineava che le stesse sarebbero state piuttosto di competenza del pediatra e dell’anestesista, che tuttavia non erano stati chiamati in giudizio.

In sintesi, poiché l’intervento di taglio cesareo non aveva provocato di per sé alcun danno cerebrale, dovuto alla sofferenza prenatale pregressa, e rilevato che non era emersa alcuna responsabilità del ginecologo nella scelta di rimandare a casa la partoriente la sera precedente,e poiché per i fatti successivi alla nascita il dottor T. non poteva dirsi responsabile, i giudici di appello riformavano la decisione di primo grado sul punto.

Quanto alla liquidazione del danno, la stessa era effettuata dai giudici di appello con i criteri equitativi seguiti dalla giurisprudenza di merito, tenuto conto del gravissimo danno arrecato alla neonata, ridotta – a causa dalla sofferenza fetale – ad una via quasi vegetativa durata ben nove anni, con la necessaria assistenza dei genitori fino alla data della morte della bambina, ed il conseguente sconvolgimento della vita dei genitori e l’intenso dolore patito.

Avverso tale decisione la P. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da sette motivi.
Resiste con controricorso la Italiana assicurazioni, AXA Assicurazioni e C..C. e R..F. (in proprio e quale esercenti la potestà genitoriale sul figlio minore C.M. , con controricorso).

Sia l’AXA assicurazioni che i genitori della minore deceduta hanno proposto ricorso incidentale, cui resistono la Italiana Assicurazioni e la società P. a r.l.

P., la rispettiva compagnia di assicurazione, e Italiana assicurazioni hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Deve preliminarmente disporsi la riunione dei ricorsi proposti contro la medesima decisione. Con il primo motivo la ricorrente principale, P. s.r.l., denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 324 e 112 c.p.c. (vizio di extrapetizione).

Ad avviso della ricorrente principale, la Corte d’appello sarebbe incorsa nel vizio di extrapetizione, affermando la responsabilità della clinica nella fase precedente al ricovero ed al parto. Infatti, il Tribunale aveva espressamente escluso ogni responsabilità della Clinica per quanto riguarda la fase pre-ricovero: ed in mancanza di precisa impugnazione sul punto, tale pronuncia doveva considerarsi passata in giudicato.
Con il secondo motivo, la ricorrente principale deduce, sotto altro profilo, la violazione dell’art. 112 c.c. (extrapetizione) nonché violazione degli artt. 101, 102 e 103 c.p.c. (difetto di contraddittorio).
La originaria domanda degli attori era circoscritta alla incompetenza della ostetrica, alla insufficienza della casa di cura per le apparecchiature, soprattutto per la mancanza di incubatrice, ed alla negligenza del ginecologo.

A seguito della istruttoria compiuta, erano stati discolpati la ostetrica (già in primo grado) e il ginecologo (a seguito della decisione di appello).
La Casa di cura non era risultata inadeguata né carente di attrezzatura, ma era stata condannata per la presunta negligenza del pediatra e dell’anestesista, rimasti entrambi al di fuori del giudizio.
Il quesito di diritto con il quale si conclude il secondo motivo è del seguente tenore: “Dica la Corte di Cassazione se – come sostenuto – la Corte di appello sia incorsa nel vizio di extrapetizione in relazione alle originarie domande attoree e se vi sia stata violazione del contraddittorio e delle disposizioni sul litisconsorzio in relazione alla assenza dal giudizio dell’anestesista e del pediatra”.

I due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, sono privi di fondamento.

1. Osserva il Collegio:

I giudici di appello hanno esaminato la domanda proposta dagli attori, sulla base delle conclusioni formulate nell’atto introduttivo, evidenziando che sia la Casa di Cura che il dottor T. (ma anche i danneggiati che avevano proposto appello incidentale, in relazione al rigetto della domanda proposta contro la P. ) avevano criticato – seppur da parti diverse – la ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale, il quale aveva condannato la Casa di cura in solido con il dottor T. al risarcimento dei danni.

Tutte le questioni relative alla responsabilità del medico e della Casa di Cura dovevano ritenersi all’esame dei giudici di appello, in considerazione delle opposte censure sollevate in ordine alla decisione di primo grado.
I coniugi C. e F. non avevano l’onere di riproporre la questione della responsabilità della Casa di Cura e del Dott. T. , con specifico riferimento alla condotta precedente al ricovero.

Essi, infatti, erano risultati pienamente vittoriosi in relazione alla domanda di risarcimento proposta e dunque avevano solo l’onere di riproporre la questione al giudice di appello ai sensi dell’art. 346 c.p.c..
I giudici di appello hanno affrontato la questione della responsabilità della struttura sanitaria per la mancanza dei doverosi interventi protettivi, anteriori e successivi al parto, e relativi alla assistenza della salute della neonata.

L’inadempimento, prospettato dagli attori nell’atto introduttivo del giudizio, riguardava la responsabilità diretta della clinica che non è stata in grado di giustificarlo.

Nella comparsa di risposta dei coniugi C. e F. in grado di appello si legge: “neppure condividiamo le conclusioni cui perviene il Tribunale riguardo l’esame eseguito la sera precedente il parto, la sera del (OMISSIS) , che, al contrario di quanto sostenuto in sentenza, è pacificamente riconosciuto (essere) avvenuto presso la Casa di Cura, tanto che ad esso fanno riferimento sia il T. sia la P. , nelle rispettive comparse di risposta redatte in prime cure, addirittura assumendo la circostanza come punto di forza, al fine di sostenere la cura con cui sarebbe stato eseguito il caso”.

La Corte territoriale ha interpretato la domanda prospettata nell’atto di citazione come rivolta ad ottenere il riconoscimento della piena responsabilità tanto della Casa di cura che del ginecologo, in relazione alle gravi negligenze dimostrate dalla struttura e dalla intera equipe sanitaria per tutto quanto accaduto prima e dopo il parto.

In particolare, secondo gli originari attori, la colpa del dottor T. (medico di fiducia della F.) sarebbe consistita, innanzi tutto, nel fatto di non avere indirizzato la partoriente verso un centro dotato di apparecchiature idonee, nel non avere trattenuto la F. la sera del (OMISSIS) , ed infine, per non avere – il ginecologo – eseguito personalmente tutte le manovre di rianimazione necessarie sulla neonata (in mancanza di attività svolta da anestesista e pediatra-neonatologo).

Deve necessariamente concludersi che il “devolutum” in sede di appello riguardava l’accertamento della responsabilità del medico T. , oltre che di quella della Casa di cura.

Le censure formulate con i primi due motivi del ricorso principale sono, dunque, prive di fondamento.

Non sussiste, pertanto, il vizio di ultrapetizione denunciato.
Non sussiste neppure la dedotta violazione del principio del contraddittorio, in relazione al contenuto della domanda originaria, rivolta nei confronti della casa di cura, del ginecologo e della ostetrica.

Nel caso di giudizio instaurato dal soggetto danneggiato nei confronti di uno (o solo di alcuni), e non di tutti i corresponsabili dell’evento lesivo, nessuna violazione del principio del contraddittorio può dirsi consumata, alla luce della regola generale, dettata in tema di solidarietà passiva, secondo la quale non sussiste alcuna ipotesi di litisconsorzio necessario per il soddisfacimento giudiziale di tale tipo di obbligazioni, e non v’ha, del pari, obbligo, per il danneggiato, di evocare in giudizio tutti i responsabili (fermo restando il diritto di costoro di esercitare, nello stesso giudizio, il diritto di regresso nei confronti di altri soggetti non evocati dall’attore), regola che incontra una deroga nel solo caso della sussistenza di una responsabilità, in capo ad uno dei danneggianti, che dipenda dalla responsabilità di altro (o altri) codanneggiante: ipotesi, questa ultima, non prospettata nel caso in esame.

3. Con il terzo motivo, la P. s.r.l. denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, nonché travisamento dei fatti e dei presupposti, contraddittorietà (art. 360 n. 5 c.p.c.).

Ciò che la ricorrente principale contesta non è già la sussistenza di una sofferenza fetale risalente almeno al giorno precedente quello del parto, bensì la attribuzione alla clinica, senza alcun elemento probatorio e tantomeno documentale, della responsabilità per non essere intervenuta la sera prima del parto.

Non vi era alcuna traccia del fatto che l’esame cardiotomografico fosse stato effettuato il giorno (OMISSIS) proprio presso la Casa di cura.
Nonostante ciò, i giudici di appello avevano attribuito rilievo determinante a tale visita, così incorrendo in un palese vizio di motivazione anche per travisamento dei presupposti di fatto.

4. Con il quarto motivo, la ricorrente principale deduce la violazione dell’art. 2697 c.c. in materia di onere della prova (art. 360 n.3 c.p.c.).
Le censure formulate con il precedente punto erano tali da configurare anche la violazione di legge sopra indicata.

I giudici di appello avevano ritenuto sussistente l’esame cardiografico della sera precedente al parto, riconoscendo che lo stesso era stato eseguito presso la Casa di cura pur in assenza di qualsiasi prova al riguardo e nonostante la espressa contestazione da parte della Clinica.
Il quesito di diritto formulato è del seguente testuale tenore: “Dica la Suprema Corte se la Corte di appello sia incorsa nella violazione dell’art. 2697 c.c. dando per provati a vantaggio degli originari attori – due fatti – l’esistenza dell’esame cardiotocografico della sera prima del parto e la effettuazione dello stesso presso la Clinica V.P. – contestati dalla Clinica e rimasti privi di prove, sia documentali che orali, invertendo in tal modo l’onere della prova”.

5. Con il quinto motivo, si deduce ancora omessa, insufficiente e contraddittorietà motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.).

Analoghi vizi della motivazione sono formulati dalla ricorrente principale con riferimento alla responsabilità della Clinica per il comportamento della equipe medica, dopo la nascita della neonata (peraltro già ritenuta dal giudice di primo grado e censurata in sede di appello).
I giudici di appello avevano, infatti, escluso la inadeguatezza delle apparecchiature esistenti presso la Casa di cura ed un colpevole ritardo nel trasferimento della neonata ad altro ospedale specializzato.

Ciò nonostante, gli stessi giudici avevano ritenuto una responsabilità a carico del personale sanitario della Clinica, che pure aveva provveduto alla ventilazione con A., ed al successivo trasferimento patologia neonatale.
6. Con il sesto motivo, la ricorrente principale deduce motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria (art. 360 n. 5 c.p.c.).

La Corte territoriale era stata condannata in base ad una riconosciuta responsabilità postoperatoria, nonostante che gli stessi consulenti tecnici di ufficio avessero concluso che il danno cerebrale alla neonata dipendesse dalla sofferenza neonatale pregressa.
Se il danno cerebrale era precedente al ricovero (come era risultato anche dalla presenza di zone infartuate del feto) non si comprende come questo danno potesse essere stato cagionato dalla condotta negligente del pediatra o dell’anestesista in fase postoperatoria.
Questi sanitari, infatti, nulla avrebbero potuto fare in presenza di una situazione già così gravemente compromessa.

7. Con il settimo motivo, la P. deduce motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria in merito alla quantificazione del danno (art. 360 n.5 c.p.c.).

Se la sofferenza prenatale era effettivamente risalente ad un periodo precedente al ricovero, doveva considerarsi estremamente contraddittorio addebitare alla Casa di cura la causazione di questo danno, attribuendolo, in modo del tutto generico, all’anestesista ed al pediatra, i quali erano intervenuti solo dopo la nascita.

I motivi del ricorso principale, dal terzo al settimo devono essere esaminati congiuntamente insieme con il primo motivo del ricorso incidentale proposto da C..C. e R..F. . Con questo motivo i ricorrenti incidentali denunciano omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per quanto riguarda l’accertamento della responsabilità del Dott. T. (art. 360 n.5 c.p.c.), esclusa dalla Corte territoriale (che ha accolto sul punto l’appello incidentale del Dott. T. ).

Ad avviso dei ricorrenti incidentali, i giudici di appello avevano attentamente esaminato l’opera professionale svolta dal Dott. T., in quanto medico ginecologo, senza spendere – tuttavia – una sola parola sull’addebito relativo alla violazione dei cosiddetti “doveri di protezione” che riguardano anche la fase precedente al ricovero ed al parto.

Ad avviso dei ricorrenti incidentali, escludendo ogni responsabilità a carico del Dott. T., i giudici di appello non avrebbero tenuto conto del mancato rispetto di quel reticolo di doveri di informazione e di cura del proprio assistito, che avrebbe dovuto imporre al ginecologo di avvisare i coniugi C. e F. della situazione organizzativa e funzionale della casa di cura verso la quale egli li stava indirizzando, nonché di attivarsi, nella inerzia della clinica, subito dopo la effettuazione degli accertamenti che avevano posto in evidenza una possibile sofferenza del feto.

Sia la ostetrica P., che il ginecologo T., medico di fiducia della F. , in effetti, erano stretti collaboratori della Casa di cura.
L’esame cardiotocografico del (OMISSIS) era stato certamente eseguito presso la Casa di cura (come quelli del (OMISSIS) ) ed era stato consegnato al T. che aveva ammesso di essere a conoscenza del suo contenuto, quanto meno al momento del ricovero.

Da ultimo, ad avviso dei ricorrenti incidentali, nell’inerzia del personale della Clinica (anestesista e pediatra), subito dopo il parto, in considerazione della gravità delle condizioni della neonata, il Dott. T. avrebbe dovuto compiere direttamente (o quanto meno sollecitarne il compimento) delle necessarie manovre di assistenza della neonata, ed in caso di impossibilità di adeguate cure, avrebbe dovuto disporre l’immediato ricovero della partoriente o del neonato presso altro centro autorizzato.
Ritiene il Collegio che il primo motivo del ricorso incidentale dei coniugi C. e F. sia fondato e infondati i motivi dal terzo al settimo del ricorso principale P. s.r.l.

Con motivazione del tutto adeguata, i giudici di appello hanno ritenuto che sulla responsabilità della Casa di cura non potesse sussistere alcun dubbio.
La F. aveva scelto per il parto la Casa di cura V.P. e la sera del (OMISSIS) , accompagnata dalla ostetrica P., si era recata presso la clinica, avendo avvertito una diminuzione dei movimenti fetali.

L’esame cardiotocografico, del quale non vi era traccia agli atti (ma che certamente era stata eseguito presso la Casa di Cura V.P.), non era stato affatto tranquillizzante, tanto che la paziente era stata invitata a ripresentarsi il giorno successivo.

Per quanto non sia nota la persona fisica che ebbe ad eseguire tale tracciato, ha sottolineato la Corte d’appello, il comportamento negligente tenuto dalla equipe medica prima e dopo l’intervento era da considerare imputabile alla Casa di cura.

Proprio un risultato di questo genere dell’esame avrebbe dovuto indurre a trattenere la partoriente al fine di controllarla ad intervalli regolari, in tal modo consentendo un intervento tempestivo ove la situazione si fosse fatta critica.

In altre parole, sarebbe stato necessario impostare un programma di monitoraggio assiduo della F. al fine di poter intervenire tempestivamente, con un taglio cesareo, all’insorgere della sofferenza fetale.
Ha concluso la sentenza impugnata “il non aver predisposto un tale piano costituisce in colpa la clinica per i danni conseguenti al ritardo nella esecuzione del parto cesareo”.

La colpa della struttura doveva essere ravvisata proprio nel fatto che non furono adottate tutte le cautele al momento del primo esame.
Tali circostanze sono state ricostruite dai giudici di appello sulla base delle dichiarazioni rese dalla stessa F. in sede di anamnesi, quando l’evento non si era ancora verificato, e risultavano confermate dalla testimonianza resa dalla P. (che pure avrebbe avuto un interesse contrario).
A questa responsabilità doveva aggiungersi una ulteriore responsabilità della clinica per il comportamento della equipe medica, in particolare dopo la nascita della neonata.

I consulenti tecnici avevano accertato che non era stata eseguita alcuna manovra di rianimazione primaria, aggravando le patologie ed eseguendo il trasferimento in sede attrezzata con ritardo. In particolare, i consulenti nominati dall’ufficio avevano accertato che la neonata non era stata incubata con respirazione assistita: ciò che avrebbe consentito una immediata ossigenazione e ridotto le conseguenze patologiche poi riscontrate. La neonata, infine, era stata avviata ad un centro dotato di idonee attrezzature con un ritardo di oltre quattro ore. (ore 14,40 Ospedale Policlinico).
Per ciò che riguarda la quantificazione dei danni, che ad avviso della ricorrente principale sarebbero da imputare esclusivamente ad un periodo precedente al ricovero (e quindi non imputabili in alcun modo alla Casa di cura), si rinvia a quanto rilevato dai giudici di appello in ordine al comportamento negligente tenuto dal personale medico della Clinica dopo l’esame del (OMISSIS).

Le censure di vizi della motivazione, denunciate con il primo motivo del ricorso incidentale C. -F. , sono fondate anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte relativa all’inadempimento contrattuale.

Si richiama la giurisprudenza in materia di responsabilità professionale medica, secondo la quale (Cass. 19 maggio 1999 n. 4852): “La responsabilità del medico in ordine al danno subito dal paziente presuppone la violazione dei doveri inerenti allo svolgimento della professione, tra cui il dovere di diligenza da valutarsi in riferimento alla natura della specifica attività esercitata; tale diligenza non è quella del buon padre di famiglia ma quella del debitore qualificato ai sensi dell’art. 117 6, secondo comma cod.civ. che comporta il rispetto degli accorgimenti e delle regole tecniche obbiettivamente connesse all’esercizio della professione e ricomprende pertanto anche la perizia; la limitazione di responsabilità alle ipotesi di dolo e colpa grave di cui all’art. 2236, secondo comma cod.civ. non ricorre con riferimento ai danni causati per negligenza o imperizia ma soltanto per i casi implicanti risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà che trascendono la preparazione media o non ancora sufficientemente studiati dalla scienza medica; quanto all’onere probatorio, spetta al medico provare che il caso era di particolare difficoltà e al paziente quali siano state le modalità di esecuzione inidonee ovvero a questi spetta provare che l’intervento era di facile esecuzione e al medico che l’insuccesso non è dipeso da suo difetto di diligenza”.

Ed ancora (Cass. S.U. 11 gennaio 2008 n. 577): “In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante”.

Per quanto riguarda il caso di specie, deve rilevarsi che il primo contatto ebbe a verificarsi con la clinica V.P. e con il ginecologo T. il (OMISSIS) , quando l’ostetrica P. , amica e levatrice, ebbe ad accompagnare la F. dal ginecologo della Clinica perché la partoriente avvertiva la diminuzione dei movimenti fetali.

Il contatto ebbe a proseguire il giorno successivo, (OMISSIS) , alle ore 10,40, quando avvenne il ricovero contrattualmente convenuto e nel breve volgere di un’ora la partoriente fu sottoposta a taglio cesareo.
Nella equipe medico – accanto al ginecologo chirurgo di fiducia, Dott. T. (chiamato in giudizio), vi erano l’anestesista rianimatore e il pediatra neonatologo, entrambi forniti dalla clinica (questi ultimi non convenuti in giudizio dagli attori).

Eseguito a regola d’arte il taglio cesareo, il chirurgo ebbe a completare l’intervento sulla F. , mentre gli altri medici ebbero ad occuparsi delle neonata.

Non venne, tuttavia, eseguita alcuna manovra di rianimazione sulla neonata (ha accertato la Corte territoriale): in tal modo ebbero ad aggravarsi le patologie neurologiche e non fu eseguita alcun intervento di rianimazione assistita per favorire la respirazione e la ossigenazione del cervello e ridurre le conseguenze patologiche poi riscontrate.
Solo alle 14,30 (e dunque circa tre ore dopo il parto) la clinica provvedette a trasferire la neonata, in stato di sofferenza ischemica grave, presso il Centro Specialistico Policlinico (OMISSIS), da cui la neonata venne dimessa in data (OMISSIS) (dopo quattro mesi) con la diagnosi di “asfissia perinatale convulsiva”.

La piccola A. – in stato semivegetativo – ebbe a sopravvivere nove anni, decedendo per arresto respiratorio il (OMISSIS) , in conseguenza delle malattie neurologiche che ebbero ad accompagnarla sino alla morte.
I giudici di appello hanno escluso ogni responsabilità del Dott. T. , per la considerazione che lo stesso non avrebbe contribuito in alcun modo allo stato di sofferenza manifestatosi anteriormente alla nascita.
Gli stessi giudici hanno aggiunto che per quanto riguarda il periodo successivo al taglio cesareo, nessuna responsabilità era da attribuire al dottor T. .

Altri sarebbero stati i medici che avrebbero dovuto provvedere alle manovre di rianimazione.
Questi medici (il neonatologo-pediatra e l’anestesista-rianimatore) non erano stati chiamati in giudizio.

Entrambi gli argomenti svolti dai giudici di appello si prestano a facili critiche, sulla base del rilievo che – in ogni caso – il dottor T. avrebbe avuto l’obbligo di intervenire personalmente in caso di inerzia degli altri componenti la equipe medica (per quanto riguarda l’attività successiva al parto).

Per quanto riguarda invece il periodo precedente, la responsabilità del dottor T. avrebbe dovuto essere valutata dai giudici di appello per avere lo stesso, eventualmente, indirizzato la partoriente presso una struttura priva di idonee attrezzature per i neonati, e sotto altro profilo, per non avere immediatamente disposto il ricovero della F. , una volta avuta comunicazione dei risultati dell’esame del (OMISSIS) , programmando invece la esecuzione del parto cesareo per le ore 10,30 del giorno successivo.

La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata con rinvio ad altro giudice, il quale dovrà ricostruire la successione degli eventi e valutare quale comportamento il medico dottor T. avrebbe potuto tenere nella situazione data per rispondere in modo adeguato alle evenienze che il parto era venuto presentando ed, ancor prima, se il dottor T. possa essere considerato responsabile per avere indirizzato la partoriente presso una Clinica priva delle necessarie attrezzature, ovvero per avere ritardato colpevolmente l’intervento cesareo dopo l’esito dell’esame cardiotocografico del (OMISSIS) , che avrebbe invece consigliato l’immediato ricovero.

È appena il caso di ricordare che in un caso che presenta alcune analogie con quello di specie, questa Corte ha ritenuto: “correttamente motivata la decisione di merito la quale abbia qualificato in termini di colpa grave la condotta del medico ostetrico che, dinanzi ad un arresto della progressione del feto al momento del parto, abbia atteso più di tre ore prima di predisporre ed effettuare un intervento cesareo” (Cass. 9 maggio 2000 n. 5881).

I motivi dal secondo al quarto del ricorso incidentale C. -F. , espressamente indicati come condizionati, sono assorbiti in conseguenza dell’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale.

Il ricorso incidentale AXA è inammissibile perché privo dei prescritti quesiti di diritto (tutti i motivi dal primo al quarto, relativo al massimale complessivo di polizza, riguardano infatti la violazione di norme di diritto).

Conclusivamente il ricorso incidentale C. -F. deve essere accolto nei limiti sopra indicati (con assorbimento degli altri motivi).
Il ricorso principale di P. e quello incidentale di AXA devono essere rigettati.

La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio ad altro giudice che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso incidentale C. e F. per quanto di ragione, e rigetta gli altri ricorsi.

Depositata in Cancelleria il 1 febbraio 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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