Corte Cost. 11.03.2011 n. 83 filiazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Fatto

Ritenuto in fatto

1.- La Corte di appello di Brescia, Sezione per i minorenni, con ordinanza depositata il 19 marzo 2010, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 30, 31 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 250 del codice civile.

2. – La Corte territoriale riferisce che il Tribunale per i minorenni di Brescia, con sentenza del 21 aprile – 13 maggio 2009, ha autorizzato R. M. a riconoscere il figlio minore D. P. «anche nel dissenso della madre di questi, P. M. A.», sul rilievo che a carico di R. M. non erano emersi elementi negativi tali da giustificare il rigetto della domanda, essendo egli immune da precedenti penali o di polizia ed avendo lavorato fino al 2003. Il detto Tribunale ha aggiunto che in data 7 agosto 2003 R. M. era stato inviato a controllo sanitario per avere manifestato propositi auto lesivi, e in tale sede gli erano state riscontrate soltanto ansia ed instabilità emotiva per l’incerta situazione sentimentale in cui versava, con diagnosi di reazione depressiva lieve; ha osservato, inoltre, che da quell’epoca egli non aveva praticato terapie farmacologiche, essendo stato escluso che fosse portatore di patologie psichiche.

Pertanto, il Tribunale ha concluso per la sussistenza di un interesse del minore al riconoscimento, anche al fine di assicurargli la presenza dell’altro genitore, tenuto a farsi carico di lui, essendo altresì carente la prova che l’iniziativa di R. M. avesse carattere strumentale, in quanto diretta a consentirgli di ingerirsi di nuovo nella vita della donna.

La rimettente prosegue esponendo che M. A. P. ha impugnato la sentenza, chiedendone la riforma e il rigetto della domanda. L’appellante ha negato, tra l’altro, che sussistesse un interesse del figlio ad essere riconosciuto da R. M., in quanto il bambino (all’epoca di anni sei) considerava il marito di lei come padre; quest’ultimo si era sempre occupato del minore ed ella, al momento del parto, non aveva potuto indicarlo come padre a causa «del violento intervento oppositivo di R. M.».

L’appellato ha resistito al gravame, del quale ha chiesto il rigetto, deducendo la sussistenza dei presupposti per autorizzare il riconoscimento.

Il procuratore generale ha chiesto l’accoglimento dell’impugnazione, ravvisando «un fatto impeditivo di importanza proporzionale al valore del diritto genitoriale sacrificato», in considerazione della particolare situazione del minore, che mai aveva visto o sentito parlare del presunto padre e che viveva attualmente sereno con la madre e il marito di costei.

La Corte di appello deduce, ancora, di avere chiesto alle parti di valutare la necessità dell’intervento in causa di un curatore a tutela degli interessi del bambino, ma ha aggiunto che tale iniziativa ha incontrato l’opposizione della madre, la quale ha sostenuto che egli non aveva la qualità di parte processuale, in conformità alla giurisprudenza della Corte di cassazione.

In questo quadro la rimettente, richiamato il disposto dell’art. 250 cod. civ., espone che, per principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, nel giudizio instaurato, ai sensi del quarto comma della citata norma, il figlio naturale, non ancora sedicenne, non assume la qualità di parte, sicché la nomina di un curatore speciale non è necessaria. Tuttavia, a suo avviso, se non può essere messo in dubbio che il diritto al riconoscimento del figlio naturale già riconosciuto costituisca per l’altro genitore un diritto soggettivo garantito dall’art. 30 Cost., è del pari innegabile che anche al minore degli anni sedici sia necessario riconoscere piena tutela, che può essere in concreto attuata soltanto se l’interessato sia autonomamente rappresentato e difeso in giudizio.

Si tratta di una posizione giuridica garantita dai principi costituzionali di protezione dell’infanzia, nonché da quelli del giusto processo e del diritto di difesa (artt. 24, 30, terzo comma, 31 e 111 Cost.), e, altresì, affermata nella Convenzione sui diritti del fanciullo, stipulata a New York il 20 novembre 1989 (ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176) e nella Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 (ratificata e resa esecutiva con legge 2 marzo 2003, n. 77).

Il giudice a quo, poi, richiama altre ipotesi normative nelle quali il legislatore riconosce a garanzia del minore specifiche forme di difesa in giudizio o prevede la nomina di particolari figure a sua tutela (artt. 264, 321, 334, 336 cod. civ.), e rileva che, nel caso di specie, pur in presenza del contrasto tra la madre del bambino e il presunto padre, non si è provveduto alla nomina di un curatore speciale a tutela del minore né ad assicurare al medesimo un’autonoma difesa processuale, in quanto non ritenuto "parte" nel processo.

Pertanto, ritenuta la rilevanza della questione sulla base delle considerazioni svolte, dubita della legittimità costituzionale del menzionato art. 250 cod. civ., in riferimento ai parametri sopra indicati, nella parte in cui non prevede, per il figlio di età inferiore a sedici anni, «adeguate forme di "tutela" dei suoi preminenti personalissimi diritti, nella specie di autonoma rappresentazione e difesa in giudizio, diritti costituzionalmente garantiti».

3. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale, eccependo in primo luogo la manifesta inammissibilità della questione, perché basata su una ricostruzione parziale del quadro normativo e per avere omesso di verificare la possibilità di un’interpretazione conforme a Costituzione.

Ad avviso della difesa dello Stato, la norma censurata avrebbe delineato un sistema idoneo a tutelare gli interessi del minore, sia quando abbia compiuto i sedici anni, sia quando non abbia ancora raggiunto tale età. In particolare, in questa seconda ipotesi è previsto che per il riconoscimento sia necessario il consenso dell’altro coniuge, che esso non possa essere rifiutato se il riconoscimento stesso risponda all’interesse del figlio e che, in caso di consenso negato, la parte interessata possa avviare un apposito giudizio davanti al tribunale. Quest’ultimo decide con sentenza che, in caso di accoglimento della domanda, tiene luogo del consenso mancante, dopo aver sentito il minore in contraddittorio con il genitore che si oppone e con l’intervento del pubblico ministero.

Sarebbe vero che la norma nulla dice sulla nomina di un curatore speciale, ma ciò per il semplice motivo che l’ordinamento, con l’art. 78 del codice di procedura civile, disciplina in via generale la possibilità di nomina di un curatore, nell’ipotesi di soggetto incapace o in situazione di conflitto d’interessi.

Pertanto, nella specie non sussisterebbe una assoluta impossibilità di nominare un curatore speciale bensì la "non necessità" di tale nomina, salvo che, di volta in volta, il giudice non ravvisi una delle ipotesi per le quali l’art. 78 citato prevede la nomina del detto curatore.

Dalla stessa giurisprudenza di legittimità, richiamata nell’ordinanza di rimessione, sarebbe desumibile che, pur essendo acquisito che il minore infrasedicenne (del cui riconoscimento si tratti), in genere non sia parte del giudizio, «tale diviene quando vi sia stata la nomina di un curatore speciale ai sensi dell’art. 78, secondo comma, c.p.c., essendosi ovviamente presupposto un conflitto d’interessi tra minore e legale rappresentante di esso» (cioè il genitore che si oppone al riconoscimento ad opera dell’altro genitore naturale).

Del resto, prosegue la difesa erariale, già la Corte costituzionale, con sentenza n. 1 del 2002, affermò che la posizione del minore si configura come quella di "parte" nei procedimenti riguardanti i suoi diritti, con la necessità d’instaurare il contraddittorio nei suoi confronti, previa nomina, se del caso, di un curatore speciale ai sensi dell’art. 78 cod. proc. civ.

L’Avvocatura dello Stato, in via del tutto subordinata, deduce che le considerazioni svolte varrebbero a dimostrare la manifesta infondatezza della questione, con riferimento a tutti i parametri evocati.

Diritto

Considerato in diritto

1. – La Corte di appello di Brescia, Sezione per i minorenni, con l’ordinanza indicata in epigrafe dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 250 del codice civile (quarto comma), nella parte in cui non prevede, per il figlio che non abbia ancora raggiunto i sedici atti di età, «adeguate forme di "tutela" dei suoi preminenti personalissimi diritti, nella specie di autonoma rappresentazione e difesa in giudizio, diritti costituzionalmente garantiti», in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 30, 31 e 111 della Costituzione.

2. – La Corte territoriale espone che, con sentenza depositata il 13 maggio 2009, il Tribunale per i minorenni di Brescia ha autorizzato R. M. a riconoscere come proprio figlio naturale un minore (all’epoca, di sei anni), nonostante il dissenso della madre del bambino, M. A. P., coniugata con altro uomo, che ella al momento del parto non aveva potuto indicare come padre per l’opposizione del detto R. M.

La donna ha impugnato la sentenza del Tribunale, chiedendone l’integrale riforma con il rigetto della domanda. Al gravame ha resistito il presunto padre, adducendo la sussistenza di tutti i presupposti per autorizzare il riconoscimento. Il procuratore generale ha chiesto l’accoglimento dell’impugnazione, ritenendo sussistente «un fatto impeditivo d’importanza proporzionale al valore del diritto genitoriale sacrificato», in considerazione della particolare situazione del minore che non aveva mai visto né sentito parlare del detto padre e che viveva sereno con la madre (della quale portava il cognome) e con il marito della stessa.

La Corte rimettente aggiunge di avere invitato le parti ad esprimersi sulla necessità dell’intervento in causa di un curatore, a tutela degli interessi del minore. A seguito di tale iniziativa R. M. ha espresso parere favorevole alla nomina di un curatore speciale, mentre la madre naturale si è pronunciata in senso contrario.

In questo quadro, la Corte di appello osserva che, nel giudizio instaurato ai sensi dell’art. 250, quarto comma, cod. civ. «è principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità che il figlio naturale, non ancora sedicenne, non assuma la qualità di parte», onde non sarebbe necessaria la nomina di un curatore speciale; ed aggiunge che, se il diritto al riconoscimento del figlio naturale, già riconosciuto da un genitore, costituisce per l’altro genitore un diritto soggettivo garantito dall’art. 30 Cost., è innegabile che anche il minore di età inferiore a sedici anni, in caso di opposizione dell’altro genitore, abbia piena tutela dei suoi diritti ed interessi, tutela che può essere in concreto attuata soltanto se l’interessato sia «autonomamente rappresentato e difeso in giudizio». Ne deriva, ad avviso del giudice a quo, il dubbio sulla legittimità costituzionale della norma censurata, per la mancata previsione di tale rappresentanza e difesa.

3. – L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito che la questione sarebbe manifestamente inammissibile, perché basata su una ricostruzione parziale del quadro normativo e perché la Corte territoriale avrebbe omesso di verificare la possibilità di una interpretazione conforme a Costituzione.

L’eccezione non è fondata.

La rimettente ha richiamato un orientamento della giurisprudenza di legittimità, ritenuto consolidato, secondo cui il figlio naturale, non ancora sedicenne, non assumerebbe qualità di parte nel giudizio instaurato ai sensi dell’art. 250, quarto comma, cod. civ., sicché non sarebbe necessaria la nomina di un curatore speciale. Ciò, ad avviso della Corte bresciana, determinerebbe un deficit di tutela per i «suoi preminenti personalissimi diritti ed interessi», tutela attuabile soltanto se l’interessato sia autonomamente rappresentato e difeso in giudizio.

Così argomentando la Corte di appello, in modo implicito, ma chiaro, ha ritenuto non praticabile una interpretazione conforme a Costituzione e, quindi, è giunta alla conclusione che fosse necessario sollevare la presente questione di legittimità costituzionale. Ne deriva che l’eccepita inammissibilità resta esclusa.

4. – La questione non è fondata, nei sensi di seguito precisati.

È necessario prendere le mosse dal contesto normativo nel quale essa va collocata.

Al riguardo assume rilievo, in primo luogo, la Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176.

In particolare, detta Convenzione, per quanto qui rileva, nell’art. 1 stabilisce che per fanciullo si deve intendere ogni essere umano avente un’età inferiore a diciotto anni, salvo che abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile; nell’art. 3 dispone (comma 1) che in tutte le decisioni ad essi relative, comprese quelle di competenza dei tribunali, «l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente»; nell’art. 4 prescrive che gli Stati parti «si impegnano ad adottare tutti i provvedimenti legislativi, amministrativi ed altri, necessari per attuare i diritti riconosciuti dalla presente Convenzione»; nell’art. 12, comma 1, fa obbligo agli Stati parti di garantire al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa e, nel comma 2, aggiunge che «A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale».

All’atto ora menzionato segue la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 20 marzo 2003, n. 77. Essa, nell’art. 1, comma 2, chiarisce di essere diretta «a promuovere, nell’interesse superiore dei fanciulli, i diritti degli stessi, a concedere loro diritti procedurali ed agevolarne l’esercizio; vigilando affinché possano, direttamente o per il tramite di altre persone od organi, essere informati ed autorizzati a partecipare alle procedure che li riguardano dinnanzi ad una autorità giudiziaria»; con l’art. 4, comma 1, attribuisce al minore, quando il diritto interno priva i detentori delle responsabilità genitoriali della possibilità di rappresentarlo a causa di un conflitto d’interessi, il diritto di richiedere, personalmente o tramite altre persone od organi, la designazione di un rappresentante speciale nei procedimenti che lo riguardano dinanzi ad un’autorità giudiziaria; con l’art. 9, comma 1, stabilisce che, nei procedimenti riguardanti un minore, quando in virtù del diritto interno i detentori delle responsabilità genitoriali si vedono privati della facoltà di rappresentare il minore a causa di un conflitto d’interessi, l’autorità giudiziaria ha il potere di designare un rappresentante speciale che lo rappresenti in tali procedimenti.

Vanno, poi, citate le disposizioni di diritto interno (alcune delle quali richiamate anche nell’ordinanza di rimessione), che riconoscono al minore una diretta tutela per i suoi diritti.

In particolare: l’art. 155-sexies cod. civ., aggiunto dall’art. 1 della legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), stabilisce nel comma 1 che il giudice, prima dell’emanazione anche in via provvisoria dei provvedimenti di cui all’art. 155 cod. civ., dispone l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore, ove capace di discernimento.

Al riguardo la Corte di cassazione a Sezioni unite, con sentenza n. 22238 del 2009, ha affermato che costituisce violazione del principio del contraddittorio quale connotato del giusto processo, il mancato ascolto del minore non sorretto da espressa motivazione sull’assenza di discernimento che può giustificarne l’omissione. Ciò in quanto il minore è portatore d’interessi contrapposti e diversi da quelli del genitore in sede di affidamento e diritto di visita, e, per tale profilo, è qualificabile come parte in senso sostanziale.

Inoltre: l’art. 244, comma quarto, cod. civ. concernente i termini per l’azione di disconoscimento della paternità, prevede che detta azione può essere promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, su istanza del figlio minore che ha compiuto i sedici anni, o del pubblico ministero quando si tratta di minore di età inferiore (si veda anche l’art. 247, comma secondo, cod. civ); l’art. 264, comma secondo, cod. civ., in tema di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, stabilisce che il giudice, con provvedimento in camera di consiglio su istanza del pubblico ministero o del tutore o dell’altro genitore che abbia validamente riconosciuto il figlio o del figlio stesso che abbia compiuto il sedicesimo anno di età, può dare l’autorizzazione per impugnare il riconoscimento, nominando un curatore speciale.

Analogo potere di nomina è attribuito al giudice, ricorrendone le condizioni, in tema di dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturale, dagli artt. 273, primo comma, e 279, terzo comma, cod. civ.; del pari, in materia di legittimazione di figli naturali, l’art. 284, primo comma, n. 4, cod. civ. prevede la nomina di un curatore speciale ed altri casi sono contemplati dalle disposizioni riguardanti l’esercizio della potestà genitoriale (artt. 320 – 321 cod. civ.) o l’esercizio della tutela (art. 360 cod. civ.).

Una menzione a parte merita, infine, l’art. 336 cod. civ., che disciplina la procedura per l’adozione dei provvedimenti in tema di potestà dei genitori e nel quarto comma prevede che i genitori stessi e i minori siano assistiti da un difensore. Come già notato da questa Corte (sentenze n. 179 del 2009 e n. 1 del 2002), dal coordinamento tra l’art. 12 della Convenzione di New York, e l’art. 336, comma quarto, cod. civ. si desume che, nelle procedure disciplinate da tale norma, sono parti non soltanto entrambi i genitori ma anche il minore, con la necessità del contraddittorio nei suoi confronti, previa nomina, se del caso, di un curatore speciale, ai sensi dell’art. 78 del codice di procedura civile.

5. – In questo quadro, l’interpretazione sistematica e coordinata delle norme richiamate nel paragrafo che precede impone di pervenire alla conclusione che, anche per la fattispecie prevista dall’art. 250, quarto comma, cod. civ., il giudice, nel suo prudente apprezzamento e previa adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, possa procedere alla nomina di un curatore speciale, avvalendosi della disposizione dettata dal citato art. 78 cod. proc. civ., che, come risulta dall’elencazione effettuata dianzi (peraltro, meramente esemplificativa), non ha carattere eccezionale, ma costituisce piuttosto un istituto che è espressione di un principio generale, destinato ad operare ogni qualvolta sia necessario nominare un rappresentante all’incapace.

Invero, già la norma in questa sede censurata stabilisce che debba essere sentito il minore in contraddittorio con il genitore che si oppone al riconoscimento (salvo che, per ragioni di età o per altre circostanze da indicare con specifica motivazione, il minore stesso non sia in grado di sostenere l’audizione). Tale adempimento, la cui importanza emerge dalla citata normativa convenzionale, dimostra che il minore infrasedicenne, nella vicenda sostanziale e processuale che lo riguarda, costituisce un centro autonomo di imputazione giuridica, essendo implicati nel procedimento suoi rilevanti diritti e interessi, in primo luogo quello all’accertamento del rapporto genitoriale con tutte le implicazioni connesse.

Ne deriva che al detto minore va riconosciuta la qualità di parte nel giudizio di opposizione di cui all’art. 250 cod. civ. E, se di regola la sua rappresentanza sostanziale e processuale è affidata al genitore che ha effettuato il riconoscimento (artt. 317-bis e 320 cod. civ.), qualora si prospettino situazioni di conflitto d’interessi, anche in via potenziale, spetta al giudice procedere alla nomina di un curatore speciale. Il che può avvenire su richiesta del pubblico ministero, o di qualunque parte che vi abbia interesse (art. 79 cod. proc. civ.), ma anche di ufficio, avuto riguardo allo specifico potere attribuito in proposito all’autorità giudiziaria dall’art. 9, primo comma, della citata Convenzione di Strasburgo.

In tali sensi interpretato, il citato art. 250, quarto comma, cod. civ. si sottrae alle censure sollevate con l’ordinanza di rimessione, in relazione a tutti i parametri evocati.

Da ciò consegue la dichiarazione di non fondatezza della questione.

P.Q.M.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 250 del codice civile, sollevata in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 30, 31 e 111 della Costituzione dalla Corte di appello di Brescia, Sezione per i minorenni, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, palazzo della Consulta, il 7 marzo 2011.

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 11 MAR. 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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