Cassazione, sez. IV, 19 maggio 2011, n. 19678 Giuda in stato d’ebbrezza: utilizzabile la deposizione dell’agente di PG?

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Osserva

I) S.J. ha proposto ricorso avverso la sentenza 11 maggio 2010 della Corte d’Appello di Brescia che ha parzialmente accolto (sostituendo la pena detentiva inflitta dal primo giudice con quella pecuniaria) l’appello proposto contro la sentenza 20 novembre 2008 del Tribunale di Bergamo, sez. dist. di Grumello del Monte, che l’aveva condannato alla pena di giorni venti di arresto ed Euro 400,00 di ammenda per il reato previsto dall’art. 186 del codice della strada (guida in stato di ebbrezza) commesso in (omissis).

La Corte ha ritenuto che dovesse ritenersi provato che S. si era posto alla guida di un’autovettura, poi coinvolta in un incidente stradale, in base alle dichiarazioni dell’agente di polizia giudiziaria M.E., intervenuto successivamente sul luogo dell’incidente, il quale aveva acquisito dalle persone presenti (un trasportato sull’auto di S. e il conducente dell’altro veicolo coinvolto nell’incidente) la notizia che l’imputato (nei cui confronti l’esame etilometrico aveva dato il risultato 2,25 e 1,84 g/1) si trovava alla guida del veicolo.

La Corte ha ritenuto che le dichiarazioni de relato dell’agente fossero utilizzabili perché non era stata chiesta l’audizione dei testimoni di riferimento; ha respinto le altre eccezioni proposte con l’appello e ha confermato l’affermazione di responsabilità dell’imputato.

II) Contro la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso S.J. il quale ha dedotto un unico motivo di ricorso con il quale si denunzia la violazione dell’art. 195 comma 4 c.p.p..

Secondo il ricorrente la Corte di merito non avrebbe potuto confermare la sentenza di condanna del primo giudice perché fondata esclusivamente sulle dichiarazioni de relato di un appartenente alla polizia giudiziaria cui è inibito di deporre sul contenuto di queste dichiarazioni quando le medesime siano state raccolte in un contesto procedimentale.

III) La risposta al quesito posto nel presente processo richiede di ricostruire la tormentata vicenda della disciplina della testimonianza indiretta degli appartenenti alla polizia giudiziaria.

Il testo originariamente vigente del nuovo codice di procedura penale era perentorio nel divieto: "gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni”. (art. 195 comma 4). Ciò in attuazione della direttiva n. 31 della legge delega per l’emanazione del nuovo codice di rito che così si esprimeva nella parte che interessa: "divieto di ogni utilizzazione agli effetti del giudizio, anche attraverso testimonianza della stessa polizia giudiziaria, delle dichiarazioni ad essa rese da testimoni".

Il comma 4 dell’art. 195 venne dichiarato incostituzionale con la sentenza 31 gennaio 1992 n. 24 della Corte costituzionale – che ritenne ingiustificata la differenziazione introdotta tra le testimonianze indirette dei testimoni a seconda della qualità dei medesimi – per cui la disciplina della testimonianza indiretta degli appartenenti alla polizia giudiziaria fu interamente assimilata a quella delle deposizioni degli altri testimoni secondo la disciplina prevista dai primi tre commi dell’art. 195 in esame.

Questa disciplina è rimasta immutata fino all’entrata in vigore della l. 1 marzo 2001 n. 63 il cui art. 4 ha reintrodotto il divieto di testimonianza indiretta degli agenti e ufficiali di polizia giudiziaria aggiungendo peraltro la precisazione secondo cui il divieto si riferisce alle "dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli articoli 351 e 351, comma 2, lettere a) e b)" e aggiungendo che "negli altri casi si applicano le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 del presente articolo".

La formulazione della norma derivante dalla modifica ricordata – e ancor oggi vigente – è dunque diversa da quella originaria dichiarata incostituzionale e il divieto è apparso, in un primo tempo, più limitato perché riferito apparentemente alle sole dichiarazioni acquisite con le modalità previste dagli art. 351 (sommarie informazioni da persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini e assunzione di informazioni da persona imputata o indagata in un procedimento connesso o collegato) e 357 comma 2 lett. a (denunce, querele, istanze orali) e b (sommarie informazioni e dichiarazioni spontanee dell’indagato). Per tutti questi atti è prevista la verbalizzazione: lo prevede espressamente il comma 2 del citato art. 357 che, alla lett. c, comprende anche le dichiarazioni previste dall’art. 351.

A seguito delle ricordate modifiche normative si era infatti formato un orientamento giurisprudenziale – che sosteneva che il divieto dovesse ritenersi riferito solo alle dichiarazioni verbalizzate – fondato sulla considerazione che il 4 comma dell’art. 195 parla delle "modalità" di acquisizione delle dichiarazioni e le modalità di acquisizione delle dichiarazioni previste dagli artt. 351 e 357 comma 2 lett. a e b sono costituite dalla verbalizzazione.

Questo orientamento non è stato però seguito dalle sezioni unite di questa Corte che, con sentenza 28 maggio 2003 n. 36747, Torcasio, rv. 225468, hanno ritenuto che il divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria si riferisse tanto alle dichiarazioni ritualmente assunte e documentate quanto ai casi nei quali la polizia giudiziaria non abbia provveduto alla redazione del verbale eludendo le modalità di acquisizione delle dichiarazioni.

È peraltro da precisare che, anche in base all’orientamento delle sezioni unite, restano fuori dall’obbligo di verbalizzazione tutte le espressioni vocali, che non costituiscano "dichiarazioni" (un’espressione di disappunto, una minaccia, un colloquio tra altre persone ecc.) e queste espressioni possono essere riferite dai testimoni (da tutti i testimoni in generale) senza che si debbano richiamare le norme sulla testimonianza indiretta. Del resto la nozione di testimonianza indiretta è delineata nel comma 3 dell’art. 195 e si riferisce espressamente alle "dichiarazioni relative a fatti di cui il testimone abbia avuto conoscenza da altre persone". Se non si tratta di dichiarazioni – e quelle indicate non lo sono – non si applicano le norme sulla testimonianza indiretta.

IV) Il percorso interpretativo ricordato ha trovato una sua definizione con la sentenza della Corte costituzionale 30 luglio 2008 n. 305 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 195 comma 4 c.p.p. ove interpretato nel senso che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono essere chiamati a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese da testimoni soltanto nel caso in cui siano state acquisite con le modalità previste dagli artt. 351 e 357 del codice di rito e non anche nel caso in cui, pur ricorrendone le condizioni, queste modalità non siano state osservate.

L’interpretazione fornita dalle sezioni unite con la sentenza Torcasio, in precedenza citata, è dunque divenuta obbligata a seguito di questa sentenza del giudice delle leggi.

Con la conseguenza che tutte le volte in cui le dichiarazioni intese nel senso già indicato – vengano rese alla polizia giudiziaria in un contesto procedimentale (in questo senso è da intendere il riferimento alla circostanza che ricorrano le condizioni per la verbalizzazione) è obbligo della polizia giudiziaria verbalizzarle e se ciò non avviene non potrà l’agente o l’ufficiale di polizia giudiziaria deporre sul contenuto delle dichiarazioni a lui rese ma non verbalizzate.

V) La sentenza impugnata non si è attenuta ai criteri indicati.

Ha infatti applicato – come del resto la sentenza di primo grado – alla testimonianza dell’agente di polizia giudiziaria i principi stabiliti per le altre testimonianze de relato dai primi tre commi dell’art. 195 c.p.p. ritenendone

l’utilizzabilità sol perché non v’era stata istanza di parte perché i testi di riferimento venissero chiamati a deporre.

Ma non erano queste le norme applicabili in quanto la testimonianza de relato dell’agente o ufficiale di polizia giudiziaria è espressamente disciplinata dal quarto comma della medesima norma che non prevede la richiesta di parte. Né i giudici di merito hanno tenuto conto della dichiarazione di incostituzionalità intervenuta prima della sentenza di primo grado.

La Corte – per poter confermare la sentenza di condanna fondata esclusivamente sulle dichiarazioni dell’agente di polizia giudiziaria che non aveva assistito all’incidente ma si era limitato a riferire le dichiarazioni dei testimoni – non aveva dunque altra strada che disporre la citazione dei testi di riferimento per verificare il fondamento dell’accusa.

La conclusione – preso atto che alla data odierna il reato non è ancora prescritto in considerazione della sospensione del suo decorso dal 20 maggio al 20 novembre 2008 – è che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello che l’ha pronunziata.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, Sezione IV penale, annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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