Cassazione, sez. VI, 15 giugno 2011, n. 24039 Il teste sparisce? Dichiarazioni inutilizzabili se non viene cercato adeguatamente

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Ragioni della decisione

1. Con sentenza del 17.11 – 16.12.2010 la corte d’appello di Milano ha confermato la condanna alla pena di giustizia, inflitta dal Tribunale di Como a M..M., per i reati di cui agli artt. 73.5 dPR 309/90, 629 e 61 n.2 c.p. e 14.5 ter d.lgs. 286/98.

Secondo le prime due imputazioni, l’imputato aveva ceduto a P.F., per più volte, dosi di cocaina, costringendolo poi a saldare il debito contratto con tali acquisti. Risulta dalle sentenze di merito la versione di M., che aveva a sua volta denunciato P. per calunnia, di aver invece egli prestato una somma di denaro al P., come documentato da un bonifico fatto dalla propria sorella direttamente al P.. Risultava altresì che la polizia giudiziaria aveva assistito ad un passaggio di denaro dall’imputato al denunciante, rinvenendo in esito alla successiva perquisizione, eseguita nell’abitazione in uso all’imputato, 2 grammi di varia sostanza stupefacente e 700 Euro. Le dichiarazioni del P. erano state acquisite all’udienza ex art. 512 c.p.p., essendo il teste divenuto irreperibile.

2. Il ricorso deduce, con primo motivo, violazione di legge in relazione agli artt. 512, 526.1 bis c.p.p., 6.3 lett. d) legge 848/1955, art. 111.3 e .4, Cost. e manifesta illogicità della motivazione.

Il ricorrente ricorda le ragioni, già indicate nei motivi d’appello, per le quali l’irreperibilità del P. non poteva essere definita oggettiva, involontaria, imprevedibile ed accertata con sicurezza, ed evidenzia come nella risposta dei Giudici di merito:

– gli stessi elementi – lo stato di tossicodipendenza ed il possibile timore di ritorsioni – erano stati considerati idonei a spiegare la non intenzionalità dell’irreperibilità ma non pure la prevedibilità dell’irripetibilità della prova;

– l’affermazione della diversità di contenuto delle ricerche tra imputato e teste contrastava con le regole del giusto processo specialmente quando si trattava dell’unica fonte di prova;

– mancava motivazione sui punti dell’oggettività e dell’involontarietà della irreperibilità.

Il tutto, in violazione dei principi di diritto insegnati da questa Corte di legittimità con le sentenze 28666/2010, 29949/2009, 43331/2007, nonché dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo nelle sentenze Bracci e Ogaristi.

Con secondo motivo è dedotta omessa motivazione circa l’attendibilità del denunciante e manifesta illogicità della motivazione con riferimento:

– alla contestata mancanza di riscontri probatori alla denuncia, in relazione alla prova, anche travisata, costituita dal titolo di pagamento che la sorella dell’imputato aveva inviato non già al fratello ma proprio al P.;

– all’attendibilità del P., confermata dalla Corte ambrosiana con affermazione apodittica che non si era confrontata con le specifiche contraddizioni, dedotte nei motivi d’appello e ricordate nel ricorso;

– all’equivocità del passaggio di denaro osservato dalla polizia giudiziaria, compatibile anche con la versione difensiva;

– alla non decisività delle telefonate ricevute, atteso il sequestro di due cellulari, uno di altro soggetto, senza che fosse stato specificato l’abbinamento delle chiamate di tossicodipendenti con l’uno o con l’altro cellulare.

3. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito argomentati, dovendosi annullare la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano per un nuovo giudizio.

3.1 In ragione di tale annullamento, sarà la stessa Corte del rinvio a deliberare anche sul reato di cui al capo C), pur non oggetto di ricorso, alla luce del recentissimo insegnamento di Sez. 1, sent. 22105 del 28 aprile – 1 giugno 2011, in relazione alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, pronunciata in pari data (28.4.2011) nella causa C-61/11 PPU (ric. Hassen El Dridi), la cui rilevanza è ora confermata anche dalla Corte costituzionale con la sentenza 179/2011.

3.2 Quanto ai capi B e C, è infatti fondato il primo motivo, relativo all’illegittimità, allo stato, dell’utilizzazione dei verbali delle dichiarazioni del P., in ragione dell’erroneamente ritenuta irreperibilità dello stesso (irreperibilità che costituisce il primo momento dell’iter logico-giuridico che conduce prima all’utilizzazione dei verbali delle dichiarazioni rese nella fase di indagini preliminari e, poi, alla valutazione della loro idoneità a fondare una legittima affermazione di responsabilità).

E poiché la sentenza impugnata non ha argomentato in ordine alla non decisività della deposizione di P. per la condanna di entrambi i reati di spaccio e di estorsione, o anche di uno solo di essi, tale illegittimità impone il suo annullamento.

3.2.1 Investita dello specifico motivo, la Corte distrettuale ha argomentato che "quanto all’ipotizzata carenza nell’effettuazione delle ricerche del denunciante P. , invero va affermato che le ricerche del testimone non debbono avere le stesse caratteristiche delle ricerche che si effettuano per l’imputato, pertanto correttamente sono state dal primo giudice riconosciute esaustive le informazioni fornite dalla polizia giudiziaria che hanno fatto ritenere irreperibile il P.".

La prima parte dell’affermazione realizza un errore di diritto, nei cui confronti non può provvedersi solo ai sensi dell’art. 619 c.p.p., perché dalla sentenza di primo grado risulta che effettivamente le ricerche del P. da parte della polizia giudiziaria si sono limitate e risolte nell’accertamento: della pregressa cancellazione dal comune di ultima residenza, della non reperibilità all’ultimo domicilio di residenza (pur l’uno e l’altro – ha evidenziato la difesa – indicati tuttavia dal P. nella denuncia) e della non restrizione carceraria; quindi, in concreto, le ricerche neppure si sono svolte in tutti i luoghi corrispondenti a quelli previsti dall’art. 159 c.p.p. per l’imputato.

3.2.2 In consapevole dissenso con precedente giurisprudenza di legittimità che sosteneva la tesi ora fatta propria dalla Corte d’appello (Sez.2, sent. 15-31.5.1996, Vassiliev), già Sez.6, sent. 3937 del 28.1-28.3.2000, Ibrahimi ha insegnato che le ricerche necessarie per verificare l’irreperibilità del testimone (ovvero di uno dei soggetti indicati dall’art. 210 c.p.p.), da cui derivi l’impossibilità di ripetizione delle sue dichiarazioni, debbono coincidere con quelle richieste per la constatazione della irreperibilità dell’imputato, in ragione della natura eccezionale della regola dettata dall’art. 512 c.p.p., norma che deroga al principio del contraddittorio e richiede quindi necessariamente un’interpretazione di particolare rigore.

Dopo la compiuta modifica dell’art. 111 della Costituzione, e sviluppando il senso dei rilievi della sentenza Ibrahimi, la sentenza Sez.2, n. 43331 del 18.10-22.11.2007, Poltronieri ed altro ha insegnato che, ponendo tale articolo in evidenza la necessità che l’impossibilità dell’esame debba essere accertata, l’interpretazione costituzionalmente adeguatrice dell’art. 512 c.p.p. impone siano espletate "tutte quelle rigorose ricerche che consentano, in relazione al singolo caso, di affermare con certezza l’irreperibilità del teste e, quindi, l’impossibilità del suo esame in contraddittorio" (di accertamento con rigore aveva parlato anche S.U. sent.36747 del 28.5-24.9.2003, Torcasio). Argomentando poi specificamente sul punto della diversità di posizione tra imputato (la cui situazione è espressamente disciplinata dagli artt. 159 e 160 c.p.p.) e teste, la sentenza 43331/2007 ha avvertito che "a fondamento dei rigorosi accertamenti in merito all’irreperibilità del testimone, come situazione rilevante ai fini di cui all’art. 512 c.p.p., sta il rispetto del principio del contraddittorio nella formazione della prova che, al pari del diritto di difesa, è oggetto di un espresso riconoscimento costituzionale". Sicché, "la deroga che il sistema acquisitivo ex art. 512 c.p.p. apporta ai principi di oralità, immediatezza e formazione dialettica della prova, impone di verificare tutte le possibilità di cui si dispone per assicurare la presenza della prova in dibattimento". Da qui l’avvenuta formulazione del principio di diritto che la lettura ai sensi dell’art. 512 c.p.p. è legittima, tra l’altro, solo se l’irreperibilità del teste sia stata accertata sulla base di rigorose e accurate ricerche condotte a tal fine.

L’insegnamento è stato recentemente confermato, in esatti termini, anche da Sez.2, sent. 28666 del 24.6-21.7.2010, in prese. Pentiuc.

Se quindi la sentenza Ibrahimi, in contemporaneità con l’iter di modifica dell’art. 111 cost., affermava che le ricerche del teste dovevano, al fine di dichiararne poi l’irreperibilità, esser svolte (quantomeno) con le modalità previste per l’imputato dal codice, in ragione della natura derogatoria dell’art. 512 c.p.p., dalle sentenze successive, ed in particolare dalla sentenza Poltronieri, emerge un insegnamento che, in piena coerenza con la sopravvenuta piena ed esplicita “costituzionalizzazione” del diritto al contraddittorio nella formazione della prova, va – pur senza affermarlo espressamente – già oltre tale equiparazione. Del resto, se la conclusione concreta dovesse essere solo quella della parificazione delle modalità e dei contenuti di ricerca, tra imputato e teste, sarebbe stato sufficiente il richiamo agli artt. 159 e 160 c.p.p. ovvero la mera affermazione di un tale “agevole” ed inequivoco principio. Invece, l’utilizzazione di locuzioni come “rigorosi accertamenti”, “rigorose e accurate ricerche”, “verificare tutte le possibilità di cui si dispone”, manifesta un’esigenza specifica ed inequivoca: la necessità che siano svolti tutti gli accertamenti utili in relazione al caso concreto, sicché le modalità di cui all’art. 159 c.p.p. non sono che il parametro per individuare il minimo che va fatto per ricercare il teste, un minimo suscettibile di integrazione congrua, appunto, alle particolarità del caso concreto. Così, esemplificando, l’eventuale esistenza in vita e reperibilità di genitori o fratelli/sorelle rende ovvia anche l’assunzione di informazioni presso di loro; così come gli eventualmente conosciuti contesti di pregressa attività lavorativa o di contatti di qualsiasi genere con strutture pubbliche.

3.3 Già la sentenza 43331/2007 ha introdotto pure il tema dell’incidenza, nell’interpretazione rigorosa del concetto di irreperibilità, dei principi della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, quali risultanti dall’elaborazione della Corte Europea dei diritti dell’uomo, in particolare con riferimento all’art. 6 lettera 3 d) della Convenzione che prevede esplicitamente, tra l’altro, il "diritto di esaminare o far esaminare i testimoni a carico".

Come ricordato dalla giurisprudenza costituzionale, a partire dalle sentenze 348 e 349 del 2007 la stessa Corte delle leggi è costante nel ritenere che le norme della CEDU – nel significato loro attribuito dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo – integrino, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dal primo comma dell’art. 117 Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. Ciò anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (sent. 80/2011). Per ormai consolidata giurisprudenza costituzionale, questo comporta che, nel caso di potenziale contrasto tra la norma interna e la norma CEDU, il giudice nazionale deve "verificare anzitutto la praticabilità di un’interpretazione della prima in senso conforme alla Convenzione, avvalendosi di ogni strumento ermeneutico a sua disposizione".

Questo contesto Europeo, nella sua pregnante incidenza nel sistema delle fonti del diritto interno applicabile, ha ricevuto ora un ulteriore e davvero determinante riconoscimento. Con la recente sentenza 113/2001 la Corte costituzionale ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 e. p.p., nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza (o del decreto penale di condanna) al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Ora, se è vero che la decisione della Corte costituzionale formalmente riguarda i soli singoli casi che siano stati esaminati e decisi dalla Corte Europea, appare evidente che va in realtà colta l’essenza sistematica della novità. Che è quella di riconoscere alla violazione della giurisprudenza Cedu in tema di diritti riconosciuti nell’ambito del procedimento penale la “sanzione” della vanificazione del giudicato.

Il che rafforza, davvero in modo francamente poco superabile, la conclusione che il diritto al contraddittorio riconosciuto nella formazione della prova, nella specie dichiarativa, impone che l’impossibilità oggettiva di procedere al confronto orale sia assistita dall’esclusione di ogni ulteriore ragionevole possibilità di utile contatto.

In definitiva, in assenza di un’esplicita disciplina codicistica dei contenuti e dei limiti delle ricerche del teste, sia l’intrinseca natura derogatoria dell’art. 512 c.p.p. ai “normali” principi sistematici endoprocessuali, sia la previsione costituzionale del diritto al contraddittorio nella formazione della prova e dell’eccezionalità delle deroghe, sia i principi posti dall’art. 6 della Convenzione Europea nell’elaborazione della Corte Europea dei diritti dell’uomo (ed ora con la potenziale immediata efficacia “interna” anche al singolo processo) concorrono a concludere che l’irreperibilità del dichiarante, quale primo dei presupposti per l’utilizzabilità delle sue pregresse dichiarazioni, rese al di fuori del contraddittorio, sussista solo quando non siano più possibili ulteriori ragionevoli accertamenti, oltre quelli minimi, già previsti dall’art. 159 c.p.p. per l’imputato.

3.4 Quando anche per il teste siano state infruttuosamente eseguite le ricerche nei luoghi indicati dall’art. 159 c.p.p., diviene apprezzamento di stretto merito quello relativo alla possibilità di provvedere, nel caso concreto, ad ulteriori accertamenti, congrui alla peculiare situazione personale quale risultante dagli atti, da deduzioni specifiche delle parti, dall’esito dell’istruttoria nel giudizio. Tale apprezzamento compete ovviamente al giudice del merito, che ne deve dar conto secondo i consueti parametri, della motivazione non apparente, non manifestamente illogica e non contraddittoria.

3.5 Devono pertanto formularsi i seguenti principi di diritto, cui il Giudice del rinvio dovrà attenersi:

– l’irreperibilità del teste può essere dichiarata solo quando risultino espletate infruttuosamente, oltre alle ricerche previste per l’imputato dall’art. 159 c.p., tutti gli accertamenti congrui alla peculiare situazione personale quale risultante dagli atti, da deduzioni specifiche delle parti, dall’esito dell’istruttoria nel giudizio;

– l’apprezzamento della ragionevole impossibilità di svolgere ulteriori efficaci ricerche compete al giudice del merito, che di ciò deve dar conto con motivazione non apparente e non manifestamente illogica o contraddittoria.

3.6 La Corte d’appello, quale giudice del rinvio, ove giudichi la deposizione del P. essenziale per la decisione relativa ad entrambi i reati di cui ai capi A e B, o di anche uno solo di essi, potrà provvedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per verificare la possibilità di escutere in contraddittorio il P., previe nuove ricerche congrue al principio di diritto sopra enunciato.

L’inutilizzabilità per inadeguatezza delle ricerche, infatti, è patologia che attiene alla violazione non di un divieto probatorio bensì delle regole che disciplinano l’acquisizione della prova (Sez. 5, sent. 24033 del 19.5-23.6.2010; Sez. 1, sent. 16908 del 9-21.4.2009; Sez. 1, sent. 5636 del 22.1-5.2.2008; Sez.2, sent. 23627 del 20.6-6.7.2006).

3.7 L’accoglimento del primo motivo assorbe gli altri, il cui contenuto sarà comunque opportunamente oggetto di specifico confronto argomentativo da parte del Giudice del rinvio, tenuto conto della ricordata immediata incidenza anche della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo sulla problematica disciplinata dall’art. 512 c.p..

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Milano per nuovo giudizio.

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