Cassazione, sez. III, 21 giugno 2011, n. 13606 Resta senza voce dopo l’incidente: possibile il danno alla persona documentato solo in appello?

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con citazione notificata in data 18 febbraio 1999 T.G. esponeva che a seguito di un incidente stradale, verificatosi a Milano in data 19 ottobre 1996, tra la sua auto Mercedes e l’autoveicolo Nissan con targa britannica di proprietà di R.P. e condotto da R.C., aveva riportato danni vari alla persona ed alla vettura. Ciò premesso, conveniva in giudizio il proprietario ed il conducente del veicolo investitore nonché l’U.C.I. e la Elvia Compagnia di assicurazioni (assicuratore per la r.c. ) per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti. In esito al giudizio, nel corso del quale si costituivano solo l’Uci e la compagnia di assicurazioni Elvia e veniva tra l’altro espletata perizia tecnica, il Tribunale di Milano condannava i convenuti in solido al risarcimento dei danni relativi alla autovettura ed alla persona, disattendendo però la domanda riguardante la perdita della capacità vocale dell’attore. Avverso tale decisione il T. proponeva appello ed in esito al giudizio la Corte di Appello di Milano con sentenza depositata in data 14 aprile 2008 rigettava l’impugnazione. Avverso la detta sentenza il T. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Resiste con controricorso l’U.C.I. che ha altresì depositato memoria difensiva.

Motivi della decisione

La prima doglianza, articolata dal ricorrente sotto il profilo della nullità del procedimento per manifesta violazione del contraddittorio nell’ambito della consulenza tecnica di ufficio, si fonda sulla considerazione che la mancata comunicazione, al consulente di parte, del differimento della data di inizio delle operazioni peritali nel giudizio di primo grado avrebbe determinato una nullità assoluta rilevabile d’ufficio per cui la Corte di appello avrebbe sbagliato a ritenerla sanata per effetto della mancata eccezione da parte dell’interessato nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso.

La censura è infondata, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui le nullità della consulenza, in genere, non sono rilevabili ex officio dal giudice (Cass. 23467/04) e quelle, derivanti in particolare dalla mancata comunicazione alle parti della data di inizio o di proseguimento delle operazioni peritali, hanno carattere relativo e pertanto devono essere eccepite a pena di decadenza nella prima udienza, istanza o difesa successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanate per acquiescenza (ex multis Cass. n. 8347/10, n.4364/02, n.5762/05, n.7243/06, n.22843/06, n.8227/06, n.. 13453/04). Né può invocarsi a riguardo alcuna violazione del principio del contraddittorio, rilevabile d’ufficio, giacché il rilievo officioso postula di per sé l’indeducibilità della violazione ad iniziativa della parte interessata, eventualmente pregiudicata, laddove nel caso di specie tale facoltà non è certamente preclusa alla parte e la legge ne contempla la possibilità del suo esercizio nella prima udienza, istanza o difesa successiva al deposito della relazione.

Passando all’esame della seconda doglianza, va rilevato che la stessa, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto, in particolare dell’art. 345 cpc conferente l’inutilizzabilità del documento prodotto in appello, si fonda sulla considerazione che la Corte di merito avrebbe sbagliato a ritenere inammissibile la produzione in appello dell’ecotomografia alla zona laringo – faringea effettuata in data 5 settembre 1996, perché si trattava di un documento assolutamente importante ai fini del decidere in quanto lo stesso dimostrava come in epoca vicina al sinistro del 19 ottobre 1996 l’appellante non presentasse alcuna patologia proprio nella laringe attinta dal trauma. Inoltre, la Corte avrebbe ulteriormente sbagliato nel consentire al ctu di prenderne visione e di tener conto dei dati da esso risultanti.

Anche tale censura è infondata. A riguardo, si deve rilevare che, secondo l’orientamento ormai consolidato di questa Corte, l’art. 345, co. 3 del cpc deve essere interpretato nel senso che, fermo restando, sul piano generale, il principio dell’inammissibilità dei nuovi mezzi di prova e quindi anche delle produzioni documentali, il giudice di appello è abilitato ad ammettere, in sede di gravame, oltre a quelle prove che le parti dimostrino di non aver potuto proporre per causa a esse non imputabile, solo quelle prove che ritenga nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite indispensabili in quanto suscettibili di un’influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove, definite come rilevanti, hanno sulla decisione finale della controversia (Sez.Un. n. 8203/05, n. 5323/07, 9274/08, 12652/08,27006/08). L’indispensabilità, in definitiva, deve essere intesa come capacità di determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, decisivo, talvolta, per giungere ad un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il primo giudice (Cass. 16526/05).

Merita di essere quindi condivisa la decisione dei giudici di appello quando hanno posto l’accento sul rilievo che la documentazione ben avrebbe potuto essere prodotta in primo grado e che non rileva l’assunto, dell’appellante, del ritrovamento successivo, in difetto di prova che il mancato tempestivo rinvenimento sia dipeso da fatti a lui non imputabili. Ciò, senza considerare la non indispensabilità del documento in questione, non ritenendosi il mero criterio di prossimità temporale idoneo a condurre all’affermazione di un nesso eziologico, né in senso naturalistico né in un senso giuridico, tra l’incidente de quo e la compromissione della capacità di controllo della voce cantata, lamentata dal T..

Passando infine all’esame della terza doglianza, va rilevato che con tale motivo il ricorrente ha dedotto il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dalla mancata rinnovazione della perizia d’ufficio.

La doglianza è infondata. A riguardo, deve premettersi che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il giudice del merito non è tenuto, anche a fronte di un’esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza d’ufficio (Cass. 167/02) né a disporne l’integrazione (Cass. 19199/04). Giova aggiungere che, ove condivida le valutazioni del c.t.u., il giudice del merito non è tenuto ad esporre in modo specifico ed articolato le ragioni che lo abbiano indotto a far propri gli argomenti contenuti nella relazione, essendo sufficiente che nella motivazione, mediante gli opportuni richiami alla relazione, lasci desumere che le contrarie deduzioni delle parti siano state disattese (Cass. 5677/98, 7806/98, 7716/00), perché incompatibili con le argomentazioni accolte (Cass.8355/07).

Nel caso di specie, ad ogni modo, la Corte territoriale ha spiegato diffusamente le ragioni della propria adesione alle conclusioni del perito d’ufficio evidenziando come le stesse fossero state pienamente avvalorate sia dalla documentazione allegata agli atti del processo dall’attore sia dalle ulteriori indagini eseguite dallo stesso CTU e richiamando l’attenzione soprattutto sul rilievo che l’asimmetria laringea con rotazione dell’asse presentata dal T. fu rilevata per la prima volta soltanto nel maggio 1999 e cioè oltre due anni e mezzo dopo il sinistro, pur essendosi il T. sottoposto nel frattempo a plurimi controlli specialistici ed esami diagnostici presso accrediti foniatri con specifica competenza per la voce artistica cantata che, come riferito dal CTU e come risultava dalla documentazione in atti nulla avevano rilevato a riguardo, riscontrando solo “minimalità”.

Ciò premesso, considerato che la decisione dei giudici di seconde cure reiettiva dell’istanza di rinnovazione della perizia d’ufficio, avanzata dall’appellante, appare fondata su una motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione mentre invece i rilievi della parte ricorrente consistono in sostanza in una diversa valutazione circa l’attendibilità’ e la concludenza delle risultanze istruttorie senza indicare in modo specifico gli errori e le omissioni del consulente, che il giudice non avrebbe considerato e senza riuscire ad individuare effettivi vizi logici o giuridici nell’impugnata decisione, non rimane che rigettare la doglianza in esame.

Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, a favore della controricorrente, senza che occorra provvedere sulle spese a favore delle altre parti in quanto, non essendosi costituite, non ne hanno sopportate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 6.400,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge, a favore della contro ricorrente.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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