CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – SENTENZA 11 luglio 2011, n.15214 NULLITÀ DEL CONTRATTO PER ILLICEITÀ DELL’OGGETTO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 324 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ.) ci si duole che la Corte territoriale abbia qualificato la convenzione del 27 gennaio 1988 come contratto definitivo, laddove la sentenza del Tribunale di Nola aveva ritenuto che scrittura privata integrasse gli estremi del contratto preliminare sospensivamente condizionato, e ciò senza considerare che né l’appellante principale né gli appellanti incidentali avevano chiesto la riforma, in parte qua, della sentenza del primo giudice.

1.1. – La censura è priva di fondamento.

Non sussiste il lamentato vizio di extrapetizione, giacché – come risulta per tabulas dalla lettura dell’appello incidentale (pagg. 6 e 7), il cui esame è consentito, essendo denunciato un vizio in procedendo – i B. hanno rimesso al giudice d’appello la questione della qualificazione della detta convenzione, esplicitamente sostenendo che con tale contratto le parti avevano ‘effettivamente venduto ed acquistato delle par-ticelle di terreno’, sia pure subordinando ‘l’efficacia della vendita al verificarsi di un evento futuro ed incerto’. Di qui la richiesta di declaratoria di nullità della citata convenzione, perché ‘all’atto di compravendita’ dell’appezzamento di terreno non era stato allegato ‘né il certificato di destinazione urbanistica né la dichiarazione sostitutiva di notorietà’.

2. – Il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ.) lamenta che la Corte d’appello, nel qualificare come contratto definitivo di vendita la convenzione de qua, abbia omesso di considerare la scrittura privata nel suo complesso, soffermandosi solamente su alcune espressioni, singolarmente valutate e scollegate dal complessivo dato contrattuale, e non abbia tenuto presente il canone interpretativo di cui all’art. 1367 cod. civ..

2.1. – Il motivo è privo di fondamento.

Il contratto preliminare e il contratto definitivo di compravendita si differenziano per il diverso contenuto della volontà dei contraenti, che è diretta, nel primo caso, ad impegnare le parti a prestare, in un momento successivo, il loro consenso al trasferimento della proprietà, e nel secondo ad attuare il trasferimento stesso, contestualmente o a decorrere da un momento successivo alla conclusione del contratto, senza necessità di ulteriori manifestazioni di volontà. La qualificazione del contratto come preliminare o definitivo costituisce pertanto un accertamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata e non inficiata da vizi logici o giuridici (Cass., Sez. V, 4 ottobre 2006, n. 21381; Cass., Sez. II, 20 novembre 2007, n. 24150).

Nella specie, la sentenza di merito, con un ragionamento sostenuto da una motivazione adeguata e priva delle mende che ad essa vengono attribuite, ha qualificato come definitivo il contratto stipulato dalle parti, dopo avere osservato – all’esito di una puntuale indagine delle clausole negoziali, considerate sia singolarmente sia nel loro insieme – che con la scrittura privata del 27 gennaio 1988 le parti intesero trasferire senz’altro gli immobili indicati, avendo chiaramente manifestato una volontà definitiva in tal senso (e contenendo del resto il testo contrattuale tutti gli elementi del contratto di alienazione, dalla determinazione dell’oggetto al trasferimento dello stesso dietro pagamento del corrispettivo); e non senza sottolineare che la convenzione neppure poteva dirsi sottoposta alla condizione sospensiva dell’ottenimento dell’approvazione del piano di lottizzazione, essendo previsto, all’art. 9, che, anche in caso di esito negativo della procedura di lottizzazione, la B. avrebbe comunque stipulato l’atto pubblico in favore del S..

È evidente, pertanto, che il motivo di ricorso, pur prospettando il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di legge, finisce per sollecitare questa Corte di legittimità ad una revisione dell’accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito.

3. – Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ. e dell’art. 1419 cod. civ.) il ricorrente lamenta che la Corte di merito abbia negato rilevanza alla condizione sospensiva di cui all’art. 4 della convenzione solo in ragione della nullità della previsione del primo inciso dell’art. 9 della medesima scrittura privata (nella quale si prevede che nell’ipotesi in cui la procedura di lottizzazione cosi come è stata prospettata negli elaborati depositati al Comune di Liveri, di cui l’allegato B costituisce parte sostanziale, dovesse avere esito negativo, la B. , come costituita, venderà al S. l’area dei lotti 1 e 5 sempre senza corrispettivo che, invece, nell’atto pubblico, dichiarerà di aver ricevuto integralmente). Siccome nessuna delle parti ha mai dedotto che, se non si fosse prevista la facoltà riconosciuta dall’art. 9 della convenzione, la stessa non sarebbe stata stipulata, la Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare privo di effetti soltanto l’art. 9 della convenzione, con conseguente efficacia e validità di tutte le altre clausole contrattuali.

3.1. – La doglianza non coglie nel segno.

È esatto che, a norma dell’art. 1419 cod. civ., al fine di stabilire se la nullità di una clausola contrattuale importi la nullità dell’intero contratto ovvero sia applicabile il principio utile per inutile non vitiatur, la scindibilità del contenuto del contratto deve essere accertata soprattutto attraverso la valutazione della potenziale volontà delle parti in relazione all’ipotesi che nel contratto non fosse stata inserita la clausola nulla.

Sennonché, nella specie la clausola dell’art. 9 è stata considerata dalla Corte territoriale esclusivamente al fine di escludere che il contratto de quo fosse sottoposto alla condizione sospensiva dell’ottenimento dell’approvazione del piano di lottizzazione; laddove l’accertamento della nullità dello stesso (per illiceità dell’oggetto ai sensi dell’art. 18 della legge n. 47 del 1985) è stato compiuto sul rilievo – indipendente dalla previsione contenuta nella citata clausola dell’inequivocità del frazionamento a fini edificatori e della impossibilità per le parti di porre in essere un atto di alienazione prima della approvazione del piano di lottizzazione.

4. – Il quarto motivo lamenta l’erronea qualificazione del contratto come contratto di vendita e, sul rilievo della necessaria qualificazione del contratto come datio in solutum e del diritto del ricorrente al pagamento dell’importo previsto nell’art. 8 della convenzione, quale minimo dovuto, deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1197, primo e secondo comma, 1362 e ss. e 1424 cod. civ. Secondo il ricorrente, la convenzione avrebbe dovuto essere qualificata come contratto di transazione (a formazione progressiva, in quanto poi avrebbe richiesto la stipula di un atto pubblico mai concluso), attraverso il quale Ag..Bo., in proprio e nella qualità di procuratrice dei propri congiunti, si era obbligata a porre in essere una prestazione (consistente nel trasferimento della proprietà di certi lotti), in favore del S., in luogo del pagamento a quest’ultimo delle indennità di legge dovutegli in ragione della sua qualità di conduttore del fondo rustico di proprietà dei resistenti ed ottenendo altresì l’obbligo del ricorrente (puntualmente adempiuto) di rilascio del fondo di proprietà dei B., senza contestazioni. Tant’è vero che le parti, nell’art. 8 della convenzione, hanno determinato un importo minimo (cento milioni di lire) da riconoscere al S. per il caso in cui il trasferimento della proprietà non avesse potuto essere effettuato. Avrebbe errato la Corte d’appello nel non condannare i B. alla corresponsione della somma di lire cento milioni, così come previsto dal citato art. 8, trattandosi non di penale in senso tecnico, ma di obbligo, a carico della parte inadempiente, di corrispondere all’altra un bene della vita in luogo dell’indennità di cui il S. avrebbe dovuto godere.

4.1. – Il motivo è inammissibile, perché l’esatta qualificazione del rapporto controverso viene perseguita attraverso la prospettazione di nuovi assunti anche in fatto, comportanti una impostazione difensiva radicalmente nuova e un nuovo titolo giuridico a sostegno di tale impostazione.

5. – Il ricorso è rigettato.

Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, liquidate in complessivi Euro 4.200, di cui Euro 4.000 per onorari, oltre a spese processuali e ad accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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