Cassazione, sez. II, 9 maggio 2011, n. 10153 Il corrispettivo per l’attività di amministratore del condomino va provato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Il condominio di via (OMISSIS), proponeva opposizione al decreto con il quale il Presidente del Tribunale di Roma gli aveva ingiunto il pagamento in favore di T.A. della somma di L. 227.628.293. quale residuo corrispettivo per l’attività di amministratore del condomino stesso svolta da quest’ultimo tra il 1986 e il 1992.

A sostegno dell’opposizione deduceva che i rendiconti prodotti dal T., che recavano voci di debito del condominio verso quest’ultimo, non coincidevano con quelli approvati dall’assemblea; che non erano provati gli esborsi che il T. asseriva di aver anticipato per conto del condominio; che i lavori straordinari della palazzina A erano stati già pagati da ciascun condomino, e che la situazione debitoria verso l’Italgas lasciata dal T. aveva costretto i condomini al versamento di contributi straordinari. Chiedeva, pertanto, la revoca del decreto e, in via riconvenzionale, la condanna dell’amministratore al pagamento della somma di L. 60.000.000 già corrispostagli.

Il T. resisteva all’opposizione, facendo presente, fra l’altro, che nella prima riunione successiva alla cessazione del rapporto, l’assemblea condominiale aveva approvato il consuntivo della gestione predisposto dal successivo amministratore.

Il Tribunale accoglieva l’opposizione e la domanda riconvenzionale, condannando l’opposto a restituire la somma di L. 60,000.000 già percepita.

Tale pronuncia era ribaltata dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza del 28.2.2007 condannava il condominio a versare al T. la somma di Euro 85.970,60.

La Corte capitolina riteneva che (oltre ad essere accertata, negli anni della gestione T., una generale morosità di vari condomini e resistenza di anticipazioni effettuate dal l’amministratore) emergeva dai rendiconti, prodotti da entrambe le parti e tra loro corrispondenti, l’inesattezza delle conclusioni cui era pervenuto in primo grado il c.t.u., il quale aveva ignorato anche la relazione di parte dello stesso condominio, che riconosceva in gran parte la sussistenza del credito reclamato. I riscontri dell’esistenza e dell’esattezza degli esborsi effettuati dal T. erano stati effettuati, osservava la Corte d’appello, dall’apposito comitato dei condomini nel giugno del 1992, che aveva concluso all’unanimità nel senso che tutti i documenti relativi agli anni 1989, 1990 e 1991 trovavano riscontro (ad eccezione di una somma, di L. 4.248.300 relativa al consuntivo del 1989, erroneamente duplicata). Quindi, determinava nel dettaglio le somme spettanti all’amministratore, rilevando, tra l’altro, che quanto ai lavori straordinari della Palazzina D, il T. aveva domandato il pagamento del residuo importo di L. 9.876.295, somma che gli doveva essere interamente riconosciuta posto che lo stesso consulente di parte condominiale aveva dichiarato di non aver rinvenuto alcun versamento da parte dei condomini in favore del T.

Per la cassazione di questa sentenza ricorre il condominio, con cinque motivi di annullamento.

Resiste con controricorso la parte intimata.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1137 c.c..

Deduce al riguardo che i condomini hanno approvato consuntivi non contenenti indicazione alcuna a crediti personali del T. e che le delibere di approvazione richiamano rendiconti senza individuare neppure il saldo, sicché non è certo che le passività siano state effettivamente prese in considerazione dall’assemblea.

Precisa, quindi, che la Corte d’appello ha violato l’art. 1137, 1 comma c.c., laddove ha ritenuto vincolante per i condomini quanto non era stato oggetto di deliberazione da parte dell’assemblea, ossia una presunta voce di "debito verso T.", apoditticamente interpolata da quest’ultimo, dopo l’approvazione dei rendiconti, soltanto nelle copie prodotte, sicché, come era stato osservato dal Tribunale, non è certo che tale voce sia stata presa in considerazione dall’assemblea.

La Corte d’appello non ha considerato che la differenza tra i due rendiconti è stata esplicitamente ammessa dallo stesso T., anche se al fine di rendere più chiare le voci di spesa all’amministratore succeduto.

Quindi conclude il motivo con il seguente quesito ex art.366-bis c.p.c.: "Dica l’Ecc.ma Corte se ai sensi della norma dell’art. 1137, comma 1 c.c. possano ritenersi fonte di obbligazione per i condomini riuniti in Condominio anche le deliberazioni assembleari che non risultino specificamente approvate dall’assemblea per assenza del’argomento oggetto di deliberazione; e se dall’approvazione di un rendiconto condominiale recante un disavanzo discenda ex se il riconoscimento da parte dei condomini e la conseguente obbligazione di rimborso di eventuali anticipi di spesa in favore dell’amministratore che ha predisposto il rendiconto".

2. – Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.2697, comma 1 c.c..

Il T. ha fornito la prova di un fatto in realtà mai contestato, ossia che il condominio di via XXXXXXX abbia approvato il disavanzo dei rendiconti nel triennio in questione (1989-1991), ma non ha provato di aver anticipato di tasca propria le somme corrispondenti, non avendo prodotto nessun riscontro contabile utile a indicare un passaggio di denaro dal suo patrimonio a quello dei creditori del condominio.

Ciò posto, parte ricorrente formula il seguente quesito: "Dica l’Ecc.ma Corte suprema se in base alla norma di cui all’art.2697, comma 1 c.c., in mancanza di ulteriori fonti di prova, un amministratore di condominio possa ritenersi sollevato dall’onere di allegare mezzi di prova del suo credito consistente nell’affermato pagamento di somme personalmente da lui anticipate in favore del condominio".

3. – Con il terzo motivo è denunciata l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, costituito da ciò, che la voce di debito del condominio verso il T. sarebbe stata introdotta da quest’ultimo a posteriori nei rendiconti prodotti in giudizio, mentre quelli distribuiti ai condomini in vista dell’approvazione da parte dell’assemblea, non recherebbero tale voce, di guisa che, nell’approvare i rendiconti stessi, l’assemblea condominiale non avrebbe potuto neppure prendere in considerazione la sussistenza di un debito verso l’amministratore.

Al riguardo, osserva parte ricorrente, la Corte d’appello anziché cogliere la rilevanza di tale giudizio di fatto, si è limitata a ritenere che il giudice di primo grado abbia errato nel considerare essenziale la mancata specifica approvazione della voce di debito verso il T.. E conclude, in sintesi, domandando se l’assenza nei rendiconti annuali compilati dall’amministratore, di riferimenti a crediti di quest’ultimo per sue anticipazioni in favore del condominio – circostanza accertata dal Tribunale e in sede di ctu. – sia rilevante ai fini di escludere la sussistenza del relativo, credito dell’amministratore stesso e al fine di procedere alla cassazione della sentenza impugnata, anche in ragione della sola insufficienza – clamorosa, perché dichiaratamente affidata ad una "intuizione" – con la quale la Corte d’appello ha capovolto le conclusioni raggiunte sul punto dal Tribunale.

4. – Con il quarto motivo è denunciata l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, costituito da ciò, che la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare la propria adesione al primo motivo di gravame del T., nel quale si sostiene che il ctu. avrebbe erroneamente svolto la sua relazione sulla circostanza se fosse o non avvenuto il versamento delle quote da parte dei singoli condomini. L’equivoco in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado risiederebbe, pertanto, nel fatto che l’indagine tecnica ha avuto ad oggetto non quanto dedotto dall’appellante, ma l’effettiva esistenza del credito preteso, con il risultato che il ctu. non ha rinvenuto alcuna evidenza contabile, né dell’avvenuta anticipazione di somme, né della qualificazione contabile delle somme stesse che nel rendiconto il T. avrebbe dovuto esporre a proprio credito personale.

5. – Con il quinto motivo si deduce il vizio di motivazione circa un ulteriore fatto controverso e decisivo, concernente i versamenti che il T. avrebbe eseguito in favore dei creditori del condominio, versamenti che mancano del tutto di riscontro, per cui, secondo parte ricorrente, resterebbe smentita l’affermazione che il predetto ex amministratore fosse solito provvedervi anticipando denaro proprio.

6. – Il primo motivo è fondato e assorbe l’esame delle restanti, sostanzialmente succedanee, censure.

6.1. – Premesso che, come si ricava dalla sentenza impugnata, il nucleo della controversia risiede nello stabilire se l’assemblea condominiale abbia mai approvato i rendiconti recanti il debito verso il T., per somme che questi avrebbe anticipato per pagare i terzi creditori del condominio, va osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la validità dell’approvazione, da parte dell’assemblea dei condomini, del rendiconto di un determinato esercizio non postula che la contabilità sia stata redatta dall’amministratore con rigorose forme, analoghe a quelle previste per i bilanci delle società, purché essa sia idonea a rendere intelligibile ai condomini le voci di entrata e di spesa, anche con riferimento alla specificità delle partite, atteso che quest’ultimo requisito – come si desume dagli artt. 263 e 264 cod. proc. civ. (disciplinanti la procedura di rendiconto ed applicabili anche al rendiconto sostanziale) – costituisce il presupposto indispensabile affinché il destinatario del conto assolva l’onere di indicare specificamente le partite che intende contestare (v. Cass. nn. 3747/94, 896/84, 5150/82 e 2625/81).

6.1.1. – Dunque, come la contestazione, così anche l’approvazione di singole partite deve essere specifica, cioè formare oggetto di espresso esame e di altrettanto manifesta dichiarazione di volontà da parte dell’assemblea di fare proprie le risultanze del rendiconto. La conseguenza è che nell’ambito di un consuntivo che, come quello della gestione condominiale, soggiace al criterio di cassa, l’approvazione del rendiconto recante un disavanzo tra le somme spese e quelle incamerate dal condominio per effetto dei versamenti eseguiti dai condomini o per altra causa, non implica che, per via deduttiva, possa ritenersi riconosciuto il fatto che la differenza sia stata versata dall’amministratore utilizzando denaro proprio, ovvero che questi sia comunque creditore del condominio per l’importo corrispondente. E ciò per ragioni di carattere sia logico, ove si consideri che l’amministratore ben può aver utilizzato provviste aliene di cui aveva soltanto la disponibilità (ad esempio, fondi derivanti da altra gestione), sia giuridico, atteso che la ricognizione di debito, sebbene possa essere manifestata anche in forma non espressa, richiede pur sempre un atto di volizione su di un oggetto specificamente sottoposto all’esame dell’organo collettivo, chiamato a pronunciarsi su di esso.

6.2. – Nella fattispecie, la conclusione cui è pervenuto il giudice d’appello si basa sul coordinamento di due fatti – l’approvazione di consuntivi recanti un disavanzo contabile e la non infrequente morosità di alcuni condomini – la cui interazione non costituisce l’equipollente di un riconoscimento del debito, per la totale aspecificità del suo oggetto.

6.2.1. – Né può sopperirvi il riscontro contabile effettuato da un apposito comitato di condomini, ulteriore elemento valorizzato dalla Corte capitolina, poiché dalla sentenza impugnata non risulta che tale organismo avesse, in virtù di previsione regolamentare, un potere di rappresentanza dell’assemblea. unico organo deputato a formare la volontà del condominio.

7. – In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che deciderà la controversia attenendosi al seguente principio di diritto: "in materia di deliberazioni di assemblea condominiale, l’approvazione del rendiconto ha valore di riconoscimento di debito in relazione alle sole poste passive specificamente indicate. Pertanto, l’approvazione di un rendiconto di cassa che presenti un disavanzo tra uscite ed entrate, non implica che, per via deduttiva, possa ritenersi riconosciuto il fatto che la differenza sia stata versata dall’amministratore utilizzando denaro proprio, ovvero che questi sia comunque creditore del condominio per l’importo corrispondente, atteso che la ricognizione di debito, sebbene possa essere manifestata anche in forma non espressa, richiede pur sempre un atto di volizione su di un oggetto specificamente sottoposto all’esame dell’organo collettivo, chiamato a pronunciarsi su di esso".

8. – Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

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