Cassazione, sez. IV, 7 aprile 2011, n. 13758 Dimette il paziente con infarto in atto: il sanitario risponde di omicidio colposo?

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Il Tribunale di Genova, con sentenza in data 22.12.2008 dichiarava M.C. colpevole del delitto di omicidio colposo e la condannava, concesse le attenuanti generiche, alla pena, interamente condonata, di anni due di reclusione.

La Corte di Appello di Genova, con sentenza in data 29 marzo 2010, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva l’imputata dal reato ascrittole perché il fatto non sussiste.

La Corte territoriale evidenziava di condividere la valutazione operata dal Tribunale, con riguardo alla ascrivibilità colposa della condotta alla prevenuta; ciò in quanto, l’imputata aveva sottovalutato la sintomatologia presentata dal paziente B.G., il quale si era presentato domenica (omissis) presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di …, accusando dolore toracico, formicolio al braccio sinistro, ipertensione. La Dott.ssa M., visto l’esito negativo dell’elettrocardiogramma, aveva dimesso il paziente, il quale la notte tra il 13 ed il 14 febbraio 2005 decedeva a causa di "acuta insufficienza cardiocircolatoria, secondaria a tamponamento cardiaco da rottura della parete posteriore del ventricolo sinistro in soggetto con infarto miocardio acuto", come successivamente accertato. Con specifico riguardo ai profili di colpa, la Corte territoriale evidenziava che l’imputata aveva omesso di prescrivere immediatamente l’esecuzione di esami di laboratorio finalizzati allo studio di enzimi cardiaci di necrosi miocardica.

La Corte di Appello evidenziava poi che risultava accertato che all’atto dell’accesso al Pronto Soccorso, l’ischemia acuta in evoluzione necrotica fosse già presente.

Con riferimento alla imputazione causale dell’evento, la Corte di Appello osservava che il Tribunale aveva ritenuto che un corretto approccio diagnostico avrebbe con tutta probabilità scongiurato l’evolversi dell’infarto miocardico acuto in rottura di cuore. La Corte territoriale, sul punto, considerava che non poteva ritenersi certo che l’immediato ricovero del paziente, ad infarto pacificamente già in atto, la mattina del (omissis), presso una unità cardiologica attrezzata, avrebbe potuto scongiurare la rottura del cuore. La Corte di Appello richiamava le conclusioni rassegnate dai consulenti del PM, ove si rilevava che la corretta esecuzione degli enzimi cardiaci avrebbe potuto "ridurre significativamente" l’incidenza di complicazioni post infartuati, tra le quali si inserisce la rottura del cuore. Conclusivamente, la Corte di Appello di Genova non riteneva che, in caso di tempestiva prescrizione dei richiamati esami di laboratorio, l’evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore o con minore intensità.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Genova, deducendo la contraddittorietà della motivazione; parte ricorrente assume che la Corte territoriale non abbia spiegato le ragioni in base alle quali ha ritenuto che l’immediato ricovero presso una unità cardiologia attrezzata non avrebbe potuto scongiurare l’evento-morte. Il ricorrente osserva che la Corte di Appello, dopo avere correttamente affermato che il rapporto di causalità deve essere ricostruito alla stregua del giudizio controfattuale, non ancora il giudizio sul caso di specie ad alcuna analisi controfattuale, basata sugli elementi emersi dalla espletata consulenza tecnica.

Il ricorso è infondato.

Si registrano, nel caso di specie, divergenti valutazioni effettuate dai giudici di primo e secondo grado, in ordine alla sussistenza del nesso di derivazione causale tra la condotta omissiva posta in essere dall’imputata in relazione ai dovuti accertamenti diagnostici e l’evento in concreto verificatosi. Ed invero, i giudici di merito, pur ispirandosi a comuni criteri di probabilità logica, intesa come “la verifica aggiuntiva, sulla base dell’intera evidenza disponibile, dell’attendibilità dell’impiego della legge statistica per il singolo evento e della persuasiva e razionale credibilità dell’accertamento giudiziale” (Cass. Sez. Un., sentenza n. 30328, in data 11.9.2002, Rv. 222138), hanno effettuato divergenti apprezzamenti, con riferimento al valore impeditivo da assegnare all’immediato ricovero del paziente presso una unità cardiologica attrezzata, in relazione all’evolversi dell’infarto miocardico acuto.

Come noto, la Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con la sentenza sopra richiamata, hanno fugato le incertezze in ordine alla utilizzabilità di generalizzazioni probabilistiche nell’ambito del ragionamento causale. La Corte regolatrice ha considerato utopistico un modello di indagine fondato solo su strumenti di tipo deterministico e nomologico-deduttivo, cioè affidato esclusivamente alla forza esplicativa di leggi universali. Invero, nella verifica dell’imputazione causale dell’evento occorre dare corso ad un giudizio predittivo, sia pure riferito al passato: il giudice si interroga su ciò che sarebbe accaduto se l’agente avesse posto in essere la condotta che gli veniva richiesta. Detta valutazione risulta di maggiore complessità in riferimento alla fattispecie omissiva, nella quale il giudice, al fine della evidenziata ricostruzione controfattuale del nesso causale, si interroga in ordine all’evitabilità dell’evento, per effetto delle condotte doverose mancate che, naturalisticamente, costituiscono un "nulla". Ebbene, in conformità all’insegnamento delle Sezioni Unite, la giurisprudenza di legittimità ha da ultimo enunciato il carattere condizionalistico della causalità omissiva, indicando il seguente itinerario probatorio: il giudizio di certezza del ruolo salvifico della condotta omessa presenta i connotati del paradigma indiziario e si fonda anche sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e culmina nel giudizio di elevata "probabilità logica". La Suprema Corte ha, in particolare, evidenziato che "le incertezze alimentate dalle generalizzazioni probabilistiche possono essere in qualche caso superate nel crogiuolo del giudizio focalizzato sulle particolarità del caso concreto quando l’apprezzamento conclusivo può essere espresso in termini di elevata probabilità logica" (Cass. Sez. IV sentenza n. 43786 del 17.9.2010, dep. 13.12.2010, n. m.). Preme, peraltro, rilevare che nella sentenza da ultimo citata, la Suprema Corte ha pure ribadito che, nella materia che occupa, sussiste il pericolo di degenerazioni di tipo retorico "che imprimono arbitrariamente il suggello dell’elevata probabilità logica su ragionamenti probatori che rimangono altamente incerti quanto al carattere salvifico delle condotte mancate e che non si confrontano adeguatamente con le particolarità della fattispecie concreta".

Applicando le coordinate interpretative ora richiamate al caso di giudizio, deve rilevarsi che il ragionamento sviluppato dalla Corte territoriale risulta immune dalle dedotte inconferenze motivazionali. La Corte di Appello ha evidenziato che non può affermarsi, in termini di certezza, che l’immediato ricovero del paziente, la mattina del (omissis), presso una unità cardiologica attrezzata, avrebbe potuto scongiurare la rottura del cuore, come verificatasi. Ed invero, la Corte territoriale, nella sentenza impugnata, sulla base del complessivo compendio indiziario acquisito agli atti, ha sottolineato che nel momento in cui il paziente, non più giovane e forte fumatore, si presentò al Pronto Soccorso, l’infarto era già in atto e che pertanto l’immediato ricovero presso una unità cardiologica attrezzata non avrebbe potuto scongiurare la rottura del cuore. Si osserva, che la Corte territoriale ha sviluppato detta valutazione sulla scorta delle conclusioni rassegnate dai consulenti del PM, i quali hanno chiarito che la corretta esecuzione degli enzimi cardiaci avrebbe potuto al più "ridurre significativamente" l’incidenza di complicazioni post infartuali, tra le quali si inserisce la rottura del cuore. Sotto altro aspetto, si osserva che il Collegio ha pure rilevato, nell’escludere la sussistenza di una prova certa in ordine alla imputazione causale dell’evento, che anche ipotizzando che l’infarto non fosse in atto al momento dell’accesso del paziente al Pronto Soccorso, l’immediata prescrizione degli esami enzimatici da parte dell’imputata non avrebbe comunque sortito alcun effetto salvifico, giacché in tal caso l’esito dell’accertamento diagnostico sarebbe stato negativo. La Corte di Appello ha, quindi, conclusivamente rilevato che l’effettuata valutazione controfattuale non consentiva di affermare in termini di certezza che, nel caso in cui fosse stato posto in essere il comportamento richiesto dall’ordinamento, l’evento non si sarebbe verificato ovvero che si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore.

Si impone, pertanto, il rigetto del ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

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