Cassazione, sez. II, 3 marzo 2011, n. 8450 Il decreto non è nullo se manca il termine per la richiesta alternativa del rito abbreviato?

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza in data 26 gennaio 2010, confermava la condanna pronunciata dal Tribunale di Prato il 2 febbraio 2009 nei confronti di C.M. e H.A. , dichiarati colpevoli, in concorso, dei reati di furto aggravato e di tentata estorsione, e il C. anche di porto ingiustificato di strumento atto ad offendere e di guida senza patente. La Corte di Appello, confermando nel merito il giudizio espresso in prima istanza, dichiarava anche di condividere la decisione del primo giudice di rigettare la eccezione di nullità del decreto di giudizio immediato per mancanza dei requisiti di cui all’art. 456, comma 1, c.p.p., in quanto tale norma non prevede che sia indicato il termine entro il quale possa formularsi la richiesta di rito alternativo, né che l’imputato sia avvisato che il termine è stabilito a pena di decadenza. Propongono ricorso per cassazione i difensori degli imputati.

Il difensore di H. deduce:

1) vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), in relazione agli artt. 178, lett. C) e 156, comma 2, c.p.p..

Il ricorrente ripropone la suddetta questione di nullità, ritenendo che, sulla base della sentenza n. 148 del 2004 della Corte Costituzionale, l’avvertimento prescritto dall’art. 456, comma 2, c.p.p. fosse insufficiente, poiché mancava la specificazione che la facoltà di optare per i riti alternativi era sottoposta a termine di decadenza.

2) vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), in relazione agli artt. 546, comma 1, lett. e), c.p.p. e 110 c.p., in quanto l’imputata era stata passivamente presente all’appuntamento fissato per il perfezionamento del delitto di estorsione, senza che fosse emersa alcuna sua concreta condotta concorsuale.

Il difensore di C. deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., eccependo la stessa questione di nullità formulata dall’altra ricorrente.

Motivi della decisione

Il motivo di ricorso con il quale H. deduce vizio di motivazione è manifestamente infondato, poiché la sentenza impugnata ha chiarito, con argomentazione corretta dal punto di vista logico e giuridico, che “non si è trattato certamente di mera connivenza della stessa con il C. , posto che la stessa, oltre ad essersi trovata a fianco al C. durante l’esecuzione del reato di tentata estorsione, nella fase terminale i esso, è risultato che era in possesso di parte della refurtiva del furto precedentemente commesso”, con la conseguenza che deve ritenersi, anche dal successivo sviluppo della vicenda, che gli imputati abbiano operato “congiuntamente”.

Il motivo di ricorso, comune ai due ricorrenti, con il quale si eccepisce la nullità dell’avvertimento prescritto dall’art. 456, comma 2, c.p.p., per la mancanza della specificazione che la facoltà di optare per i riti alternativi era sottoposta a termine di decadenza, è infondato.

La giurisprudenza di questa Suprema Corte ha affermato che la mancanza, nel decreto che dispone il giudizio immediato, dell’avviso prescritto dall’art. 456, comma 2, c.p.p., che l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato ovvero l’applicazione della pena a norma dell’art. 444 c.p.p., come pure l’eventuale erronea indicazione del termine entro il quale la richiesta può essere avanzata, danno luogo ad una nullità a regime intermedio, in quanto non attinente alla omessa citazione dell’imputato o all’assenza del difensore (artt. 178 comma 1, lett. c), 179 comma 1, e 180 c.p.p.) (Sez. 4, n. 3649 del 4/11/2003, Seferovic, Rv. 229647; Sez. 4, n. 36745 del 06/05/2004, Pagano, Rv. 229681; Sez. 6, n. 24571 del 01/03/2005, Romano, Rv. 231980; Sez. 4, n. 41830 del 29/09/2009, Bergamin, Rv. 245461). Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza interpretativa n. 148 del 2004, citata dal ricorrente a sostegno della tesi difensiva, la quale afferma che l’errore nella indicazione del termine per la richiesta di riti alternativi (nella specie, sette anziché quindici giorni) comporti la nullità del decreto di giudizio immediato, sottolineando che l’effettivo esercizio della facoltà di chiedere i riti alternativi costituisce una delle più incisive forme di "intervento" dell’imputato, con la conseguenza che ogni illegittima menomazione di tale facoltà, risolvendosi nella violazione del diritto sancito dall’art. 24 secondo comma Cost., integra la nullità di ordine generale di cui all’art. 178 comma l, lett. c), c.p.p.. È bensì vero che tale sentenza parla di "esatto" avviso da dare all’imputato ed afferma che “l’omissione o l’insufficienza dell’avviso circa la facoltà di chiedere i riti alternativi determina una nullità di ordine generale”, ma il caso di specie al quale la Corte Costituzionale fa riferimento e che era stato sottoposto al suo giudizio era quello della erronea indicazione del termine di sette giorni, anziché di quindici giorni, entro cui l’imputato, a norma del combinato disposto degli artt. 456, comma 2, e 458, comma 1, c.p.p. può chiedere il giudizio abbreviato. L’"insufficienza" di cui parla la Corte stessa è dunque quella di una “fuorviante" formulazione del prescritto avviso, che anche la giurisprudenza di questa Suprema Corte sanziona con la nullità, come risulta dalle citate sentenze. È evidente, infatti, che l’ipotesi in cui l’indicazione del termine entro cui formulare la richiesta di accedere ai riti alternativi abbia luogo, ma in maniera erronea e fuorviante, è tale da compromettere l’esercizio delle facoltà concesse all’imputato, che non viene posto in condizioni di fruire dell’intero tempus deliberandi che la norma ha inteso concedergli.

Il caso in esame è, invece, quello di una omessa indicazione del termine di decadenza entro il quale l’imputato può esercitare le sue facoltà. Tale omissione non può ritenersi sanzionata da nullità, per due considerazioni. La prima di ordine letterale, in quanto l’avviso all’imputato delle facoltà che egli può esercitare è previsto dal comma 2 dell’art. 456 c.p.p., mentre il termine entro il quale tale facoltà possono essere esercitate è previsto dall’art. 458, comma 1, c.p.p., ciò significa che certamente la legge ha ritenuto necessario richiamare l’attenzione dell’imputato su talune facoltà a lui concesse, potenziandone l’"intervento" inteso come partecipazione attiva e cosciente alla vicenda processuale e come effettivo esercizio del diritto di difesa, ma ciò non significa anche che di detto avviso debbano far parte tutte le specifiche modalità con le quali le suddette facoltà possono essere esercitate, previste in apposita e separata normativa.

La seconda considerazione di ordine sistematico, integra e rafforza la precedente. La Corte Costituzionale con sentenza n. 120 del 2002 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 458, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che il termine entro cui l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato decorre dalla notificazione del decreto di giudizio immediato, anziché dall’ultima notificazione, all’imputato o al difensore, rispettivamente del decreto ovvero dell’avviso della data fissata per il giudizio immediato. La stessa Corte chiarisce che il diritto di difesa, inteso come effettiva possibilità di ricorrere all’assistenza tecnica del difensore, risulta violato da una disciplina – quale quella censurata – congegnata in maniera tale che il termine stabilito a pena di decadenza per presentare richiesta di giudizio abbreviato può scadere senza che il difensore abbia potuto illustrare al proprio assistito le opzioni difensive rispettivamente collegate al giudizio abbreviato e alla celebrazione del dibattimento. Dalla suddetta sentenza dichiarativa di incostituzionalità della norma dell’art. 458, comma 1, c.p.p., si deduce, quindi, che il difensore è messo in condizioni di illustrare all’imputato tutte le modalità e le implicazioni delle facoltà a lui concesse, e nessun pregiudizio sanzionabile con nullità può derivare dalla semplice mancata indicazione nell’avviso di specifici adempimenti processuali.

Tale scelta interpretativa non contrasta con le esigenze di un giusto processo e con il disposto dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, poiché, la stessa Corte EDU ha avuto modo di precisare che “non si può imporre allo Stato l’obbligo di menzionare dettagliatamente, in tutti gli atti processuali, i diritti e le facoltà dell’imputato. Invece, è il difensore di un imputato a dover informare il suo cliente sul seguito del procedimento nei suoi confronti e sulle formalità da compiere per far valere i suoi diritti” (CEDU 18/10/2006, n. 18114/02, Hermi c. Italia).

Deve, pertanto, affermarsi il seguente principio di diritto: “non costituisce causa di nullità l’omessa indicazione nell’avviso di cui all’art. 456, comma 2, c.p.p. del termine entro il quale l’imputato deve esercitare la facoltà di chiedere il giudizio abbreviato”.

In applicazione di tale principio i ricorsi degli imputati devono essere rigettati, con la conseguenza della condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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