Cassazione, Sez. II, 26 luglio 2010, n. 17529 Edificio realizzato senza parcheggio, il condomino può chiedere l’inadempimento del costruttore e anche il risarcimento del danno?

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

G. Omissis e A. Omissis, proprietari di un’unità immobiliare sita nel fabbricato di via Trebbia n. 2 in Montesilvano, esponevano che il costruttore dell’edificio N. Omissis aveva realizzato il fabbricato de quo a seguito di licenza edilizia del 26.08.1968 che vincolava, nel rispetto della normativa di cui alle leggi n. 1150/42 e 765/67, “metà del piano terra del lato posteriore a parcheggio aperto”; che, sin dalla costruzione, il predetto aveva chiuso l’area destinata a parcheggio adibendola a negozi, in violazione del vincolo pubblicistico di cui all’art. 18 della legge 765/67.

Ciò premesso, gli attori convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Pescara il Omissis, chiedendone la condanna al risarcimento del danno in forma specifica.

Costituitosi in giudizio, il convenuto chiedeva il rigetto della domanda rilevando che il parcheggio non era stato mai realizzato. Eccepiva, inoltre, la prescrizione dell’azione essendo trascorsi cinque anni dal momento in cui si sarebbe realizzato l’illecito (costruzione del fabbricato risalente al 1970) e dal momento dell’acquisto da parte degli attori.

Instauratosi il contraddittorio, con sentenza non definitiva n. 791 dell’11.06.2001, il Tribunale di Pescara accoglieva la domanda di risarcimento dei danni per equivalente e rimetteva le parti dinanzi all’istruttore per la determinazione del “quantum debeatur”.

Con sentenza dep. il 28 ottobre 2004 la Corte di appello di L’Aquila, in riforma della decisione impugnata dal convenuto, rigettava la domanda.

Per quel che interessa nella presente sede i Giudici di appello accoglievano l’eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto, osservando che l’esecuzione della costruzione in violazione delle norme di edilizia (nella specie dedotta dagli istanti con riferimento al mancato godimento del posto macchina stabilito ex lege) costituisce un illecito permanente che cessa soltanto con la riduzione in pristino ovvero quando l’Amministrazione, irrogando la sanzione pecuniaria, rinunci ad ordinarne la demolizione ovvero ancora con la usucapione del diritto a mantenerla. Nella specie, secondo i Giudici, a seguito della prova offerta con la produzione depositata in sede di gravame, era risultato il pagamento della somma versata al Comune dal Omissis a titolo di oblazione: questa aveva comportato il venir meno del carattere illecito dell’opera e quindi l’inizio della decorrenza della prescrizione, posto che, per effetto della sanatoria ex lege, doveva ritenersi intervenuta la sostanziale rinuncia dell’Amministrazione a perseguire l’illecito de quo. D’altra parte, doveva considerarsi ammissibile l’eccezione con cui l’appellante aveva dedotto solo in sede di gravame l’avvenuto pagamento dell’oblazione.

Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione G. Omissis e A. Omissis sulla base di cinque motivi illustrati da memoria. Resiste con controricorso l’intimato.

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 41 sexies legge n. 1150 del 1942, come integrato dall’art. 18 della legge n. 765 del 1967 nonché dell’art. 2947 cod. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.), deducono che la violazione da parte del Omissis delle disposizioni sopra richiamate costituiva un illecito permanente lesivo di un diritto reale, tenuto conto della natura del vincolo di destinazione delle aree a parcheggio a favore degli acquirenti che, oltre a perseguire interessi pubblicistici, opera anche nei rapporti privatistici: la natura reale del diritto leso rendeva inapplicabile l’art. 2947 cod. civ.

La Corte aveva compiuto un duplice errore: aveva applicato alla specie il principio formulato dalla sentenza n. 594 del 1990 che aveva esaminato un caso diverso, posto che in quella controversia era stata accertata la rinuncia dell’Amministrazione che aveva irrogato sanzioni pecuniarie ad eseguire un provvedimento di demolizione mentre nell’ipotesi de qua era stata considerata la legittimità dell’oblazione; inoltre, l’eventuale concessione del condono fa venir meno gli effetti penali e amministrativi dell’illecito ma non incide sul risarcimento del danno che, in quanto derivante da un illecito permanente è da ritenersi imprescrittibile.

La rimozione del vincolo a parcheggio può discendere soltanto dalla concessione in variante sanatoria.

Con il secondo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.), censurano la sentenza che aveva ritenuto ammissibile il deposito in sede di gravame della documentazione relativa alla pratica del condono edilizio.

Con il terzo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 31 35 della legge n. 47 del 1985 (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.), denunciano che la decisione impugnata aveva omesso di verificare l’illegittimità della domanda in sanatoria presentata dal Omissis.

Con il quarto motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 2947 cod. civ. e 38 della legge n. 47 del 1985 (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.), deducono che erroneamente i Giudici di appello avevano fatto decorrere il termine di prescrizione dal pagamento delle oblazioni e non dal rilascio della concessione in sanatoria.

Con il quinto motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ. nonché omessa e insufficiente motivazione (art. 360 n. 3 e n. 5), censurano la sentenza impugnata che aveva accolto un’eccezione – quella relativa alla decorrenza del termine prescrizionale dal momento in cui sarebbe venuta meno la cessazione della permanenza ovvero l’illiceità del condotta – che era stata per la prima volta formulata in sede di appello.

Il primo motivo va rigettato: peraltro, ai sensi dell’art. 384 u. co. cod. proc. civ., va corretta la motivazione della decisione impugnata, che peraltro deve essere confermata nel dispositivo che è conforme a diritto.

Occorre premettere che in materia di spazi destinati a parcheggiati disciplinati dall’art. 18 della legge n. 765 del 1967: a) ha natura reale il diritto di uso su tali aree, che dal lato passivo si risolve in una limitazione legale della proprietà prescrivibile per non uso ventennale; b) il vincolo di destinazione sorge direttamente in forza della norma imperativa di cui all’art. 18 della legge n. 765 del 1967 e, avendo natura di diritto reale, può essere esercitato nei confronti dei terzi che ne contestino l’esercizio o l’efficacia (Cass. 18691/2007; 5755/2004; S.U. 3363/1989); c) qualora il costruttore-venditore abbia riservato a sé o trasferito ad altri il predetto diritto, nei confronti del medesimo può essere esperita l’azione personale – in quanto fondata sull’atto di vendita dell’unità abitativa – da parte dell’acquirente al quale il costruttore ha alienato il bene al fine di vedere accertato il diritto, previa declaratoria di nullità ex art. 1419 cod. civ. della relativa clausola contrattuale, che è sostituita di diritto dalla disciplina legale dettata dalla norma imperativa; d) peraltro, qualora sin dalla costruzione dell’edificio, l’area da utilizzare a parcheggio abbia avuto diversa destinazione, il vincolo di destinazione non si costituisce, essendo lo stesso subordinato alla condizione che lo spazio destinato a parcheggio realmente esista, poiché altrimenti il contratto di trasferimento delle unità immobiliari non ha avuto ad oggetto alcuna porzione di esso, sicché in tali casi all’acquirente spetta nei confronti del costruttore solo la tutela risarcitoria non potendo farsi ricorso alla tutela ripristinatoria di un rapporto giuridico mai venuto ad esistenza (Cass. 3393/2009; 3961/2006; 6329/2003).

Nella specie l’originario costruttore aveva, sin dal momento della realizzazione del fabbricato, adibito a negozi l’area che, secondo la licenza edilizia, era destinata a parcheggio: l’inesistenza degli spazi adibiti a parcheggio comporta che non è mai sorto il diritto reale di uso invocato dagli attori. In tal caso, la condotta illecita che può essere invocata peraltro dagli acquirenti nei confronti del costruttore-venditore consiste nel non avere con il contratto di vendita il medesimo trasferito loro il diritto reale di uso in violazione dell’obbligo derivante dalla norma imperativa dettata in materia urbanistica dall’art. 18 della legge n. 765 del 1967: il danno risarcibile deve essere determinato in base alla lesione patrimoniale derivante dalla mancata possibilità di utilizzare lo spazio adibito a parcheggio. Del tutto impropriamente la sentenza ha fatto riferimento alla disciplina della prescrizione degli illeciti (permanenti) in materia di costruzioni realizzate illegalmente in violazione del diritto reale del vicino. Al riguardo la sentenza, dopo avere qualificato come aquiliana la responsabilità del convenuto per avere destinato ad uso diverso da quello imposto dalla licenza edilizia l’area in questione, ha ritenuto che il diritto al risarcimento del danno si era prescritto, avendo individuato nel pagamento dell’oblazione il momento di cessazione della permanenza dell’illecito e quindi di decorrenza del termine prescrizionale.

Se, per quel che si è detto sopra in merito alla natura personale dell’azione esperibile nei confronti del costruttore ed alla natura del diritto azionato, sono infondate le doglianze con cui i ricorrenti ne hanno dedotto l’imprescrittibilità, qui va soltanto osservato che – a prescindere da ogni considerazione in ordine alla legittimazione ad agire nei confronti del convenuto degli attori (i quali, secondo quanto da loro esposto nel ricorso, non sono gli immediati acquirenti dal costruttore), ormai preclusa, tenuto conto che la sentenza ha ritenuto la responsabilità aquiliana del medesimo convenuto con statuizione che non è stata oggetto di impugnazione da parte del resistente (e, perciò, è ormai coperta da giudicato) – la decisione gravata è comunque erronea per l’assorbente considerazione che il termine di prescrizione di cui dell’art. 2947 cod. civ. – norma evidentemente applicabile in materia di responsabilità extracontrattuale – doveva decorrere necessariamente quanto meno dalla stipula del contratto con il quale gli attori avevano acquistato l’unità immobiliare. Tenuto conto che i medesimi avevano acquistato (da coloro ai quali era stata venduta dal Omissis) l’unità immobiliare nel 1988, la prescrizione era ampiamente decorsa al momento della proposizione della domanda (1 dicembre 1997): pertanto, il dispositivo della decisione impugnata va confermato nella parte in cui ha ritenuto prescritto il diritto azionato rigettando la domanda, seppure il maturarsi della prescrizione si basa sulle diverse ragioni sopra indicate.

Del tutto ininfluenti al fine del decidere sono le doglianze formulate con gli altri motivi, con cui si censura il momento di decorrenza della prescrizione accertato in sentenza con statuizione che, per quel che si è detto, si è rivelata del tutto erronea.

Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico dei ricorrenti, risultati soccombenti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore del resistente delle spese della presente fase che liquida in euro 1.600,00 di cui euro 200,00 per esborsi ed euro 1.400,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

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