Cassazione, Sez. III, 27 aprile 2010, n. 10072 Ipoteca sull’immobile, danno futuro risarcibile per l’acquirente non informato al momento del rogito

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Fatto

1. – Nel luglio del 1998 M.M., richiesto il 23.4.1998 del versamento della frazione di mutuo insoluto (circa L. 180.000.000) dal creditore ipotecario (BNL) della intanto fallita società (STAI s.r.l.) venditrice di una villetta che aveva acquistato il omissis proprio al prezzo di L. 180.000.000, convenne in giudizio il legale rappresentante della società venditrice C. G., il quale aveva partecipato all’atto di compravendita e garantito l’assenza di iscrizioni ipotecarie, ed il notaio O. E., che aveva predisposto la scrittura privata di compravendita ed autenticato le sottoscrizioni delle parti, domandandone la condanna solidale al risarcimento dei danni, rapportati al valore del credito della BNL, maggiorato degli accessori.

Resistette solo il notaio O., che eccepì la prescrizione del credito e negò di avere predisposto l’atto di trasferimento, che affermò essere stato redatto dalle stesse parti.

Con sentenza n. 131/2001 l’adito tribunale di Ragusa accolse la domanda nei confronti del C., che condannò a pagare al M. “tutte le somme che allo stesso saranno richieste dalla Banca Nazionale del Lavoro o saranno assegnate al detto istituto di credito, anche per interessi, spese vive e processuali esecutive, in sede di esecuzione forzata relative all’immobile” intanto pignorato.

La corte rigettò invece nei confronti dell’ O. ritenendo che sul notaio incombesse bensì il dovere morale di avvertire l’acquirente del pericolo che sul bene oggetto di compravendita potesse gravare l’ipoteca dipendente dagli atti di mutuo e di conseguente frazionamento da lui stesso redatti, ma che di un tale avvertimento il professionista non aveva alcun obbligo giuridicamente sanzionabile, in relazione alla natura ed ai limiti dell’incarico ricevuto; incarico che, in difetto di prova dell’affidamento della redazione dell’atto o di attività di consulenza, era da considerarsi ristretto solo all’autenticazione delle sottoscrizioni.

2. – L’appello del M. è stato respinto dalla corte d’appello di Catania con sentenza n. 34 del 2005 sul rilievo che, benché dovesse riconoscersi la negligenza del notaio, ed il mandato decorso del termine di prescrizione nondimeno la domanda andava respinta per non avere il M. dato la prova dell’effettivo e concreto pregiudizio economico subito.

3. – Avverso la sentenza ricorre per Cassazione il M., affidandosi a cinque motivi cui resiste con controricorso l’ O., che propone anche ricorso incidentale condizionato, fondato su tre motivi.

Diritto

1. – I ricorsi vanno riuniti in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

A) Il ricorso principale dell’acquirente M..

2. – Il ricorrente principale M. censura la sentenza, deducendo:

a) col primo motivo, falsa applicazione dell’art. 2858 c.c. per avere la corte d’appello escluso che fosse provata l’attualità del danno benché essa sia certa per l’acquirente di un immobile che risulti ipotecato, giacché per evitare l’espropriazione egli non ha altra alternativa che pagare i creditori ipotecari o rilasciare il bene, e perché comunque subisce un pregiudizio nella possibilità di rivendita, sicché il danno è futuro ma certo;

b) col secondo, falsa applicazione dell’art. 1483 c.c. perché il pericolo di evizione sarebbe anch’esso certo ed alla posizione del venditore sarebbe assimilabile quella del notaio per non aver verificato l’esistenza di iscrizioni pregiudizievoli;

c) col terzo, falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. e vizio della motivazione, perché una volta accertata la colpa del notaio, la sua mancata condanna era frutto di confusione tra danno certo, eventuale e futuro;

d) col quarto, errata valutazione delle risultanze istruttorie, perché la negligenza del notaio era stata accertata e dunque egli avrebbe dovuto essere condannato a rifondere al giovane acquirente (all’epoca ventenne) le somme che rischiava di dover pagare;

e) col quinto, la violazione del principio di soccombenza in ordine alla disposta compensazione delle spese processuali.

2.1. – È opportuno sgombrare subito il campo dal secondo motivo di ricorso, che è manifestamente infondato poiché al risarcimento del danno da evizione è tenuto soltanto il venditore e poiché nella specie l’evizione non si era verificata; e dal quarto, che è inammissibile perché l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie non rientra tra i vizi per i quali è ammesso il ricorso per cassazione e poiché la conseguenza che il ricorrente pretende di trame è intrinsecamente priva di consequenzialità logica, non essendo la colpa sufficiente a giustificare una condanna, in affermato (dalla corte d’appello) difetto di danno.

2.2. – Vanno invece esaminati congiuntamente, per la loro intima connessione, il primo ed il terzo motivo.

Deve premettersi che infondatamente il ricorrente sostiene in memoria che sulla questione relativa all’esistenza del danno si sarebbe formato il giudicato interno a seguito della condanna al risarcimento, da parte del primo giudice, del legale rappresentante del venditore. E tanto perché – secondo la prospettazione del ricorrente – unica era la domanda proposta e unica la situazione di fatto comune sia al C. che al notaio O., che non aveva d’altronde proposto appello.

Va in contrario rilevato che l’unicità dell’atto di citazione non vale a qualificare come unica la domanda formulata dall’attore nei confronti di soggetti diversi e che assolutamente diversi erano i titoli della invocata responsabilità solidale dei due convenuti, essendo quella del C. fondata sul fatto che egli aveva taciuto al compratore la presenza dell’iscrizione ipotecaria di cui aveva garantito l’assenza ed essendo quella del notaio correlata alla sua colpa professionale per non aver svolto gli accertamenti del caso. I precedenti invocati dal ricorrente (Cass., nn. 13916/06, 19317/05, 4352/04) sono in proposito inconferenti, in quanto tutti relativi a casi di giudizi fra le stesse parti e concernenti lo stesso rapporto giuridico, mentre nella specie sono diversi sia le parti che i rapporti giuridici.

I due motivi sono peraltro fondati, nei sensi di cui appresso.

La soluzione data dalla corte d’appello (sulla scia di Cass., n. 6123 del 2000 che aveva fondato la decisione sulla distinzione tra pericolo di danno e pericolo che determina però un danno attuale, affermando che solo quest’ultimo gode della tutela risarcitoria) comporterebbe la conseguenza che l’acquirente di un bene del quale il venditore abbia inveridicamente garantito la libertà da ipoteche e che era invece oggetto di un’iscrizione ipotecaria a garanzia del credito di un terzo che il pagamento abbia richiesto ed abbia inoltre pignorato il bene, in tanto potrebbe rivalersi nei confronti del notaio (professionalmente responsabile) per la somma corrispondente a quella per la quale l’ipoteca risulti iscritta in quanto abbia già pagato il creditore, o gli abbia rilasciato il bene, o lo abbia liberato dall’ipoteca, o addirittura abbia subito l’espropriazione.

Non pare che la conclusione sia conforme a diritto là dove s’è escluso che il pericolo di conseguenze economiche pregiudizievoli (perdita del bene a seguito di espropriazione, nella specie puntualmente preannunciata dal creditore, che aveva anche effettuato il pignoramento) valga ad integrare un danno futuro immediatamente risarcibile anche se esso appaia così probabile da risolversi in una sostanziale certezza.

Non sembra inutile il preliminare rilievo che all’ordinamento – se pure in altro campo e ad effetti cautelari – non è ignota la possibilità che chi sia tenuto a pagare un debito altrui (o a sopportare le conseguenze dell’altrui inadempimento) possa assumere iniziative volte ad assicurargli la soddisfazione delle proprie ragioni nei confronti del debitore anche prima che l’effettivo pregiudizio si verifichi. Si pensi al caso di cui all’art. 1953 c.c., che le contempla a favore del fideiussore nei confronti del debitore principale quando, tra l’altro, il primo sia convenuto in giudizio per il pagamento, o il debitore sia divenuto insolvente, o il debito sia divenuto esigibile per la scadenza del termine. Quando, cioè, sia rilevantemente probabile che venga effettivamente diminuito il patrimonio di colui che, de iure, può riversare su altri il pregiudizio.

In ambito risarcitorio, il danno futuro rispetto al momento della decisione, sia esso emergente (quali le spese non ancora affrontate) o da lucro cessante, in realtà non può essere mai declinato in termini di assoluta certezza, che esclusivamente si attaglia al pregiudizio già completamente verificatosi al momento del giudizio.

Non altro che una valutazione prognostica giustifica infatti la condanna al risarcimento da lucro cessante futuro in tutti i casi nei quali sia, per esempio, diminuita la capacità lavorativa di un soggetto per gli esiti permanenti di lesioni derivategli da fatto imputabile ad un terzo. Anche qui il danno è certo solo nel senso di rilevantemente probabile, giacché il soggetto inciso potrebbe trovare alternative possibilità di guadagno tramite attività sulle quali le lesioni non esplichino influenza alcuna, ovvero potrebbe cessare di vivere prima che (dopo la formazione del giudicato) effettivamente si concretizzi il pregiudizio patrimoniale correlato al decorso del tempo.

Com’è stato efficacemente osservato in dottrina, “la certezza che deve sussistere per rendere risarcibile il danno futuro non è la stessa di quella che caratterizza il danno presente”. E la giurisprudenza ha da tempo chiarito che se non basta la mera eventualità di un pregiudizio futuro per giustificare condanna al risarcimento, per dirlo immediatamente risarcibile è invece sufficiente la fondata attendibilità che esso si verifichi secondo la normalità e la regolarità dello sviluppo causale (ex multis, Cass., nn. 1637/2000, 1336/1999, 495/1987, 2302/1965).

Il rilevantemente probabile è stato d’altronde, quantomeno in ambito civile, considerato equiparabile alla certezza anche in materia di giudizio sul nesso eziologico tra fattore causale ed evento. E il giudizio di regolarità dello sviluppo causale è sempre sotteso ad ogni apprezzamento tra evento e conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate.

Non v’è allora bisogno di sostenere – con una fictio che non vale a risolvere i casi estremi e che non si connota per rigore metodologico – che nel caso che si sta esaminando il danno sarebbe attuale in relazione alla diminuzione del valore di mercato del bene nella misura corrispondente all’entità del credito garantito dall’ipoteca (del quale era stato domandato il pagamento), sicché la consistenza del patrimonio dell’acquirente risulterebbe immediatamente ridotta.

Dovendo invece affermarsi che la rilevante probabilità di conseguenze pregiudizievoli è configurabile come danno futuro immediatamente risarcibile quante volte l’effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente sintomatici di quella probabilità, secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto (nella specie: richiesta di pagamento da parte del creditore ipotecario del venditore fallito ed eseguito pignoramento del bene acquistato dal terzo).

La possibilità che, per qualunque remota ragione, le conseguenze pregiudizievoli possano poi non verificarsi e che conseguentemente insorga l’esigenza di un riequilibrio delle posizioni mediante i rimedi che l’ordinamento appresta, non varrebbe a giustificare una soluzione che si risolvesse in un diniego di tutela a favore del soggetto in buona fede, in difetto di quella tutela esposto addirittura al rischio della perdita del bene acquistato (si pensi al caso di incapacità economica di un ricorso al credito in funzione del pagamento del creditore ipotecario).

2.3. – Il quinto motivo, relativo alla disposta compensazione delle spese processuali, è assorbito dalla cassazione della sentenza.

B) Il ricorso incidentale condizionato del notaio O..

3. – Il ricorrente incidentale censura condizionatamente la sentenza:

a) col primo motivo, per insufficiente e contraddittoria motivazione e per violazione dell’art. 2735 c.c., non potendosi conferire valenza di confessione stragiudiziale al testo della fattura rilasciata dal notaio (“compenso professionale per atto di compravendita del omissis”) per evincerne la redazione da parte sua della scrittura privata intercorsa tra le parti, attesa la valenza meramente fiscale del documento e la contemporanea affermazione della corte d’appello che “il notaio O. ha autenticato ben 120 scritture private di vendita di immobili da parte della STAI s.r.l., delle quali 62 nel solo anno 1992”;

b) col secondo, per insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo nella parte in cui la corte d’appello aveva esclusivamente correlato alla circostanza che il notaio aveva rogato l’atto di cessione del mutuo ipotecario avente ad oggetto il terreno sul quale erano stati successivamente costruiti oltre cento appartamenti l’opinione che egli non avrebbe avuto bisogno di effettuare le visure ma “avrebbe potuto scorrere la sua memoria in pochi istanti, semplicemente consultando gli atti in suo possesso”;

c) col terzo, per violazione dell’art. 2947 c.c., comma 1, nella parte in cui la corte d’appello aveva ritenuto che il termine di prescrizione decorresse dal momento in cui il M. era venuto a conoscenza dell’iscrizione ipotecaria anziché da quello nel quale avrebbe potuto averne conoscenza consultando i pubblici registri.

3.1. – Tutte le censure sono manifestamente infondate.

La prima e la seconda – che sono intimamente connesse perché si risolvono nella censura dell’analitico apprezzamento dei fatti compiuto dal giudice del merito, che non ha in alcun modo conferito valore confessorio alla fattura, né esclusivamente collegato alla circostanza esposta nel secondo motivo la ravvisata responsabilità professionale del notaio; ma ha invece, con ampia e niente affatto contraddittoria motivazione, considerato univocamente significative nel senso privilegiato tutte le circostanze emerse dalla espletata istruttoria, da molte delle quali il ricorrente prescinde e che non è qui il caso di riprodurre pedissequamente.

La terza è infondata poiché l’affermato difetto di diligenza dell’acquirente (che tuttavia si era recato presso lo studio di un notaio per sottoscrivere in sua presenza un atto dal professionista materialmente predisposto) non incide sul corretto principio enunciato dalla corte d’appello, secondo il quale il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito “decorre dal momento in cui il danno si manifesta all’esterno divenendo oggettivamente percepibile e conoscibile (Cass., nn. 5913/2000 e 12666/03)” e sull’ulteriore affermazione che “alla data di proposizione della domanda (luglio 1998) il termine di prescrizione non era ancora decorso in quanto l’attore è venuto a conoscenza dell’esistenza dell’ipoteca in data 23.4.1998, a distanza di tre mesi dall’esercizio di detta azione”.

C) Conclusioni.

4. – Conclusivamente vanno accolti nei sensi di cui in motivazione il primo ed il terzo motivo del ricorso principale e, dichiarato assorbito il quinto rigettati gli altri motivi, nonché il ricorso incidentale.

Il giudice del rinvio, che si designa nella stessa corte d’appello in diversa composizione, deciderà nel rispetto dell’enunciato principio di diritto e liquiderà anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione riunisce i ricorsi, accoglie il primo ed il terzo motivo del ricorso principale, rigetta gli altri motivi ed il ricorso incidentale, cassa in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla corte d’appello di Catania in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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