Cassazione, Sez. III, 19 aprile 2010, n. 9192 Spese di lite, il risarcimento forfettario spetta all’avvocato automaticamente anche in assenza di esplicita richiesta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Osserva

È stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 15 maggio 2009 G. S. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 2 luglio 2008 dal Tribunale di Roma che, in riforma della sentenza del Giudice di Pace, aveva condannato il Comune di omissis a risarcirle i danni conseguenti ad una caduta cagionata da insidia esistente nel terreno ma l’aveva condannata a rimborsare alla Sompo Japan Insurance Company le spese del giudizio di primo grado.

Quest’ultima ha proposto ricorso incidentale per contestare la responsabilità del proprio assicurato.

Il Comune di omissis non ha svolto attività difensiva.

Preliminarmente i due ricorsi vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c.

2 – Ragioni di carattere logico inducono ad esaminare per primo il ricorso incidentale. Con esso la Sompo lamenta erronea contraddittoria e illogica valutazione delle risultanze istruttorie e nell’applicazione delle norme di diritto ex art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.

La formulazione dell’unico motivo di ricorso non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis c.p.c.

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dall’art. 6 del d.lgs. n. 40 del 2006, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico-giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

La censura della S., che si sviluppa per cinque pagine, risulta priva del momento di sintesi formulato secondo il criterio sopra enunciato e necessario per circoscrivere il fatto controverso e per specificare quali capi della sentenza e per quali ragioni presentino una motivazione rispettivamente erronea, contraddittoria e illogica. Viene formulato un quesito di diritto con riferimento all’art. 2043 c.c., ma con esso non viene postulata l’enunciazione di un principio di diritto, ma piuttosto chiesta una valutazione di merito e della congruità della motivazione addotta dal giudice d’appello.

3. – Con il primo motivo del ricorso principale la S. denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 91 c.p.c., 15 D.M. 585 del 1994, 14 D.m. n. 127 del 2004. Formula un quesito mediante il quale chiede alla Corte di stabilire se il giudice, anche in assenza di esplicita richiesta, nel liquidare le spese di lite debba disporre anche il rimborso delle spese generali.

Questa stessa sezione (Cass. Sez. III, n. 20321 del 2005) ha già stabilito che il rimborso (cosiddetto forfettario) delle spese generali, nella misura del dieci per cento degli importi liquidati a titolo di onorari e diritti procuratori, spetta all’avvocato a norma dell’art. 15 della tariffa professionale forense, approvata con D.M. 5 ottobre 1994, n. 585 (attualmente 12,5% in virtù del D.M. n. 127 del 2004), ed è quindi un credito che consegue e la cui misura è determinata per legge, sicché spetta automaticamente al professionista, anche in assenza di allegazione specifica e di domanda, dovendosi, quest’ultima, ritenere implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali.

Con il secondo motivo la ricorrente principale lamenta omessa, ovvero insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all’accoglimento dell’appello incidentale della Sompo.

La censura è priva del momento di sintesi formulato secondo il criterio sopra enunciato ed è, quindi, inammissibile.

Con il terzo motivo la S. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91, comma 1 e 92 c.p.c. Formula un quesito assolutamente astratto in quanto privo degli indispensabili riferimenti al caso concreto e, in particolare, alla motivazione della sentenza impugnata.

4. – La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

La ricorrente ha presentato memoria ed ha chiesto d’essere ascoltata in camera di consiglio;

Le argomentazioni addotte dalla ricorrente con la memoria non sono in armonia con l’insegnamento giurisprudenziale e non inducono a statuizione diversa.

5. – Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che il ricorso incidentale deve perciò essere dichiarato inammissibile, mentre il ricorso principale va accolto limitatamente al primo motivo; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte può decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. condannando il Comune di omissis corrispondere alla S. le spese generali nella misura del 12,50% sulle spese liquidate dal Tribunale per i due giudizi di merito; spese compensate tra i ricorrenti principale e incidentale; le spese seguono la soccombenza per il Comune di omissis;

visti gli artt. 380-bis, 384 e 385 cod. proc. civ.,

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi. Dichiara il ricorso incidentale inammissibile. Accoglie il ricorso principale limitatamente al primo motivo, lo rigetta nel resto e, decidendo nel merito, condanna il Comune di omissis a corrispondere alla S. le spese generali nella misura del 12,50% sulle spese liquidate dal Tribunale per i due giudizi di merito e al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 1.200,00, di cui euro 1.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge. Spese del giudizio di cassazione compensate tra ricorrente principale e ricorrente incidentale.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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