Cassazione, Sez. III 17 maggio 2010, n. 11967 Locazione commerciale, risarcibile il deterioramento dell’immobile anche se poi venduto senza riparazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

XXX, proprietaria di un immobile ad uso magazzino-deposito, già concesso in locazione alla Camiontrans s.r.l. e quindi dalla stessa rilasciato, conveniva quest’ultima dinanzi al Tribunale di Padova lamentando il danneggiamento del bene locato ed affermando che a decorrere dall’8 gennaio 1998 il medesimo immobile risultava utilizzato dalla società Gruppo Camiontrans Line s.r.l., di cui era amministratore unico ZZZ, figlia del liquidatore della prima società.

La XXX chiedeva quindi la condanna solidale al risarcimento dei danni, a titolo di responsabilità extracontrattuale, della Camiontrans s.r.l. in persona di ZZZ, nonché del Gruppo Camiontrans Line s.r.l.

I convenuti si costituivano con unica memoria, opponendosi alla domanda ed osservavano che l’immobile era stato riconsegnato nelle medesime condizioni in cui si trovava all’inizio del rapporto di locazione.

Il Tribunale accoglieva la domanda della ricorrente e condannava i convenuti, in solido, a pagare alla XXX l’equivalente in euro di L. 70.000.000 per i danni arrecati all’immobile, oltre accessori e spese di lite.

Proponevano appello la Camiontrans s.r.l., ZZZ e la Gruppo Camiontrans Line s.r.l.

XXX si costituiva chiedendo il totale rigetto dell’appello e svolgeva apposita impugnazione incidentale in ordine alla liquidazione del danno ritenuta insufficiente.

La Corte d’Appello di Venezia, in totale riforma dell’impugnata sentenza, n. 606/2002 del 14.3-18.7.2002 del Tribunale di Padova, accoglieva l’appello principale e rigettava quello incidentale respingendo ogni domanda avanzata da Loreta XXX.

Quest’ultima proponeva ricorso per cassazione. Resistevano la Camiontrans s.r.l. in persona della liquidatrice ZZZ, e quest’ultima in proprio, nonché il Gruppo Camiontrans Line s.r.l.

Motivi della decisione

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia: «Violazione e falsa applicazione di norme di legge ex art. 360 I comma n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 1223 c.c. con riferimento all’art. 1590 c.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 I comma n. 5 c.p.c., per avere il giudice del merito erroneamente ritenuto la insussistenza di un danno patrimoniale in capo alla signora Loreta XXX».

Il motivo deve essere accolto.

L’impugnata sentenza ha rigettato la domanda ritenendo insussistente il pregiudizio patrimoniale in capo all’attuale ricorrente a seguito della mancata eliminazione dei danni arrecati all’immobile locato oltre il deterioramento risultante dall’uso del bene in conformità al contratto (art. 1590, primo comma, c.c.).

Secondo la Corte territoriale, la locatrice, dopo avere ottenuto il rilascio dell’immobile in esito alla risoluzione della locazione, non aveva sostenuto nessuna spesa per le eventuali opere di ripristino del bene dirette alla eliminazione dei deterioramenti non derivanti dall’uso normale (art. 1590).

Infatti – assume la impugnata sentenza – poco tempo dopo l’introduzione del presente giudizio la locatrice aveva alienato l’immobile ad un terzo proprietario di un fondo confinante con la clausola «visto e piaciuto», senza assumere nei confronti dell’acquirente alcun impegno specifico di ripristino dei locali o di piccola bonifica dei medesimi.

In particolare – specificano i giudici dell’appello – la locatrice non aveva dimostrato che dalla vendita dell’immobile ripristinato si sarebbe potuto ricavare un prezzo maggiore di quello effettivamente spuntato.

La Corte territoriale, inoltre, mostrava di non condividere neppure la conclusione del C.t.u., secondo cui dalla vendita dell’immobile l’alienante, se avesse intanto proceduto all’esecuzione delle opere di ripristino, avrebbe potuto ricavare un prezzo maggiorato esattamente di quanto in primo grado il tribunale aveva ad essa riconosciuto ai sensi dell’art. 1590 c.c., almeno per quanto riguardava la spesa occorrente per la bonifica delle aree inquinate.

In sostanza, il principio sotteso alla motivazione della Corte di merito è quello di ritenere che eventi posteriori a quello del fatto genetico del danno possano eliderne gli effetti pregiudizievoli del patrimonio per il soggetto danneggiato, che intanto si fossero verificati.

Detto principio non è corretto e non può, perciò, essere condiviso.

Questo giudice di legittimità (Cass., n. 9852/97), infatti, ha già chiarito che il diritto al risarcimento del danno patrimoniale viene in essere al momento in cui il fatto illecito del terzo incide la sfera giuridica altrui provocando, per il soggetto leso, la diminuzione del suo patrimonio, che deve essere reintegrato in modo da ricostruirne la consistenza che avrebbe avuto se il fatto lesivo non si fosse verificato, eliminando le conseguenze pregiudizievoli che sono state cagionate da quel comportamento, nel senso – art. 1223 c.c. – sia di annullare la perdita subita (danno emergente), sia di fare entrare il mancato guadagno (lucro cessante). Se quindi il diritto al risarcimento del danno entra nel patrimonio del soggetto danneggiato nel momento in cui il pregiudizio si è verificato, tanto che solo ad esso si deve fare riferimento per accertare l’entità del danno, è evidente che le vicende anteriori e posteriori non rilevano a quel fine.

Il giudice di merito, pertanto, deve liquidare il danno valutando le conseguenze pregiudizievoli per il patrimonio del soggetto danneggiato nel momento in cui l’inadempimento dell’obbligazione assunta le ha determinate, sicché diventa irrilevante fatto ad esso posteriore, quale, nel caso, la vendita dell’immobile nelle condizioni di deterioramento addebitabile al conduttore.

La sentenza impugnata, quindi, deve essere cassata in parte qua con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione, che deciderà, stabilendo anche sulle spese del processo di cassazione, in aderenza al seguente principio di diritto:

“In materia di risarcimento del danno patrimoniale derivante da responsabilità contrattuale l’accertamento delle conseguenze pregiudizievoli verificatesi, a titolo sia di danno emergente che di lucro cessante, va riferito al momento del fatto causativo del danno e, pertanto, sono irrilevanti le vicende anteriori o posteriori a tale momento”.

Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia «violazione e falsa applicazione delle norme di legge ex art. 360 I comma n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 2456 II comma c.c. ante riforma, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 I comma n. 5 c.p.c. per avere ritenuto insussistenti le condizioni necessarie per configurare una responsabilità personale della liquidatrice signora ZZZ».

Osserva parte ricorrente: che sul punto qualsiasi motivazione appare totalmente omessa; che l’art. 2456, secondo comma c.c. prevede un’azione dei creditori non soddisfatti nei confronti dei soci fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio di liquidazione e nei confronti dei liquidatori senza alcun limite, se il mancato pagamento è dipeso da loro colpa; che la ZZZ è responsabile personalmente ex art. 1590 c.c. per aver consentito il subingresso della Gruppo CamionTrans nell’immobile.

Il motivo è infondato.

Nella previsione normativa di cui all’art. 2456, comma secondo, cod. civ. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, applicabile, nella specie, ratione temporis) – in forza della quale “dopo la cancellazione della società i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi” – va ravvisata, in coerenza con il principio secondo cui la cancellazione della società dal registro delle imprese non ne determina l’estinzione se e fino a quando permangano debiti sociali, una modificazione del rapporto obbligatorio dal lato passivo, per la quale all’obbligazione della società si aggiunge, pro parte, quella dei singoli soci (oltre che dei liquidatori colpevoli): e ciò quale ulteriore garanzia per i creditori insoddisfatti, ai quali è data la facoltà di scelta fra l’agire contro la società, non ancora estinta, ovvero contro i soci. Come risulta, peraltro, dal chiaro tenore testuale della norma, la responsabilità dei soci per le obbligazioni non assolte è limitata alla parte da ciascuno di essi conseguita nella distribuzione dell’attivo: sicché il creditore, il quale intenda agire nei confronti del socio, è tenuto a dimostrare il presupposto della responsabilità di quest’ultimo, e cioè che, in concreto, in base al bilancio finale di liquidazione, vi sia stata la distribuzione dell’attivo risultante dal bilancio medesimo e che una quota di tale attivo sia stata riscossa dal convenuto (Cass., 10.10.2005, n. 19732). Nel caso di specie non è stato corrisposto nulla, non solo perché non vi era alcun credito certo, ma anche perché il bilancio presentava solo poste passive e non vi era nulla da distribuire.

Con il terzo motivo parte ricorrente denuncia «Violazione e falsa applicazione di norme di legge ex art. 360 I comma n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 92 II comma c.p.c. ante riforma, anche sotto l’aspetto della omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 I comma n. 5 c.p.c. per aver statuito la compensazione parziale delle spese di entrambi i gradi del giudizio».

Con il quarto motivo si denuncia infine: «Violazione e falsa applicazione di norme di legge ex art. 360 I comma n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 356 c.p.c., anche sotto il profilo della omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 I comma n. 5 c.p.c., per non avere assunto i mezzi di prova già richiesti in primo grado, nonché dedotti in appello, anche ex 437 II comma c.c.».

I motivi suddetti restano assorbiti dalla decisione di accoglimento della prima censura, poiché la statuizione sull’ammissione dei mezzi di prova e quella sulle spese dovranno essere effettuate anch’esse dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione, anche per le spese del processo di cassazione. Rigetta il secondo motivo del ricorso e ne dichiara assorbiti gli altri motivi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *