Cassazione, Sez. II, 16 marzo 2010, n. 10344 Le sentenze del giudice di pace che contengono statuizioni risarcitorie sono sempre appellabili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Con sentenza 11.11.05 l’Ufficio del g.d.p. di Vittoria condannava XXX alla pena di euro 800,00 di multa per i reati p. e p. ex artt. 633, 635 e 612 c.p. commessi in danno di YYY, poi costituitosi parte civile, nonché al risarcimento dei danni da costui subiti.

Il XXX proponeva appello contro detta pronuncia, chiedendo l’assoluzione dai reati ascrittigli per insussistenza dei medesimi, per esserne mancante o, quanto meno, insufficiente la prova.

Con sentenza 17.1.08 il Tribunale di Ragusa, sezione distaccata di Vittoria, confermava le statuizioni civili della decisione di prime cure, ma nello stesso provvedimento disponeva trasmettersi gli atti a questa S.C. per quanto concernente gli aspetti penalistici dell’impugnazione e ciò sul presupposto della ritenuta inappellabilità delle sentenze di condanna a pena pecuniaria del g.d.p. ove impugnate solo in ordine al giudizio di responsabilità, senza espressa contestazione del capo relativo alle statuizioni civili.

1 – Si premetta che questa S.C., investita della cognizione del processo dalla trasmissione degli atti disposta con il provvedimento emesso il 17.1.08 dal Tribunale di Ragusa, sezione distaccata di Vittoria, non può non rilevare in via preliminare l’abnorme scissione tra il giudizio sulla domanda di parte civile – che presuppone necessariamente un’affermazione di sussistenza del reato – e quello su tale ultimo aspetto, erroneamente rimesso al giudice di legittimità.

In altre parole, il provvedimento summenzionato deve ritenersi affetto da abnormità genetica così radicale da determinarne la giuridica inesistenza e, quindi, l’inidoneità a passare in giudicato (cfr. Cass. Sez. I n. 3305 del 13.1.05, dep. 1°.2.05, rv. 230747, PM in proc. Haddah; Cass. Sez. III n. 20377 del 24.2.04, dep. 30.4.04, rv. 229034, PM in proc. La Rocca; Cass. Sez. I n. 2209 del 17.3.99, dep. 21.4.99, rv. 213057, PM in proc. Nicola).

Tale abnormità implica l’annullamento senza rinvio non solo dell’ordine di trasmissione degli atti a questa S.C., ma anche della contestuale pronuncia – intimamente connessavi nell’erronea ottica del provvedimento de quo – di conferma delle statuizioni civili, emessa in assoluta carenza del relativo potere (e, quindi, insuscettibile di passare in giudicato), potere non esercitabile, giova ribadire, disgiuntamente dalla cognizione sull’esistenza del reato ascritto all’imputato.

Invero, sia che venga meno la pronuncia di penale responsabilità (ad esempio per causa di estinzione del reato sopravvenuta in appello o in cassazione, regolata dall’art. 578 c.p.p.) sia che la sentenza di proscioglimento risulti impugnata dalla parte civile ai soli effetti della responsabilità civile (art. 576 c.p.p.), il giudice penale non può esimersi dall’accertare se i fatti determinativi di danno integrano l’ipotesi criminosa contestata e, solo in ipotesi di risposta affermativa, può accogliere la domanda di parte civile emettendo sentenza di condanna al risarcimento (e/o alla restituzione) in suo favore.

In nessun caso il giudice penale può svolgere tale accertamento in sedi differenti: ed infatti, la separazione del processo civile da quello penale in cui il primo sia stato originariamente inserito non comporta mai la sopravvivenza della giurisdizione del giudice penale, ma – semmai – l’esatto contrario, come avviene nelle ipotesi di esclusione d’ufficio della parte civile o di revoca della relativa costituzione (v., rispettivamente, artt. 81 e 82 c.p.p.) o di annullamento della sentenza ai soli effetti civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d’appello (art. 622 c.p.p.).

2 – Ciò premesso, gli atti vanno trasmessi allo stesso Tribunale di Ragusa, sezione distaccata di Vittoria (in diversa composizione), affinché provveda al giudizio di appello.

Infatti, ai sensi dell’art. 2 del cit. d.lgs. n. 274/2000 nel procedimento davanti al giudice di pace, per tutto ciò che non è previsto da detto decreto si osservano, in quanto applicabili, le norme contenute nel c.p.p., fatte salve le esclusioni in esso elencate e fra le quali non rientra l’art. 574 co. 4° c.p.p.

Esso è applicabile anche nel giudizio davanti al giudice di pace, considerato che la sua estensione, ricavabile dal dato letterale dell’art. 2 d.lgs. n. 274/2000, non trova ostacolo nell’art. 37 co. 1°, seconda parte, stesso d.lgs.; né l’applicazione dell’art. 574 co. 3° svuota di significato l’art. 37 cit., in quanto restano inappellabili (e ricorribili solo per cassazione) tutte le condanne a sanzione pecuniaria, accompagnate da statuizioni civili, allorquando l’imputato intenda contestare soltanto la specie e/o l’entità della pena.

La soluzione qui accolta è in linea con giurisprudenza largamente maggioritaria di questa Suprema Corte, la quale statuisce che il dettato dell’art. 37 co. 1°, seconda parte, d.lgs. n. 274/2000 va coordinato con quello dell’art. 574 co. 4° c.p.p., in virtù del quale l’impugnazione dell’imputato contro la pronuncia di condanna penale o di assoluzione estende i suoi effetti alla pronuncia di condanna alle restituzioni, al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese processuali, se questa dipende dal capo o dal punto impugnato (v. Cass. Sez. II, ud. 12.5.09, Ognibene; Cass. Sez. II, ud. 21.1.2009, Sidoli; Cass. Sez. V n. 33545 del 21.9.2006, dep. 5.10.2006; Cass. Sez. V n. 12609 del 2.3.2006, dep. 10.4.2006; Cass. n. 5098/2006; Cass. n. 19664/2005; Cass. n. 45296/2005; Cass. n. 45277/2005; Cass. n. 45269/2005; Cass. n. 42207/2005; Cass. n. 19664/2005; Cass. n. 5128/2005; Cass. n. 1349/2005; Cass. n. 2271/2004; Cass. n. 1349/2004).

È pur vero (come sopra si è accennato) che talune pronunce di questa S.C. sono state di avviso contrario (cfr. Cass. Sez. V n. 19382 del 21.4.2005, dep. 20.5.2005; v. altresì, sia pure senza affrontare specificamente la questione del coordinamento del cit. art. 37 co. 1° d.lgs. n. 274/2000 con l’art. 574 co. 4° c.p.p., Cass. Sez. V n. 4886 del 16.12.2005, dep. 8.2.2006): in particolare, Cass. Sez. V n. 39465 del 4.10.2005, dep. 27.10.2005, afferma che l’art. 574 co. 4° c.p.p. serba integra la propria valenza, atteso che la pronuncia del giudice di legittimità, a seguito del ricorso proposto (se del caso convertito in ricorso per cassazione), esplicherà i suoi effetti anche in ordine alle restituzioni ed al risarcimento del danno, in diretta derivazione dalla statuizione di carattere penale.

Ma è proprio l’indubbia perdurante applicabilità dell’art. 574 co. 4° anche al ricorso per cassazione nei procedimenti per reati di competenza del g.d.p. ad indurre un’ingiustificata aporia di sistema se la norma si ritiene invece inapplicabile ove venga proposto l’appello.

Rafforza il giudizio di compatibilità fra la norma dell’art. 574 co. 4° c.p.p. e quella dell’art. 37 co. 1° cit. d.lgs. il rilievo che il sistema delineato dalla seconda è inteso proprio ad assicurare, nell’ambito del procedimento davanti al g.d.p., un doppio grado di merito solo in caso di statuizioni civili conseguenti ad un’affermazione di penale responsabilità sanzionata con pena pecuniaria, in deroga a quanto avviene nell’ordinario processo penale, nel quale (secondo Cass. Sez. III n. 27366 del 23.5.2001, dep. 6.7.2001) le sentenze applicative della sola pena dell’ammenda sono e restano inappellabili, ai sensi dell’art. 593 ult. co. c.p.p., pur ove contengano anche la condanna dell’imputato o del responsabile civile al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

In altre parole, la finalità perseguita dal legislatore del 2000 è quella di differenziare l’ambito di appellabilità delle sentenze del g.d.p. rispetto a quanto avviene nel rito ordinario (diversamente, gli sarebbe bastato mantenere sic et simpliciter il regime di inappellabilità di cui all’art. 593 c.p.p.), per certi versi restringendolo (rendendo inappellabili le condanne alla sola multa), per altro verso ampliandolo (rendendo appellabili le condanne alla sola ammenda accompagnate da conseguenti statuizioni civili), in tal modo individuando il criterio identificativo del tipo di impugnazione in caso di pena pecuniaria (multa od ammenda) nell’essere o non la condanna accompagnata da statuizioni civili: non a caso il procedimento penale innanzi al g.d.p. si caratterizza per l’inserimento di elementi misti che evocano più il rito civile che quello penale.

D’altro canto, ritenere che l’espressione che si legge nel co. 2° del cit. art. 37 (“…se impugna il capo relativo alla condanna, anche generica, al risarcimento del danno”) renda la sentenza appellabile solo se l’impugnazione è espressamente estesa anche ai capi civili produrrebbe la singolare conseguenza di prevedere tre gradi di giudizio se, ad esempio, l’imputato si duole della mera entità del risarcimento ed invece solo due se nega, a monte, la fattispecie determinativa di danno (id est il fatto reato) senza avere cura di aggiungere, a mo’ di mera clausola di salvaguardia, che le censure da lui svolte si estendono anche alla conseguente pronuncia adottata sul piano civilistico.

L’esito interpretativo invece qui condiviso e che conduce a ritenere appellabili tutte le sentenze del g.d.p. che, oltre a condannare ad una pena pecuniaria, contengano altresì statuizioni risarcitorie (ove, s’intende, l’impugnante non si limiti a contestare specie od entità della pena, ma censuri l’affermazione di penale responsabilità) è avvalorato anche dalla motivazione di Corte cost. n. 426/2008, che nel dichiarare non fondata la questione di legittimità dell’art. 37 co. 1° cit. d.lgs. in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost. dà atto che l’espressione “quelle che applicano la sola pena pecuniaria” che si legge nell’art. 17 co. 1° lett. n) della legge delega n. 468/99 si riferisce alle pronunce che rechino esclusivamente tale condanna, non accompagnata da statuizioni civili.

A ciò la Corte cost. perviene non solo in virtù del rilievo che la regola generale – riguardo alle sentenze del g.d.p. – è quella dell’appellabilità, di guisa che le relative eccezioni sono di stretta interpretazione, ma anche in ragione della ratio legis come emergente dai lavori preparatori della legge delega e dalla relazione ministeriale al d.lgs. n. 274/2000, in cui la logica della semplificazione del rito (anche sul versante delle impugnazioni) giustificata dal carattere delle competenze penali del g.d.p. (destinate ad esprimersi solo su reati espressivi di meri microconflitti interpersonali) e dalla minima afflittività delle sanzioni applicabili, cede il passo a fronte delle statuizioni civili, che possono avere ad oggetto anche somme largamente superiori all’ordinario limite di competenza per valore del g.d.p. ed assolvono ad una funzione per certi versi sostitutiva della pena.

In conclusione, nel caso di specie, poiché il XXX aveva contestato l’affermazione di penale responsabilità, il gravame deve intendersi automaticamente esteso ex art. 574 co. 4° c.p.p. anche al capo relativo alle statuizioni civili, per l’effetto non incontrando il divieto di appello nei termini sanciti dall’art. 37 co. 1°, seconda parte, d.lgs. n. 274/2000, come sopra interpretato.

Dunque, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, la summenzionata sentenza del g.d.p. era appellabile.

Né l’impugnazione proposta dal XXX può intendersi come ricorso per saltum ex art. 569 c.p.p., giacché essa denuncia vizi di merito della decisione di prime cure.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, annulla senza rinvio il provvedimento emesso il 17.1.2008 dal Tribunale di Ragusa, sezione distaccata di Vittoria, e dispone trasmettersi gli atti al suddetto Tribunale – in composizione diversa – per il giudizio di appello.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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