Cassazione, 27 gennaio 2010, n. 1704 Caduta sugli avanzi di frutta e verdura, il titolare del chiosco è responsabile?

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

1. – F. L. agì giudizialmente nei confronti di D. N. e del Comune di omissis domandandone la condanna solidale al risarcimento dei danni subiti a seguito di una caduta nella quale aveva riportato la frattura del femore sinistro. Affermò che, mentre stava camminando sul marciapiede di una strada di omissis, era scivolato su un foglio di plastica proveniente da una delle scatole di frutta del vicino chiosco della N. e che, cadendo, era finito su uno spezzone di tubo sporgente dal piano del marciapiede.

I convenuti resistettero ed il tribunale rigettò la domanda con sentenza del 29.11.2000 sui rilievi, per quanto in questa sede interessa, che il foglio di plastica (pur ammesso che fosse uno di quelli utilizzati dalla N. e comunque ben visibile) poteva essere stato fatto cadere da chiunque, e che la N. non aveva l’obbligo di controllare i comportamenti altrui per evitare condotte pericolose, né di intervenire nello spazio antistante il proprio esercizio commerciale.

2. – La corte d’appello di Firenze, decidendo sul gravame proposto dal L. nei soli confronti della N., ha confermato la decisione del tribunale con sentenza n. 48 del 17.1.2005.

3. – Ricorre per cassazione il L., affidandosi a due motivi cui resiste con controricorso la N..

Motivi della decisione

1. – Col primo motivo di ricorso è denunciata omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360, n. 5, c.p.c. (pagina 6, terza riga, del ricorso) per avere la corte omesso di pronunciarsi in ordine alla dedotta responsabilità della convenuta ex art. 2051 c.c., che pure era stata prospettata alternativamente alla responsabilità ex art. 2043 c.c.: in particolare se la N. fosse custode anche “del marciapiede su cui insiste il chiosco” (pagina 9, sestultima riga del ricorso).

1.1. – Premesso che il ricorso sarebbe inammissibile se interpretato nel senso di una censura di omessa pronuncia, giacché la violazione dell’art. 112 c.p.c. dà luogo ad un vizio in procedendo denunciabile ex art. 360, n. 4 (e non n. 5, c.p.c.), deve ritenersi che il ricorrente si sia doluto della omessa indagine sui presupposti di fatto suscettibili di dar luogo ad una responsabilità ex art. 2051 c.c..

La censura è infondata.

Il ricorrente non contesta in ricorso che l’ambito devolutivo fosse quello di cui la sentenza impugnata dà letterale conto, in corsivo, nelle prime 9 righe dei “motivi della decisione”: in particolare “se il gestore di un banco di vendita di frutta e verdura sia tenuto acché i rifiuti, gli avanzi di verdura, i fogli di plastica o altri involucri e quant’altro sia non vengano lasciati permanere sullo spazio circostante il banco stesso, ma vengano tempestivamente rimossi, dovendo essi essere considerati un’insidia per l’avventore ed anche per il mero passante”.

A tale quesito – dove il riferimento all’insidia è concettualmente incompatibile con un titolo di responsabilità ex art. 2051 c.c., quand’anche esso sia stato originariamente ed alternativamente prospettato – la corte d’appello ha dato risposta negativa con gli argomenti che si esamineranno nello scrutinio del secondo motivo.

2. – Col secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c..

Vi si sostiene che la corte d’appello sarebbe caduta in errore laddove nega che il titolare di un banco di frutta e di ogni esercizio aperto al pubblico abbia il dovere di custodia di ogni singolo bene dell’esercizio commerciale (pagina 11, ultime tre righe, del ricorso), in quanto il dovere di pulire il tratto di marciapiede immediatamente antistante il chiosco di frutta e di tenerlo mondo da pezzetti di verdura o altra sporcizia integra una condotta omissiva colposa ex art. 204 3 c.c. (pagina 13, prime cinque righe, del ricorso).

2.1. – La corte d’appello non ha negato quanto il ricorrente afferma abbia fatto, ma ha invece ritenuto che “non si vede a che titolo dovrebbe affermarsi l’obbligo della N. di impedire che terzi gettino sul marciapiedi (comunale), sia pure limitatamente allo spazio circostante il suo chiosco, fogli di carta, avanzi di verdura e frutta, e simili; o l’obbligo di pulire costantemente il marciapiedi per evitare che detti materiali possano eventualmente costituire un elemento d’intralcio o pericolo al passaggio pedonale”, concludendo che tale dovere non sia imposto dall’art. 2043 c.c..

Il ricorrente opina che così non sia, affermando apoditticamente il contrario, ma senza spiegare perché, a suo avviso, l’ambito applicativo dell’art. 2043 c.c. sia più esteso di quello individuato dalla corte di merito in relazione al caso di specie; e, soprattutto, senza farsi carico della effettiva ratio decidendi della corte d’appello, inequivocamente individuabile nel fatto che il marciapiede è un bene comunale e che il dovere di pulirlo di quanto altri possano avervi gettato non fa carico a chi eserciti nei pressi attività di vendita di frutta e verdura.

Il motivo non soddisfa dunque i requisiti di cui all’art. 366, n. 4, c.p.c., costantemente interpretato nel senso che la censura di violazione o falsa applicazione di norme di diritto non può prescindere dall’esposizione delle ragioni per le quali il giudice avrebbe compiuto l’errore di sussunzione che gli si ascrive e, dunque, dalla critica – in diritto – delle ragioni della decisione.

La doglianza è, pertanto, inammissibile.

3. – Il ricorso è respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 3.200, di cui 3.000 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori dovuti per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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