Cassazione, 5 gennaio 2010, n. 27 Ll possesso di assegni bancari non fa presumere l’esistenza del contratto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con citazione del 13 maggio 1998 XXX conveniva avanti al Tribunale di Bari OMISSIS assumendo di aver concesso in mutuo allo stesso la somma di lire 80.000.000 nel marzo del 1995 e di avere invano chiesto la restituzione; chiedeva quindi la condanna dello stesso alla restituzione della somma mutuata di lire 80.000.000 oltre interessi legali e maggior danno.

Nel costituirsi, il Omissis negava di aver ricevuto le somme chieste dall’attrice, spiegando che esse erano state elargite, con spirito di liberalità, da essa XXX, al suocero del convenuto, nipote dell’attrice. Negava l’attore, in ogni caso, di aver contratto un mutuo con la XXX.

Con sentenza 7 gennaio 2002, il Tribunale, ritenuta provata la dazione, condannava il convenuto alla restituzione in favore dell’attrice della somma di euro 41.316,55 oltre interessi legali dalla domanda, attribuendo alla stessa attrice le spese del giudizio.

Il Omissis proponeva appello, lamentando, in sintesi, come il primo giudice avesse omesso di rilevare che, giusta consolidata giurisprudenza del S.C., la presunta mutuante non aveva fornito prova né della dazione del danaro (non omettendosi di rilevare che tale dazione non fu testimoniata per diretta conoscenza del teste escusso, ma solo “de relato actoris” con valore probante nullo), né del titolo che desse diritto alla restituzione della somma.

La Corte d’Appello di Bari, con sentenza del 29 ottobre 2004, in accoglimento dell’appello, rigettava la domanda della XXX, che condannava alle spese dei due gradi di giudizio.

Propone ricorso per cassazione XXX con due motivi.

Resiste con controricorso Omissis, che ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, la XXX denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2734 c.c. in relazione all’art. 126 c.p.c. nonché l’omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in quanto la Corte d’Appello aveva omesso di qualificare l’avvenuto incasso della somma di lire 55 milioni da parte del Omissis, come parziale confessione e quindi avrebbe dovuto trarre le dovute conseguenze.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1813, 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. nonché l’omessa e insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia poiché la somma, di cui agli assegni incassati dal Franco, sarebbe stata impiegata per l’acquisto di un appartamento secondo precise intese intervenute tra le parti e quindi sarebbe spettato allo stesso Omissis dare la prova di aver restituito quanto ricevuto dalla XXX.

I due motivi vanno esaminati congiuntamente, in quanto tra loro connessi.

La sentenza impugnata ha correttamente applicato il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza, secondo il quale il legittimo possesso di assegni bancari da parte del prenditore fa sorgere una presunzione semplice di esistenza di un rapporto fondamentale che legittima la dazione di danaro, ma è onere della parte che ne chieda la restituzione dimostrare i fatti costitutivi di un altro tipo di rapporto – nella specie il contratto di mutuo – e che, in forza di questo, il prenditore sia tenuto a restituire le somme ricevute. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza della corte di merito che aveva rigettato la domanda di restituzione perché la produzione delle copie degli assegni, da cui risultava la dazione di danaro dall’attrice al convenuto, non era decisiva per dimostrare la sussistenza del contratto di mutuo: Cass. 14 febbraio 2007 n. 3258).

La parte attrice non ha assolto a tale onere, risultando agli atti soltanto la prova della dazione della somma alla parte convenuta, ma non l’assunzione da parte del convenuto, di un obbligo di restituzione in forza di un contratto di mutuo.

In considerazione della particolare natura del rapporto e del vincolo di affinità che lega le parti, appare conforme a giustizia disporre la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Civile, rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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