Cassazione, 4 dicembre 2009, n. 46830 La confisca per equivalente del prezzo in caso di peculato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Ritenuto in fatto

1. G. E. impugna l’ordinanza in epigrafe indicata con la quale è stato confermato il provvedimento di sequestro preventivo strumentale alla “confisca per equivalente” dei saldi attivi sui conti correnti bancari dei titoli per la gestione patrimoniale mobiliare e libretti di deposito al risparmio intestati, nonché degli immobili e dei veicoli a lui intestati fino alla concorrenza di euro 533.624,80 costituente il profitto e il prezzo del reato di peculato.

A carico di G. E. è formulata l’accusa di concorso in peculato per essersi appropriato – quale presidente del servizio di operatori emergenza radio e in concorso con il vice presidente Enriquez – di danaro dell’O.E.R., ricevuto dalla regione Puglia per l’espletamento del pubblico servizio, della somma euro 533.624,80 del quale aveva il possesso in ragione della sua carica.

Il Giudice del riesame – rilevata la ritualità del provvedimento di sequestro adottato dopo un primo annullamento per la diversa imputazione di truffa aggravata ab origine contesta dal pubblico ministero, ha ritenuto che il presidente dell’O.E.R., per l’attività in concreto svolta dall’ente morale, assume la qualità di incaricato di pubblico servizio.

Premessi i limiti del sindacato attribuito al giudice del riesame, il tribunale ha descritto la giurisprudenza di legittimità che ha affrontato le molteplici questioni interpretative dell’art. 322 bis c.p.p. è giunto a ritenere che profitto va inteso nel senso di provento del reato id est quale vantaggio o immediata utilità economica immediatamente derivante dal compimento del reato. Pertanto, la “confisca per equivalente”, nei casi in cui il prezzo o il profitto del reato non siano facilmente aggredibili per essere ormai distratti o occultati, può essere adottata sui beni di cui comunque il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente.

Si è ritenuto, dunque, legittimo l’intervento disposto per equivalente dal giudice cautelare.

2. Il ricorrente deduce:

1. la violazione dell’art. 649 c.p.p. e dell’art. 111 della Costituzione, nonché del principio generale del ne bis in idem e della preclusione processuale per non avere ritenuto duplicativo il secondo provvedimento di sequestro rispetto al primo, non ritenendo la nuova formulazione della imputazione fondata sugli stessi fatti per i quali si era già pronunciato il tribunale del riesame con il provvedimento 5 febbraio 2009, negando la intervenuta preclusione. Nonché per carenza di motivazione ed evidente illogicità per falsa applicazione della disposizione in tema di preclusione.

2. la violazione degli art. 314, 358 c.p.p. e vizio di motivazione, poiché è stato omesso ogni esame sulla congruità degli elementi rappresentati a giustificazione del sequestro.

3. la violazione dell’art. 321 c.p.p. con riferimento all’art. 322 ter c.p.p. per insussistenza dei presupposti per disporre la confisca.

Per il ricorrente, questa Corte ha affermato che il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, disposto nei confronti della persona sottoposta a indagini per uno dei reati previsti dall’art. 322 ter, comma 1, c.p.p., può essere rapportato, in base al testuale tenore della norma, non al “profitto” ma soltanto al prezzo del reato inteso quest’ultimo in senso tecnico e non è estensibile a qualsiasi utilità connessa.

3. Tale è la sintesi ex art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p. dei termini delle questioni poste.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato.

Le Sezioni unite si sono di recente espresse sul sequestro funzionale alla successiva confisca “per equivalente” di cui all’art. 322 ter comma primo c.p. nel senso che in tema di peculato, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca “per equivalente” disciplinata dall’art. 322 ter, comma 1 c.p., può essere disposto, in base al testuale tenore della norma, soltanto per il prezzo e non anche per il profitto del reato (Sez. un. 25 giugno 2009, dep. 6 ottobre 2009, n. 38691).

In presenza di elementi tali da far considerare le “cose” sequestrate non altro che il “reimpiego” dei proventi del delitto di peculato, il provvedimento deve avere un titolo giuridico diverso. Come noto, le Sezioni unite si sono espresse nel senso che il concetto di profitto o provento di reato legittimante la confisca – quindi il sequestro ex art. 321, comma 2, c.p.p. – deve intendersi come comprensivo non soltanto dei beni che l’autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto e immediato, ma altresì di ogni altra utilità che lo stesso realizza come conseguenza indiretta o mediata della propria attività criminosa (Sez. un. 25 ottobre 2007, dep. 6 marzo 2008, n. 10280).

L’attuale sequestro, come risulta dal provvedimento impugnato, è stato disposto in misura “equivalente al profitto” ex art. 322, ter c.p. e ciò non può che comportare l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.

P.Q.M.

annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro 19 febbraio 2009 del G.I.P. del Tribunale di Bari e dispone restituirsi i beni sequestrati all’avente diritto. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 c.p.p.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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