Cassazione, 7 ottobre 2009, n. 21359 Il processo penale supera il termine ragionevole di durata nella misura di cinque anni? l’indennizzo per danno non patrimoniale è di 5.000,00 euro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

I. Con decreto in data 8 novembre 2005 la Corte d’appello dell’Aquila condannava il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di Abramo Barillari della somma di euro 5.000,00, a titolo di indennizzo del danno non patrimoniale, in conseguenza del superamento del termine di ragionevole durata di un processo penale per diffamazione nei suoi confronti, promosso, dietro sua querela, dalla Procura della Repubblica di Ancona il 6 maggio 1996 e definito in appello con sentenza del 2 dicembre 2004, nonché al pagamento delle spese processuali, liquidate globalmente in euro 800,00.

A fondamento della decisione la Corte di merito – premesso che il differimento della trattazione della causa dal 20 novembre 1997 al 22 novembre 2000 e dal 12 maggio 2001 al 12 maggio 2004, per complessivi cinque anni, aveva trovato causa nella carenza delle strutture giudiziarie, in conseguenza della mancata tempestiva sostituzione dei magistrati trasferiti, mentre il lungo intervallo di tempo intercorso tra le varie udienze era certamente riferibile alla inadeguatezza degli organici del personale giudicante – osservava che il processo penale aveva superato il termine ragionevole di durata nella misura di cinque anni e che per tale ritardo spettava al ricorrente l’indennizzo per danno non patrimoniale di euro 5.000,00.

II. Per la cassazione di tale decreto il ricorrente propone cinque motivi di ricorso, illustrati da memoria. Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese.

Motivi della decisione

1. Il ricorrente censura il decreto impugnato, deducendo che:

1.1. la Corte di appello ha erroneamente conteggiato in cinque anni il ritardo causato dai differimenti delle udienze, che è ammontato invece, in base agli stessi riferimenti temporali indicati dalla Corte di merito, a sei anni (primo motivo);

1.2. nella determinazione del danno non patrimoniale, liquidato in misura insufficiente, la Corte di appello non si è uniformata, con vizio di motivazione, ai parametri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo per l’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del termine ragionevole di durata del processo penale e non ha tenuto conto, nello specifico, del ruolo istituzionale da lui svolto quale vice prefetto vicario presso la Prefettura di Ancona (secondo e terzo motivo);

1.3. nel liquidare le spese processuali, la Corte territoriale, oltre a violare i minimi tariffari e a discostarsi dalla nota spese depositata, si è limitata ad una complessiva determinazione di diritti, onorari e spese, in violazione del principio giurisprudenziale, secondo cui detta liquidazione non può essere effettuata in modo globale, dovendosi mettere la parte in condizione di controllare se il giudice abbia rispettato i limiti delle rispettive tabelle e di denunciare le specifiche violazioni della tariffa (quarto e quinto motivo).

2. Il primo motivo è inammissibile,in quanto il ricorrente denuncia un errore di calcolo in cui la Corte di merito è incorsa nel conteggiare la durata complessiva dei disposti differimenti di udienza, errore che configura, non un vizio di motivazione deducibile con ricorso per cassazione come prospettato dal ricorrente, ma un errore di fatto eventualmente impugnabile in sede di giudizio di revocazione della sentenza di merito.

3. Il secondo e il terzo motivo, esaminati congiuntamente in quanto attinenti a questioni strettamente connesse, sono manifestamente infondati. Deve infatti ritenersi che, in tema di equa riparazione ai sensi dell’art. 2 della legge 2001/89, nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice nazionale, pur non potendo ignorare i criteri applicati in casi simili dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha facoltà di apportare, motivatamente e non irragionevolmente, le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, le quali, peraltro, non possono fondare la decisione di liquidare somme che non siano in relazione ragionevole con quella – tra i 1000 e i 1500 euro – accordata dalla predetta Corte negli affari consimili (Cass. 2006/24356; 2007/2254). Nella specie, la Corte di appello si è attenuta a tali principi, facendo riferimento, sia pure nella misura minima, ai parametri CEDU, secondo una valutazione che resiste alle censure del ricorrente, tenuto anche conto che le ragioni dal medesimo poste a fondamento della richiesta di liquidazione di un importo maggiore a titolo di danno non patrimoniale sono state dedotte del tutto genericamente, con riferimento al rilevante ruolo istituzionale da lui svolto quale vice prefetto vicario presso la Prefettura di Ancona e ad un grave pregiudizio all’immagine, alla reputazione e all’integrità sociale da lui subito in conseguenza del ritardo con cui sarebbe stata accertata la fondatezza delle accuse rivolte all’imputata del reato di diffamazione in suo danno, ma in mancanza di una specifica indicazione di circostanze idonee a comprovare l’esistenza di un pregiudizio maggiore di quello già riconosciuto e liquidato dal giudice di merito.

4. Meritano invece accoglimento il quarto e il quinto motivo di ricorso, esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione, in quanto le spese del giudizio di merito sono state liquidate globalmente dalla Corte di appello in euro 800,00, senza distinguere tra esborsi, diritti e onorari, così disattendendo il consolidato orientamento giurisprudenziale, condiviso dal collegio, secondo cui la liquidazione delle spese giudiziali deve essere compiuta in modo tale da poter mettere la parte interessata in grado di controllare – in relazione a ciascuna fase del giudizio – se il giudice abbia rispettati i limiti delle rispettive tabelle e così darle la possibilità di denunciare le specifiche violazioni della legge o delle tariffe (Cass. 1993/3989; 1995/12280; 2000/34). Resta invece assorbita la ulteriore censura in ordine alla violazione dei minimi tariffari e all’inosservanza delle voci della nota spese depositata, dovendosi comunque procedere ad una nuova liquidazione delle spese, in conseguenza dell’accoglimento del motivo di gravame.

4. Il decreto impugnato deve essere pertanto annullato con riferimento alla censura accolta.

Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 1, c.p.c., con la liquidazione delle spese del giudizio di merito, addebitate al Ministero della Giustizia secondo il principio della soccombenza, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352), per un importo di euro 905,00, di cui euro 385,00 per competenze – esclusi gli importi richiesti a tale titolo nella nota spese depositata, ma non dovuti o non provati, per scrittura e collazione, ritiro atti e vacazioni – ed euro 100,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge.

5. Le spese del presente giudizio di cassazione, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge i primi tre motivi di ricorso. Accoglie il quarto e il quinto. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di Abramo Barillari delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in euro 905,00, di cui euro 385,00 per competenze ed euro 100,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge e di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in euro 900,00, di cui euro 800,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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