Cons. Stato Sez. VI, Sent., 17-01-2011, n. 229

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Attraverso l’atto di appello in esame, notificato il 15.3.2005, il Ministero dell’Interno e l’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli impugnavano la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, sez. IV, n. 2348/04 del 24.2.2004, che non risulta notificata, con la quale veniva accolto il ricorso proposto dal sig. R.R. avverso un diniego di autorizzazione (decreto n. prot. 167/2003/16° I° sett. C del 25.3.2003) all’esercizio di attività di vigilanza privata, ex art. 134 T.U.L.P.S..

Il diniego in questione risultava giustificato con la mancata dimostrazione del possesso del requisito della capacità tecnicofinanziaria, non essendo presenti nell’istanza gli elementi prescritti dall’art. 257 del R.D. n. 635/1940; veniva anche segnalato, inoltre, come "l’elevato numero di Istituti già autorizzati e l’importanza, per organizzazione e mezzi, di alcuni di essi" fosse già causa di saturazione del mercato e non consentisse il rilascio di nuove autorizzazioni, ex art. 136, comma 2, T.U.L.P.S., tenuto conto dell’avvenuto "licenziamento di guardie giurate dipendenti da talune aziende" e della "regressione registrata nella consumazione dei reati contro il patrimonio negli anni 1999/2000"; un "numero di Istituti superiore a quello corrispondente alle effettive esigenze", inoltre, avrebbe potuto "comportare situazioni di conflittualità ed alterare il normale regime della concorrenza, con conseguente pregiudizio per la funzionalità dei servizi prestati".

Nella sentenza appellata si rilevava, in primo luogo, come il ricorrente avesse prodotto al Commissariato di Afragola in data 11.1.2003 (in un momento successivo alla presentazione della domanda, ma prima della formulazione del parere della Questura) "dichiarazione corredata da allegati, concernenti la stipula di un contratto di locazione di immobile…l’allestimento di una sala radio omologata, l’iscrizione nel registro delle imprese, il rilascio di autorizzazione per eseguire investigazioni private nella provincia di Caserta, la dichiarazione dei redditi personale e di società…la disponibilità di autovetture da utilizzare nello svolgimento dei servizi": di tale documentazione aggiuntiva non sarebbe stata effettuata un’adeguata valutazione, risultando emessa una generica dichiarazione di incompletezza della domanda, senza specifica indicazione degli elementi ritenuti mancanti. Quanto al requisito della capacità tecnica – non contenendo precise prescrizioni al riguardo l’art. 136 T.U.L.P.S. e sussistendo, pertanto, ampi margini di discrezionalità – sarebbe stato comunque necessario che l’Amministrazione non si limitasse a riscontrare un "astratto profilo di carenza documentale", ma prendesse in analitico esame l’esperienza maturata dall’interessato nelle varie attività lavorative svolte (con particolare riguardo al settore delle investigazioni ed servizio svolto per oltre tre anni come guardia particolare giurata, alle dipendenze di un Istituto di vigilanza).

Quanto alla rilevata saturazione del mercato, nella medesima sentenza si osservava ancora che la motivazione, fornita dall’Amministrazione, non avrebbe fornito dati concreti circa i temuti pericoli, riconducibili al preteso eccesso di concorrenza, essendo invece necessario che si desse ragione di come "l’interesse pubblico sarebbe danneggiato dal rilascio di una nuova autorizzazione, a giustificazione del restringimento della sfera di libertà, costituzionalmente garantita dall’art. 41 Cost.". In sede di appello, si sottolineava viceversa l’esigenza di verifica dei requisiti non solo dell’Istituto nel suo complesso, ma "anche e principalmente" del soggetto intestatario della licenza, con ampi margini di apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione. Nella fattispecie la Prefettura avrebbe motivato la propria decisione di diniego "in relazione all’insufficienza tecnicofunzionale dei mezzi documentati dall’interessato per l’esercizio dell’attività di vigilanza, facendo propri i rilievi espressi nel parere della Questura di Napoli del 27.2.2003". In tale parere sarebbero stati rilevati "la capacità tecnica dell’istante….fortemente limitata" e "la carenza sia di un organico piano progettuale per l’attività che della necessaria solidità economica richiesta"; quanto sopra, con riferimento alla documentazione, ritenuta sommaria, circa i mezzi e le attrezzature da impiegare in relazione ai "non meglio specificati servizi di vigilanza". Tenuto conto infatti della necessità, "nell’attuale realtà socioeconomica…di apparati tecnici particolarmente sofisticati, quali sistemi di teleallarme, telesoccorso, automezzi blindati, nonché di mezzi atti a preservare efficacemente gli obiettivi della perpetrazione di reati…..il mero fitto di un immobile, una sala radio omologata e la non meglio specificata disponibilità di due semplici vetture…." sarebbero apparsi alla Prefettura, ragionevolmente, insufficienti per il rilascio dell’autorizzazione"; quanto sopra, in aggiunta alla pur segnalata situazione di saturazione del mercato, tale da determinare un potenziale pregiudizio per la funzionalità dei servizi prestati.
Motivi della decisione

La questione sottoposta all’esame del Collegio investe i parametri di corretto esercizio della potestà discrezionale dell’amministrazione, per il rilascio delle licenze abilitative allo svolgimento di attività di vigilanza privata, a norma dell’art. 136 R.D. 18.6.1931, n. 773 (Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza).

In base alla disposizione sopra citata, detta licenza poteva essere ricusata a chi non dimostrasse di possedere la "capacità tecnica per i servizi che intende esercitare", ovvero (prima dell’abrogazione del secondo comma della norma sopra citata, ex art. 4 D.L. 8.4.2008, n. 59) "in considerazione del numero o della importanza degli istituti già esistenti", o ancora (disposizione, quest’ultima, contenuta nel quarto comma della norma stessa e non abrogata) "per ragioni di sicurezza o di ordine pubblico".

In presenza degli ampi margini di discrezionalità, riconosciuti alla data di emanazione del provvedimento impugnato, l’Amministrazione era dunque chiamata ad effettuare un delicato bilanciamento di interessi, fra le esigenze di ordine pubblicistico, connesse ad attività riguardanti la protezione di persone e di beni e gli interessi economici, attinenti alla libertà di impresa garantita dall’art. 41 della costituzione.

I limiti del predetto bilanciamento, molto dibattuti in giurisprudenza, costituiscono i parametri, di non facile individuazione, cui deve ancorarsi il giudizio di legittimità, riferito alle valutazioni effettuate nel singolo caso: a tale riguardo entrano in discussione sia i criteri generalmente riconosciuti, per il corretto esercizio di una potestà tecnicodiscrezionale dell’Amministrazione, sia la specifica elaborazione giurisprudenziale dei presupposti per il rilascio delle autorizzazioni di cui trattasi, anche alla luce della normativa comunitaria.

Sotto il primo profilo, non può non essere sottolineato come la sindacabilità degli atti discrezionali abbia subito nel tempo una significativa evoluzione, in linea con i principi costituzionali e comunitari del "giusto processo" – inscindibile dalla effettività della tutela – e del "giusto procedimento amministrativo", che vede la pubblica autorità chiamata a rendere conto in modo sempre più incisivo – e con accresciute modalità di partecipazione e di verifica dei diretti interessati – della razionalità delle proprie determinazioni.

Le vecchie formule, che limitavano il sindacato giurisdizionale di legittimità sugli atti discrezionali all’esatta rappresentazione dei fatti ed alla congruità dell’iter logico, seguito dall’Autorità emanante il provvedimento, debbono pertanto ritenersi superate dai parametri di attendibilità della valutazione, che sia frutto di discrezionalità tecnica, e di non arbitrarietà della scelta, ove sia stata esercitata una discrezionalità amministrativa.

Se, dunque, risulta ormai pacificamente censurabile la valutazione, che si ponga al di fuori dell’ambito di esattezza o attendibilità, quando non appaiano rispettati parametri tecnici di univoca lettura, ovvero orientamenti già oggetto di giurisprudenza consolidata, o di dottrina dominante in materia (cfr. in tal senso, per il principio, CdS, sez IV, 13 ottobre 2003, n. 6201; Cons. St., sez. VI, 6.2.2009, n. 694 e 27.10.2009, n. 6559; Corte europea dei diritti dell’uomo, Albert et Le Compte c. Belgio, par. 29, 10 febbraio 1983 e Obermeier c. Austria, par 70, 28 giugno 1990), un’evoluzione analoga non può non investire la discrezionalità cosiddetta amministrativa, sotto il profilo non tanto dell’"an" e del "quid", ma del "quomodo", tenuto conto dei parametri costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’Amministrazione.

Un criterio di scelta, formulato in via discrezionale e pertanto insindacabile nel merito, può infatti ritenersi funzionalmente deviato – ed essere sindacabile sul piano della legittimità – quando non renda esplicita e verificabile la logica interna che lo ispira, consentendo conclusioni di cui sia impossibile appurare l’effettiva rispondenza all’interesse pubblico, perseguito dalla norma attributiva del potere. Sul piano operativo, ciò significa che l’Amministrazione può esprimere valutazioni discrezionali negative, per quanto qui interessa, in rapporto a richiesti provvedimenti ampliativi della sfera soggettiva di singoli amministrati, in rapporto a carenze rilevate che risultino di intuitiva evidenza, o che si rivelino tali alla luce di parametri oggettivi, opportunamente predeterminati

Quanto poi all’ulteriore limite – vigente alla data di emanazione del provvedimento impugnato in primo grado – con riferimento "al numero e all’importanza degli Istituti già esistenti", deve essere ricordata l’evoluzione giurisprudenziale che, già prima dell’abrogazione della norma, aveva superato l’originario indirizzo secondo cui avrebbe avuto carattere di "palese eccezione" l’affidamento a privati di compiti di stretta competenza dei Corpi di Polizia, con conseguente estremo rigore per il rilascio di nuove le autorizzazioni; si è progressivamente riconosciuta, infatti, l’esigenza di non restringere senza adeguate giustificazioni una sfera di libertà garantita a livello sia costituzionale (articolo 41) che comunitario (con particolare riguardo al Trattato di Roma, richiamato dalla pronuncia della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 13.12.2007, in tema di diritto di stabilimento e libera circolazione dei servizi).

Nell’ottica sopra indicata, la giurisprudenza aveva individuato la necessità che fosse individuato il punto di equilibrio, al di là del quale l’aumento di concorrenza avrebbe cessato di alimentare migliori condizioni di gestione delle risorse e di più agevole fruibilità del servizio, per diventare fonte di eccessivo contenimento dei costi, difficoltà di controllo e rischio di violazione delle regole, con i conseguenti pericoli per l’ordine e la sicurezza pubblica (cfr. in tal senso, per il principio, Cons. St, sez. VI, 29.1.2007, n. 336, 4.9.2007, n. 4624, 6.2006, n. 3433, 16.1.2006, n. 74, 20.4.2006, n. 2197, 9.2.2006, n. 508; Cons. St., sez. IV, 28.10.1999, n. 1643, 27.9.1991, n. 737, 4.5.1988, n. 369, 20.5.1987, n. 307); negli ultimi anni, poi, l’indirizzo giurisprudenziale in questione ha registrato una svolta ulteriormente liberalizzatrice, con particolare riguardo a dinieghi fondati sul numero degli istituti, delle guardie e dei sistemi di vigilanza esistenti, richiedendosi valutazione specifica di ogni singola autorizzazione, sotto il profilo del concreto turbamento che la stessa potrebbe determinare per l’ordine pubblico, in caso di eccesso di concorrenza (Cons. St., sez.VI, 29.4.2008, n. 1916, 8.5.2008, n. 2118, 4.8.2008, n. 3875 e 11.11.2008, n. 5599). Una valutazione prognostica – quella appena indicata – di ardua effettuazione, ma tuttavia ritenuta necessaria, per evitare che da scelte amministrative derivi una situazione di sostanziale chiusura del mercato e di oligopolio, ritenuti non compatibili con i vigenti principi costituzionali e comunitari.

Tenuto conto dei complessi parametri sopra indicati, il Collegio ritiene che l’appello attualmente in esame non possa trovare accoglimento.

Nel diniego di autorizzazione impugnato, infatti, vengono contestati la capacità tecnica e la solidità economica della ditta del citato signor R., nonché la saturazione del mercato in cui la stessa si proponeva di operare, sotto entrambi i profili al di fuori delle possibilità di riscontro, in precedenza illustrate.

Quanto agli indicati requisiti soggettivi, infatti, le motivazioni fornite nell’atto appaiono apodittiche, poichè riferite a circostanze che non appaiono né di immediata evidenza in base a criteri di comune buon senso, né contrastanti con parametri prefissati, a partire dalla contestata capacità tecnica di un soggetto che vantava, come nel caso di specie, una specifica (e non breve) esperienza lavorativa pregressa nel settore; ugualmente non è dato comprendere a quali precisi parametri dovessero ancorarsi la solidità economica della ditta in questione, nonché il relativo apparato organizzativo e tecnicooperativo, al di là del dimostrato possesso di una sede, di autovetture, di una sala radio omologata, di redditi certificati e di altre autorizzazioni necessarie. Senz’altro insufficiente, a tale riguardo, appare il generico richiamo alla mancata indicazione dei servizi di vigilanza che la ditta stessa avrebbe inteso eseguire, a particolari strumenti operativi (automezzi blindati, dispositivi elettronici ecc.), nonché alla "capacità finanziaria potenziale", ben potendo alcune informazioni ritenute mancanti essere acquisite in via istruttoria e non risultando ammissibile l’omissione di qualsiasi riferimento ad eventuali limiti minimi di consistenza organizzativa e finanziaria dell’impresa, ove previamente determinati in rapporto alle esigenze del settore, o da ritenere disattesi per palesi insufficienze della ditta interessata (circostanza, quest’ultima, che non appare immediatamente riscontrabile per l’impresa di cui trattasi).

Sotto l’ulteriore profilo dell’asserita saturazione del mercato, poi, le considerazioni svolte dall’Amministrazione finiscono per determinare non solo limiti, ma sostanzialmente una vera e propria preclusione generalizzata all’esercizio dell’attività di vigilanza privata, in contrasto con la libertà di iniziativa economica, legislativamente sussistente anche per tale settore, sia pure nel rispetto di regole, atte ad assicurare l’efficienza e la sicurezza del servizio. Come già in precedenza accennato, invece, l’Amministrazione stessa avrebbe potuto eventualmente predisporre criteri oggettivi e predeterminati, idonei ad assicurare il più accurato possibile riscontro di idoneità dei nuovi istituti di vigilanza, ma non anche determinare una vera e propria chiusura del mercato, indipendentemente dai requisiti e dal progetto operativo del singolo aspirante, come appare avvenuto nel caso di specie.

Nella situazione in esame, pertanto, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto della fase di evoluzione giurisprudenziale e normativa, rilevabile per il settore interessato.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, RESPINGE il ricorso in appello indicato in epigrafe.

COMPENSA le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Giancarlo Coraggio, Presidente

Rosanna De Nictolis, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore

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