Cassazione, 5 novembre 2009, n. 42462 Recidiva e benefici penitenziari, lectio magistralis della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Fatto

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Bologna ha respinto la domanda di affidamento in prova ai servizi sociali avanzata da O. R. P..

Dopo avere premesso che l’istante era detenuto, con fine pena fissata al 9.4.2010, sulla base di provvedimento di cumulo emesso dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Milano il 21.9.2004 per la pena di 15 anni di reclusione per diversi reati («tentata rapina, sequestro di persona, riciclaggio, ricettazione ed altro»), il Tribunale rilevava che dalla sentenza 19.7.2003 della Corte d’assise d’appello di Milano, «contenuta nel provvedimento di cumulo» in espiazione, emergeva che al P. era stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99 quarto comma c.p. Di conseguenza, poiché il P. era stato già ammesso alla semilibertà e all’affidamento in prova, ostava ad una nuova concessione di codesti benefici il disposto dell’ultimo comma dell’art. 58-quater legge n. 354 del 1975. La detenzione domiciliare era quindi impedita sia dal fatto che la pena residua superava i due anni sia dalla recidiva, ai sensi del comma 1-bis dell’art. 47-ter legge n. 354 del 1975.

2. Ricorre di persona il P. e chiede l’annullamento del provvedimento.

Premette che da oltre un anno è ammesso al lavoro esterno, di assistenza ad anziani, ex art. 21 ord. pen.; che sta espiando le pene di cui al provvedimento di cumulo 21.9.2004, che comprende la pena residua di una condanna del Tribunale di Bergamo confermata in appello nel 2004 e la condanna 25.5.2004 della Corte d’appello di Milano; che in virtù della maturazione di due semestri di liberazione anticipata il fine pena è stato fissato al 4.1.2010; che allo stato la condanna inflitta dalla Corte d’assise d’appello risultava completamente espiata.

Sostiene di conseguenza:

– che erroneamente il Tribunale di sorveglianza aveva ritenuto ostativa alle misure alternative la recidiva applicata con la sentenza della Corte d’assise d’appello a condanna che, benché compresa nel cumulo, era da considerare già espiata, facendo riferimento alla recidiva come se fosse uno status personale e violando i principi affermati da Cass. sez. 1 n. 28632 depositata il 9.8.2005;

– che erroneamente il Tribunale non aveva proceduto alla scissione del cumulo, verificando quale era la pena in esecuzione e se la stessa riguardava o meno un reato ostativo (sostiene di no il ricorrente affermando che il residuo pena era riferibile al reato di porto abusivo di arma, a cui non era stata applicata la recidiva ex art. 99 quarto comma);

– che erroneamente nell’ultima parte dell’ordinanza, il Tribunale aveva fatto riferimento alla detenzione domiciliare, che il ricorrente non aveva richiesto, e alla condizione ostativa di più di due anni di pena residua, in contrasto con quanto all’inizio rilevato, circa il fine pena fissato al 9.4.2010.

Diritto

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare fondato.

Il ricorrente sostiene che il Tribunale di sorveglianza non poteva affermare che ex art. 58-quater ultimo comma ord. pen ostava alla concessione del beneficio richiesto la recidiva a lui applicata con una delle condanne oggetto di cumulo, perché la pena per la condanna alla quale si riferiva la recidiva era stata già interamente espiata e la recidiva «non è uno status personale che può essere attestata una volta per sempre».

Dal provvedimento impugnato, estremamente laconico e scarsamente preciso, effettivamente risulta che il P. era detenuto in esecuzione di pene oggetto di un cumulo per quindici anni di reclusione emesso nel settembre 2004. Nulla dice il provvedimento sul numero delle sentenze di condanna oggetto del cumulo, sulla data di commissione dei reati cui le stesse si riferivano, sulla eventualità di un presofferto e sulla sua durata. La indicazione, in premessa, di un fine pena al 9.4.2010 indurrebbe ciò nonostante a pensare che, in considerazione della entità della pena complessiva prima indicata (15 anni) e della data del provvedimento di cumulo (settembre 2004), un consistente periodo di pena era stata già espiata in precedenza. Senza verificare la prospettazione del ricorrente e senza dare conto dei dati di fatto cui la stessa si riferiva, il Tribunale di sorveglianza ha quindi fondato l’affermazione che il P. non poteva beneficiare dell’affidamento in prova al servizio sociale sul rilievo che in una delle sentenze oggetto di cumulo, quella del 19.7.2003, gli era stata applicata la recidiva del quarto comma dell’art. [omissis] c.p.

Deve dunque convenirsi con il ricorrente quando afferma che il Tribunale sembra avere considerato la recidiva applicata ad una soltanto delle condanne oggetto di cumulo di per sé impeditiva alla concessione del beneficio in relazione a tutta la pena cumulata.

E siffatto presupposto, e comunque tale modo di procedere senza esaminare quantità e riferibilità della pena già espiata, non è corretto.

2. Nonostante la perdurante controversia dommatica sulla natura giuridica della recidiva (ovvero sul fondamento dell’aumento della sanzione e degli altri effetti che ne conseguono), la giurisprudenza, prendendo atto della collocazione sistematica, del «non eludibile» (come rileva accorta dottrina) dettato degli artt. 70 secondo comma e 69 quarto comma c.p., della indiscussa natura circostanziale delle attenuanti generiche, anch’esse “discrezionali”, è saldamente orientata nel ritenere la recidiva una circostanza del reato (pur sui generis «in quanto …, inerendo esclusivamente alla persona del colpevole, non incide sul fatto-reato»: cfr. Sez. U, Sentenza n. 3152 del 31/01/1987 Rv. 175354, Paolini, in tema di esclusione della recidiva dal novero delle circostanze aggravanti che rendono il reato di truffa perseguibile d’ufficio) e non una condizione di maggiore punibilità del reo.

Ne consegue che nell’ambito del processo di cognizione il giudizio sulla recidiva non è giudizio sulla astratta pericolosità del reo o su una sua “condizione personale” svincolata dal fatto reato, ma, come per le attenuanti generiche, consiste di una valutazione sulla gravità dell’illecito commisurata alla maggiore capacità a delinquere manifestata dal soggetto agente, capace di incidere sulla risposta punitiva, sia in termini retributivi sia in termini di prevenzione speciale quale aspetto della “colpevolezza” e della capacità di commettere nuovi reati, soltanto nell’ambito e in relazione al fatto per la quale la recidiva stessa è riconosciuta applicabile.

Su considerazioni sostanzialmente analoghe è basata d’altronde la giurisprudenza di questa Corte che, sulla scorta dell’opzione suggerita da Corte costituzionale sentenza n. 192 del 2007 (ribadita nelle successive ordinanze n. 409 del 2007; n. 257, n. 193, n. 90 e n. 33 del 2008; n. 171 del 2009) appare oramai consolidata nel senso di ritenere che la recidiva reiterata di cui all’art. 99 quarto comma c.p., anche dopo le modifiche apportate dalla legge n. 251 del 2005, deve ritenersi facoltativa (ovvero discrezionale): applicabile cioè soltanto quando il giudice ritenga di doverla in concreto riconoscere sussistente quale «espressione di maggior colpevolezza e pericolosità» e di dovere di conseguenza aumentare per essa la pena o procedere a giudizio di bilanciamento con le attenuanti (così Sez. 3, n. 45065 del 25.9.2008, Rv. 241779, P.G. in proc. Pellegrino; e in senso conforme, tra le tante: Sez. 6, n. 37169 del 17/09/2008 Rv. 241192 – e ivi citate Sez. 6, 7.2.2008, n. 10405, P.G. in proc. Goumri; Sez. 6, 11.11.2007, n. 16750, P.G. in proc. Serra; Sez. 5, 25.9.2007, n. 40446, P.G. in proc. Mura; Sez. 4, 28.6.2007, n. 39134, P.G. in proc. Mazzetta; Sez. 2, 5.12.2007, n. 46249, Cavazza; Sez. 6, 3.7.2007, n. 37549, P.G. in proc. Saponaro; Sez. 4, 19.4.2007, n. 26412, P.G. in proc. Meradi; Sez. 2, 4.7.2007, n. 32876, P.G. in proc. Doro -; Sez. 5, n. 4221 del 9.12.2008, Rv. 242946, P.G. in proc. De Rosa; Sez. 4, n. 5488 del 29.1.2009, Rv. 243441, P.G. in proc. Rami; Sez. 5, n. 13658 del 30/01/2009, Rv. 243600, P.G. in proc. Maggiani).

In sede di cognizione resta insomma valido il principio secondo cui il giudice è tenuto a stabilire volta per volta se effettivamente la recidiva giustifica una maggiore punizione del reo o se, invece, per l’occasionalità della ricaduta, per i motivi che la determinano, per il lungo intervallo di tempo tra il precedente reato e il nuovo, per la diversità di indole delle varie manifestazioni delinquenziali, per la condotta in genere tenuta dal reo, o per altre ragioni, quella pericolosità non sia riscontrabile (Sez. 5, n. 4337 del 22.11.1974, Rv. 129837, Caccavaro; Sez. 5, n. 46452 del 21/10/2008, Rv. 242601, Tegzesiu).

Ulteriore conseguenza condivisa è che il giudizio sulla applicabilità della recidiva, in quanto collegato alla gravità – seppure soggettiva – del fatto, è destinato a valere non solo in relazione al giudizio di bilanciamento tra recidiva e attenuanti, ma, ove non sia espressamente previsto il contrario, per ogni altro effetto collegato al riconoscimento della recidiva stessa. Sarebbe difatti davvero irrazionale, come efficacemente è stato osservato, che «il giudice possa escludere l’effetto principale della recidiva, non avendone individuati i presupposti sostanziali, e al tempo stesso continuare a tenerne conto, sulla base della precedente condanna, per gli effetti minori».

Tant’è che la stessa Corte costituzionale ha in più occasioni osservato (ordinanze n. 193 del 2008 e n. 171 del 2009) come nei limiti in cui si escluda l’operatività del regime di obbligatorietà è possibile ritenere che venga meno, oltre all’«automatismo» di cui all’art. 69, quarto comma, c.p., anche quello, ad esempio, di cui all’art. 81, quarto comma, c.p., giacché «anche l’operatività di quest’ultima norma appare logicamente legata al fatto che il giudice abbia ritenuto la recidiva reiterata concretamente idonea ad aggravare la pena per i reati in continuazione».

3. Movendo dal presupposto che non può in linea di principio ammettersi che una circostanza, priva di effetti ai fini della determinazione della pena per i singoli reati contestati all’imputato perché non indicativa, in tesi, di maggiore colpevolezza o pericolosità del reo, possa produrre un sostanziale aggravamento della risposta punitiva in sede di applicazione di istituti volti all’opposto fine di mitigare la pena (cfr. C. cost. n. 193 del 2008 cit.), è di tutta evidenza che non può, a maggior ragione, ammettersi che la recidiva non dichiarata in sede di cognizione possa essere ritenuta dal giudice dell’esecuzione; tanto più se al fine di trarne conseguenze sfavorevoli al condannato.

Il principio è ripetuto:

– in materia di prescrizione della pena, da ultimo da Sez. 1, n. 16944 del 9.4.2009, D’Onofrio (non mass.); Sez. 1, n. 10425 del 2.2.2005, Rv. 231209, Esposito Sez. 1, n. 46229 del 6.10.2004, Rv. 230295, Nardelli; Sez. 1, n. 30707 del 16.4.2002,. Rv. 222238, Triulcio; Sez. 1, n. 2097 del 12/07/1989, Zuliani;

– in tema di riabilitazione, per tutte, da S.U. n. 2 del 23.1.1971, Piano;

– in tema di applicabilità dell’indulto da S.U. n. 17 del 18.6.1991, Rv. 187856, Grassi (conformi tra moltissime Sez. 1, n. 2303 del 21.5.1992, Rv. 192017, Castellano; Sez. 1, n. 1294 del 26.6.1993, Rv. 194003, Commisso);

– nonché, con riguardo alla concessione dei benefici penitenziari e quanto a regola generale che è alla singola condanna ovvero allo specifico «titolo in esecuzione» che va riferita la preclusione discendente dall’applicazione della recidiva, più o meno implicitamente, tra molte, da Sez. 1, n. 4688 del 10.1.2007, Rv. 236621, Brendolin; Sez. 1, n. 42415 del 22.11.2006, Rv. 235585, Del Genio; Sez. 1, n. 25113 del 11.7.2006 Rv. 234678, De Rosa; espressamente e argomentatamente da Sez. 1, n. 36040 del 28.9.2006, Rv. 235192, Buonomo; Sez. 1, n. 27814 del 22.6.2006 Rv. 234433, Stacchetti.

Con specifico riferimento ai benefici penitenziari indubbia conferma a tale linea interpretativa offre quindi il rilievo, ricavabile dalla lettura complessiva della legge n. 251 del 2005, che quando il legislatore del 2005 ha voluto precludere l’accesso ai benefici per effetto del riconoscimento della recidiva in una qualsiasi delle condanne riportate dal detenuto, a prescindere dalla sua applicazione al titolo in esecuzione, l’ha espressamente chiarito. Nell’art. 47-ter comma 1, è difatti precisato che la detenzione domiciliare è concedibile (salvo che la condanna si riferisca a certi reati) all’ultrasettantenne «purché non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza né sia stato mai condannato con l’aggravante dell’art. 99 del codice penale». Di modo che la diversità della formula usata invece nel comma 1.1. del medesimo art. 47-ter e nel comma 7-bis dell’art. 58-quater ragionevolmente pare riconducibile all’intenzione del legislatore di fare all’opposto riferimento, per le preclusioni istituite con dette norme, esclusivamente alla recidiva “applicata” nella condanna in esecuzione.

Anche alla novella del 2005 s’attagliano dunque le osservazioni (di C. cost. n. 361 del 1994) che il testo normativo non conduce affatto necessariamente alla tesi che il legislatore mediante il riferimento alla recidiva applicata al condannato abbia inteso introdurre «una sorta di status di “detenuto pericoloso” che permei di sé l’intero rapporto esecutivo a prescindere dal titolo specifico di condanna»; che, diversamente opinando, «per circostanze meramente casuali (dipendenti ad esempio dal sopravvenire di nuovi titoli detentivi nel corso della esecuzione della pena per precedenti condanne) verrebbe ad atteggiarsi in modo differente il regime dei presupposti per l’applicazione delle misure alternative»; che anche ad ammettere un margine di equivoco nella formulazione delle disposizioni applicabili deve perciò essere comunque preferita la soluzione interpretativa che scongiuri la irragionevole discriminazione di situazioni tra loro assimilabili che discenderebbe da una differente lettura.

4. Concludendo, nei limiti in cui la concessione dei benefici è impedita non già dalla condizione di soggetto già dichiarato recidivo del condannato, ma dall’applicazione della recidiva, di un certo tipo, al reato cui si riferisce la condanna in esecuzione, deve affermarsi che la preclusione non attiene ad uno status ma discende dal reato, che è in concreto ostativo in quanto circostanziato dalla recidiva.

Se, a seguito di un’operazione di cumulo, materiale o giuridico, la condanna per il reato ostativo è posta in esecuzione assieme ad altra o ad altre che concernono reati non ostativi, ai fini della ammissione ai benefici occorrerà rifarsi allora ai principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di necessaria scissione del cumulo e dei periodi di detenzione che ne compongono la esecuzione (per tutte cfr. S.U. n. 14 del 30.7.1999, Ronga, con specifico riguardo anche al caso di cumulo giuridico).

Anche nell’ipotesi qui considerata la inscindibilità del cumulo genererebbe difatti «inaccettabile diversità di trattamento a seconda della eventualità, del tutto casuale, di un rapporto esecutivo unico, conseguente al cumulo, ovvero di distinte esecuzioni dipendenti dai titoli che scaturiscono dalle singole condanne» (S.U. Ronga, che sul punto richiama Sez. I, 26.3,1999, n. 2529, in armonia con la regola affermata da Corte cost. n. 361 del 1994).

Di conseguenza, il Tribunale di sorveglianza anche ai fini della preclusione istituita dall’art. 58-quater ultimo comma dovrà in caso di cumulo preliminarmente verificare se la pena per il reato ostativo (al quale è stata applicata la recidiva) è ancora da espiare. Dovrà a tal fine scindere, per lo meno idealmente, il cumulo e, per evitare profili di ingiustificata causalità (che possono dipendere da ritardi nei giudizi di merito, nella messa in esecuzione delle sentenze, nella ricognizione e dichiarazione di cause estintive, tutti estranei e lontani alla condotta del condannato), dovrà prescindere dalla data del cumulo stesso, da quella di irrevocabilità delle sentenze e dalla data della messa in esecuzione dei titoli, prendendo invece a referente la data di commissione dei reati, contemperando tale regola con quella, ineludibile, che nessuna pena può essere imputata a reato commesso successivamente alla sua esecuzione e con il principio del favor rei che impone, a parità di condizioni, che vada comunque riferita al presofferto o alla detenzione espiata per prima la pena che comporta maggiori pregiudizi afflittivi, ciò valendo anche per i profili qualitativi della pena, collegati appunto alla possibilità di godere di benefici penitenziari (Sez. 1, n. 4600 del 9.11.1992 Rv. 192414, Policastro – citata adesivamente da C. cost. n. 361 del 1994 -; Sez. 1, n. 1047 del 15.2.2000 Rv. 216081, Sileno; Sez. 1, n. 14563 del 12.4.2006 Rv. 233946, Hamdy).

5. Nel caso di specie il Tribunale non ha invece esaminato se il ricorrente poteva ancora considerarsi detenuto in espiazione della pena inflitta con la condanna alla quale era stata applicata la recidiva. L’ordinanza impugnata deve perciò essere annullata con rinvio al Tribunale di Sorveglianza di Bologna, che procederà a nuovo esame verificando se sussistono le condizioni per l’applicazione del beneficio richiesto dal ricorrente alla luce dei principi di diritto prima enunziati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Bologna.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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