CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 settembre 2011, n. 33320 Reati contro il patrimonio – Truffa – Raggiri a scopo di lucro posti in essere dal prestanome della società – Punibilità – Sussiste

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Osserva

1. Avverso la sentenza indicata in epigrafe, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Siracusa, del 02.10.2007, di condanna dell’imputata, per il reato di truffa in danno dell’Ente pubblico, alla pena di mesi quattro di reclusione ed euro 100,00 di multa ricorre la difesa della G. chiedendo l’annullamento della sentenza e deducendo a motivo:

a) la violazione di cui all’art. 606, co 1, lett. b), c.p.p. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale perché la Corte di merito ha confermato la condanna della G. che in realtà era una dipendente della società ed amministratore puramente formale della stessa e pur essendo mancato, per il fatto di essere responsabile solo formalmente della gestione della società, ogni effettivo apporto causale della condotta dell’imputata alla commissione dell’illecito;

b) l’omessa motivazione in ordine alla qualificazione del reato: la Corte di merito ha errato nel dichiarare che non era possibile ravvisare l’appropriazione indebita nei fatti in esame perché la B. srl non aveva il possesso del denaro dell’ente pubblico INPS, posto che tutto il rapporto con quest’ultimo si è svolto sulla base di compensazioni.

Motivi della decisione

2. Il ricorso è manifestamente infondato: manca in esso ogni correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione.

2.1 La Corte territoriale, infatti, ha rilevato che il fatto che i due soci della "B. srl" avessero la gestione di fatto della società lasciava immutata la responsabilità della G., che era stata investita formalmente della carica amministrativa e che volontariamente e consapevolmente la aveva assunta. Sicché ella era l’unico soggetto legittimato a compiere, in nome e per conto della società tutti gli atti formali comportanti, per gli effetti legali, responsabilità civile e penale.

2.2 II principio enunciato dalla Corte di merito è in linea con quello costantemente ribadito da questa Corte in tema di responsabilità da bancarotta fraudolenta ma che comunque, si rende, per l’intrinseca coerenza, applicabile anche nel caso in esame , secondo cui l’amministratore della società ancorché sia un mero prestanome di altri soggetti che hanno agito come amministratori di fatto risponde dei reati contestati, quanto meno a titolo di omissione, poiché la semplice accettazione della carica attribuisce dei doveri di vigilanza e di controllo la cui violazione comporta responsabilità. La sola consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, ovvero l’accettazione del rischio che questi si verifichino, sono infatti sufficienti per l’affermazione di responsabilità.(Rv. 216117, Rv. 232816, Rv. 233637).

2.3 Sempre in linea con la giurisprudenza di legittimità la Corte ha respinto la censura relativa alla qualificazione del fatto come truffa (rv 178728; rv 138529)

2.4 II ricorrente, per contro, si è limitato a riproporre tal quale le tesi già prospettate con l’appello .Orbene,in tal caso,per consolidata giurisprudenza di questa Corte, il fatto che nessuna argomentazione sia svolta nel ricorso, in ordine alle valutazioni espresse dal giudice di appello sui vari motivi, rende l’impugnazione meramente apparente e generica; il che determina, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), l’inammissibilità del ricorso.(- Sez. 4, sent. n. 5191 del 29.3.2000 dep. 3.5.2000 rv 216473 – Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 dep. 11.10.2004 rv 230634 – Sez. 4, sent. n. 256 del 18.9.1997 dep. 13.1.1998 rv 210157)

3. Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile: ai sensi dell’art.616 c.p.p. con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, il ricorrente che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

3.1 Alla parte civile ,che ne ha fatto rituale richiesta, vanno liquidate le spese del presente grado di giudizio ,che l’imputata dovrà rifondere in misura pari a complessivi euro 2500,00 oltre spese generali, IVA e CPA.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 alla cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile R.C., che liquida in complessivi euro 2500,00 oltre spese generali IVA e CPA.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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