Corte di Cassazione – Sentenza n. 18792 del 2011 Trasforma la soffitta in terrazzo – Illegittima alterazione della cosa comune specie se può causare danni da infiltrazioni d’acqua all’appartamento sottostante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 28. 6. 1995 G.E. ed I. G. convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Cosenza, C.F.C. esponendo che questi aveva trasformato, in un terrazzo di circa 30 mq la soffitta sovrastante il loro appartamento al primo piano il cui valore sarebbe stato decurtato in quanto esposto ad escursioni termiche ed al pericolo di infiltrazioni di acqua. Chiedevano, pertanto, la condanna del convenuto al ripristino dello stato dei luoghi ed, in via subordinata, al pagamento di una somma di denaro da determinarsi a mezzo C.T.U., a titolo di risarcimento danni per il deprezzamento dell’appartamento.
Il C. si costituiva chiedendo il rigetto della domanda assumendo di aver solo ristrutturato la copertura della soffitta di sua proprietà, previa autorizzazione degli altri condomini ed approvazione da parte del comune di Cosenza senza arrecare alcun danno all’appartamento sottostante.
Espletata C.T.U . il Tribunale, con sentenza depositata il 17.1.1998. rigettava la domanda con condanna degli attori al pagamento delle spese processuali.
Avverso tale sentenza il G. e la I. proponevano appello cui resisteva il C.
La Corte d’appello di Catanzaro, disposta la rinnovazione della C.T.U., con sentenza 12.8.2004, in parziale accoglimento dell’appello ed in riforma della sentenza impugnata, condannava il C. al ripristino integrale della copertura dell’immobile mediante realizzazione del tetto della soffitta; rigettava, per difetto di prova, la domanda di risarcimento del danno proposta dagli appellanti e condannava il C. al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio.
Rilevava la Corte di Appello che la parziale trasformazione del tetto in terrazzo comportava un’alterazione della destinazione della cosa comune, in violazione dell’art. 1102 C.C., anche se l’autore della trasformazione era proprietario esclusivo dell’ultimo piano o della superficie coperta.
Tale sentenza veniva impugnata dal C. con ricorso per cassazione basato su due motivi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..
Resistevano con controricorso il G. e la I. proponendo ricorso incidentale nella parte in cui era stata rigettata la domanda di risarcimento del danno, da liquidarsi in via equitativa.

Motivi della decisione

Preliminarmente vanno riuniti il ricorso principale e quello incidentale, ai sensi dell’art. 335 c.p.c. in quanto proposti avverso la medesima sentenza.
Il ricorrente principale deduce:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. ( in relazione all’art. 360 c.p.c. nn. 3 e 5), avendo gli appellanti mutato la “causa petendi” posta a base della domanda laddove, quale ulteriore motivo di gravame, avevano dedotto che la trasformazione della soffitta era avvenuta in violazione della delibera condominiale del 1.2.1992; il Giudice di appello aveva, quindi, erroneamente fondato la sentenza impugnata anche con riferimento a tale delibera;
2) violazione dell’art. 112 c.p.c.; il giudice di appello era incorso nel vizio di ultrapetizione per aver considerato illegittima la trasformazione della soffitta, in violazione dell’art. 1102 c.c., non tenendo conto che, nel giudizio di primo grado, gli attori, quale “causa petendi”, della domanda, avevano solo lamentato che da detta trasformazione potevano derivare danni al sottostante appartamento di loro proprietà.
Entrambi i motivi di ricorso sono infondati e vanno, pertanto, disattesi.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, deve escludersi la novità della domanda sotto il profilo del mutamento della “causa petendi”, posto che l’illiceità della condotta ascritta al C., in primo e secondo grado, è stata rapportata al comportamento materiale posto in essere dallo stesso, per aver illegittimamente modificato la copertura dell’immobile di sua proprietà, con conseguente danno dell’appartamento sottostante di proprietà dei resistenti. E’ vero che il giudice di appello, nel configurare detto illecito ha fatto pure riferimento alla delibera condominiale 1.2.92, ma solo per disattendere l’assunto difensivo dello stesso C. che sosteneva di essere stato facultato da detta delibera al rifacimento della copertura del tetto, a sue cure e spese, circostanza contestata dagli appellanti G. – I. e smentita da quanto accertato dal giudice di merito in ordine alle concrete modalità di esecuzione delle opere. La delibera condominiale è stata, invero, presa in esame dal giudice di appello come ulteriore argomento confermativo dell’illecito attribuito al C. sotto il profilo della ritenuta alterazione della cosa comune, in violazione dell’art. 1102 c.c., essendo stato accertato che, comunque, il ricorrente ha agito anche in violazione della delibera condominiale, circostanza che non ha comportato alcuna modifica della causa pretendi, del petitum e dei fatti posti a fondamento della domanda. Giova sul punto rammentare che la Corte di legittimità ( S.C. n. 15408/2003) ha affermato che si ha domanda nuova, inammissibile in appello, per modificazione della “causa petendi”, solo quando i nuovi elementi dedotti nel giudizio di secondo grado, comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, modificando l’oggetto sostanziale dell’ azione ed i termini della controversia, così da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non sia stato svolto il contraddittorio, ipotesi non verificatasi nella specie.
Non è dato, inoltre, ravvisare, con riferimento a detta configurazione dell’illecito, ex art. 1102 c.c., alcun vizio di ultrapetizione in quanto la pronuncia rispecchia i limiti della causa pretendi e del petitum prospettati dalle parti con riferimento alla sussistenza del danno lamentato dalle attrici a seguito della modifica, da parte del C., del tetto dell’appartamento sovrastante quello delle attrici.
Del pari infondato è il ricorso incidentale con cui si deduce la violazione e/o erronea applicazione dell’art. 1226 c.c., per avere la Corte territoriale disatteso la richiesta di condanna del C. al risarcimento del danno in via equitativa, non tenendo conto che, nella specie, l a configurabilità del danno in re ipsa, escludeva la necessità della prova relativa.
Al riguardo correttamente la sentenza impugnata ha evidenziato, in aderenza alla giurisprudenza in materia della S.C. che il criterio della liquidazione equitativa del danno richiede pur sempre il riferimento ad “argomenti anche di carattere presuntivo, ai fini della prova del danno, per evitare che la relativa decisione, ancorché fondata su valutazioni discrezionali, sia arbitraria e sottratta a qualsiasi controllo; occorre, pertanto, che chi reclama il risarcimento del danno ne dia dimostrazione, sulla scorta di elementi idonei a fornire i parametri plausibili della quantificazione (Cfr. Cass. n. 3794/2008; n. 6082/96).
Alla stregua di quanto osservato vanno rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale.
Vanno compensate integralmente le spese del presente giudizio di legittimità, stante la reciproca soccombenza delle parti.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta.
Depositata in Cancelleria il 14.09.2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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