Corte di Cassazione, Sentenza n. 34086 del 2011 Geometra comunale si appropria del denaro versato da cittadini per la definizione di pratiche edilizie onerose

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 13 aprile 2011, la corte di appello di Genova ha ribadito la responsabilità di B.D., geometra dipendente dell’Area Urbanistica del Comune di (…) per il delitto di peculato, affermata da quel Tribunale in relazione a 5 ipotesi, in cui egli si era appropriato del denaro versato da cittadini per la definizione di pratiche edilizie onerose, e per il delitto di truffa in altri casi in cui l’appropriazione era relativa a somme in realtà non dovute alla amministrazione, che con l’inganno l’imputato aveva fatto credere tali agli utenti. Ne confermava altresì la pena, negandone la riduzione invocata.
2. Ricorre il difensore del B. e deduce la erronea qualificazione dei fatti in peculato, dato che l’imputato, per regolamento comunale e per contratto, non poteva disporre del denaro pubblico, sicché difettava il presupposto della appartenenza delle somme versate alla PA ed i fatti commessi erano invece da qualificare come truffa, avendo egli generato delle modalità fraudolente che avevano consentito l’accesso alla provvista. Il giudice di merito avrebbe confuso il concetto di appartenenza con quello di appropriazione. Inoltre era ingiustificata la negazione delle invocate attenuanti generiche reputando quale elemento di disvalore la contumacia, che è invece una delle facoltà legittime dell’imputato.

Considerato in diritto

1. Il ricorso, manifestamente infondato, è da dichiarare inammissibile, con le consequenziali statuizioni in tema di spese processuali ed ammenda in favore della cassa.
2. In ordine al primo motivo, la tesi secondo cui la sua attività illecita si svolgeva al di fuori della normativa che disciplina l’esazione dei crediti dell’ente, la quale potrebbe essere svolta solo dai cassieri, è del tutto priva di fondamento e basata su un equivoco di fondo.
3. La sentenza impugnata afferma che il B. incassava denari provenienti dagli utenti i quali gli versavano somme che erano necessarie per la definizione di pratiche edilizie, secondo importi che erano comunque dovuti all’ente comunale; per tali pratiche, il ricorrente intascava denaro spettante alla PA ed ad essa appartenente, comportandosi di fatto quale soggetto legittimato a ricevere il pagamento.
4. È da osservare che l’eventuale agire in violazione delle norme interne dell’ente sulla esazione dei crediti non può avere la conseguenza di elidere i presupposti del peculato, che si verifica tanto se il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio abbia la disponibilità giuridica quanto semplicemente quella materiale del denaro altrui. Il possesso di tale denaro per ragioni di ufficio, presupposto dei delitto in questione, si verifica sia se avvenga secondo le regole che disciplinano i pagamenti all’ente sia se si realizzi con violazione delle disposizioni organizzative dell’ufficio al riguardo, potendo tale violazione costituire un illecito disciplinare che si aggiunge al peculato. E ciò perché è irrilevante per la consumazione del reato contestato che l’appropriazione derivi da un corretto e legittimo esercizio delle funzioni esercitate da parte dell’agente o dall’esercizio di fatto e arbitrario di tali funzioni; dovendosi escludere il peculato solo quando il possesso sia meramente occasionale, cioè dipendente da evento fortuito o legato al caso; ma non può sussistere l’occasionalità quando l’affidamento riposto dal privato nella qualifica pubblica del soggetto ha favorito l’insorgere del presupposto del reato.
5. Come è evidente il comportamento tenuto integra a pieno il delitto di peculato, anche dal profilo della appartenenza del denaro alla PA, che il ricorrente contesta poiché ritiene sia frutto della sua abilità truffaldina, in quanto, nel caso delle esazioni riscosse in relazioni a prestazioni che i privati comunque dovevano effettuare, le somme già appartenevano alla PA a nulla rilevando le modalità di riscossione e la eventuale irritualità dei mezzi di pagamento, anche in contrasto con disposizioni ed assetti organizzativi dell’ufficio, e la circostanza che il pubblico ufficiale sia entrato nel possesso del bene nel rispetto o meno delle competenze che il mansionario interno prevede. (p. Sez. 6, Sentenza n. 26081 del 28/04/2004 Conformi: N. 405 del 1994 Rv. 198499, N. 11505 del 1997 Rv. 209477, N. 11417 del 2003 Rv. 224051, Sez. 6, Sentenza n. 20952 del 13/05/2009).
6. Quanto esposto esclude dunque che tutto il denaro percepito dal B. sia ricollegabile al delitto di truffa, dato che in punto di fatto è pacifico che per alcuni esazioni esso era effettivamente dovuto dai cittadini e pertanto nel momento in cui il ricorrente se ne è appropriato esso era già entrato “secondo norma” nel patrimonio dell’ente. Dunque il possesso del denaro da parte del ricorrente non era conseguenza di una truffa, ma si ricollegava direttamente all’illecito storno di somme da esigere per conto della PA.
7. Parimenti inammissibile è il motivo con cui il ricorrente si duole del diniego delle generiche, che la corte ha adeguatamente motivato in considerazione della gravità della sua condotta, della diffusione della stessa nel territorio, sulla sua negativa personalità, con argomentazioni che non manifestano né insufficienza né illogicità e pertanto non sono censurabili in questa sede.
8. Il ricorrente è da condannare al pagamento delle spese processuali ed a versare una somma, che si reputa equo determinare in Euro mille, a favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.
Depositata in Cancelleria il 14.09.2011

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